… e, per contro, Eros non eccede, il posto di Thanatos è ancora nel canto, in una mutazione d’apocalissi che rassegna importanza, che non conduce – più!, dico, più! – al carpito giorno erotico dello scrivere. Solo così si può rendere legittima la gelosia, unita a un voyeurismo impotente, da piccolo poeta, con elementi vicini al rito, quale mangiare questo mondo sfatto, questo putridio in memoria di se stessi; o la scrittura ti violenta non violenta e tu non vuoi violentare?
Eccolo! Il senso del possesso della parola, l’illudersi che ti asserva che e ti smangia e ti divora e ti brandella: sì!, tto, dico, tutto è ormai totale alla fine della notte, dello sbrodolamento del seme, come quando lo scrivengte definisce il propio io stitico “ho scritto”.
La sperequazione del già sentito, del già detto, persiste, fino al concerto dello sbracare in tumulti tra la scrittura e il proprio io delirante. Una forma chiusa, conchiusa nella chiusa. Un sangue autentico, un oggetto di scambio col prossimo – e questo e il male – che si scopre essere apertura alla tomba tomba, al silenzio fecale e si scopre essere prega di non restare prigione dei propri sensi inetti, in vista del brillante annerarsi finale.
È una miscellanea di prove di scrittura non medicametose, non cura, non curatela del proprio dire, un preannunciamento da rotocalco, da tabloid di nera. È la imperfetta predilezione informale per un lessico raro e, dall’altro canto, una ricerca – ora felice ora inappagata – di farmaci veleni per combattere l’anoressia del reale, il non mangiato del poetare e ammaestrare le resistenze tutte alla nuova paroa, al nuovo dire.
Del non amante amato scrivere, da subito, occorre negarne la non necessaria placenta entro la ossessiva replicazione, il dublicato infinito delle proprie forme metriche – anche quando ci divrebbere esssere respirante prosa – lì, ecco, si rintraccia l’oscura necessità di un patrimonio già scritto da torturare e da esibire, dissipato fisicamente e moralmente. Qualora morale mai vi fosse stata.
Un approdo come da capo ai propri temi-chiave, aun’intera produzione, un sentimento del disamore e rancore che strabordano dal negarsi e perseguono il desiderio di non appalesarsi più. Mai più. Essere erratico, eccentrico, incostante, essere, inoltre, oltrepassamento di qualunque soddisfazione possibile. Eternamente nel limbo dell’insoddisfazioen, del non dire. Non si insegue altro nella vicenda dello scrivere: un coatto ego del soddisfacimento del proprio piccolo bisogno, poiché non basta essere soggetto od oggetto di scrittura ma occorre, necessita, occupare il posto di causa di un desiderio che si rinnegaa ciclicamente e che non risulta mai completamente appagato né estinto.
Il desiderio è vanificato e disattivato dalla parola, proprio nel momento preciso in qui si comincia a scrivere, come preannunciato mancamento, un’afasia non sospetta. E se è vero che sa sedurre la carne la parola, è pur vero che essa ne prepara il gesto ma non ne produce il destino. Nessuna, seppur sapiente, costruzione verbale riproduce un mondo, non lo fa, questo anche se si accosta ambiguamente come oggetto o soggetto del raccontare.
Non ci si può permettere più, oggi, di investire la parola del compito gravissimo di trasformare la potenza in atto del solo vivere – ove mai ci si praparasse a farlo – a produrre, allitteranti e paralleli, sottolineature. Non si può sostituire, oggi, più, al mondo, la missione generatrice dell’azione verbale. Solo gli inetti lo fanno, i non presenti, i plauditi.
S’apre, significativamente, una notte dei sensi. Una notte pronuba, aguzzina del vivere, della sopravvivenza del dire, dell’atto di defecar parole, quasi sadica propiziatrice di mostruosi e orgiastici baccanali, una notte odorosa di palta che espone il maledettissimo io-lirico al dissidio interiore tra esperienza quotidiana e affannata fuga da incubi di verbalità. Qui un amante, quale dovrebbe essere lo scrivente, teneramente audace, annuncerebbe l’intuizione di possedere lla soluzione: quindi prima ti scopo e poi, seguito da un empio silenzio, smetto di farlo, non scopandoti più. Tutto questo è ritenuto negativo perché segna una falla nella comunicazione non scopandola più, la scrittura, non la si scrive più. Ma il posto della fine è ancora nel verso, Eros non eccede e Thanatos canto…
(14 novembre 2016)
©gaiaitalia.com 2016 – diritti riservati, riproduzione vietata