Passiamo i giorni a intorbidire le pagine con i segni poco decifrabili del nostro inesistere. Comprensibile orrore del non esserci, l'insopportabile anonimato di una scrittura che poteva essere il marchio futuribile della propria riconoscibilità. Così non è stato. Così non sarà. Ma la scrittura non è altro che scrittura, si dice, che combacia con se stessa, che è degna solo quando è letta (sopra ogni cosa) così com'è, oggetto di parole, apparentemente inutile. C'è chi vive di scrittura. E chi lo vorrebbe, inutile, avulso da ogni gruppo, assolutamente inadatto ai fini di qualunque praticità. Così le pagine scritte divengono come corpi tatuati, non mercificabili, magari bellissimi ma sempre più aggrovigliati da risultare illeggibili. Più alcun contorno, più alcun disegno, nessuna trama che assomigli più a qualcosa di lontanamente commestibile. Concentrati di senso talmente densi da divenire insopportabili e meritando il ripugnante e trasparente anonimato pur avendo una storia letteraria che li ha preceduti.