Un pomeriggio, orario mediano, chatto di nascosto con un bravo scrittore in un social gremito di voci varie per ascoltare la risposta che andavo provocando “qui dentro, nessuno interessa a nessuno, un egodromo, questa è la verità e bisogna parlarsi dal vivo, occhi su occhi e bere e mangiare.. insieme.. ridere.. qui non funziona niente [riporto epurato il dialogo, valà]” insomma è stato come sentirmi dire di ricordarmi del mio passato, della coltivazione degli orti, che la scrittura in tempo di crisi è momento d’accatto d’amicizie e di favori, di amanti e bisogni fisiologici è sesso, cesso o vattelapesca.
Si sa che non sono un moderato e parlarne, dirvene scrivendo, produrrà altri frantumi nel labile vaso di porcellana cinese che contiene questo personaggio che ininterrottamente miete vittime, una capra sacrificale che non perdona con l’insofferenza dell’abbandonato, evidenziando con strida, ormai, una realtà dei fatti in cui il pubblicare è sempre stato un miraggio per fasce sempre più consistenti della popolazione di scriventi.
Di fronte a questo non è d’aiuto avere obiettivi, assumendo di fatto la dottrina che sostiene che non abbiamo bisogno della visibilità autorale. Una forte asimmetria e questo grande disequilibrio, portano con sé, insieme all’insofferenza personale e alla rottura del patto col lettore, anche la nefasta conseguenza di produrre inefficienza letteraria.
(26 aprile 2015)
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