domenica 24 dicembre 2023

la cultura come diritto umano fondamentale

Il 5 ottobre 2014, a Roma, incontravo, in qualità di curatore dell’opera omnia di Bo Summer’s, i suoi lettori, un incontro con un argomento che era quello della persona Bo. La persona che dovrebbe essere poi lo scrittore. La pretesa di raccontarne una genesi, uno sviluppo, una fine. L’idea stessa dello scrivere. Ne riporto di seguito, come per dovere di cronaca, e per chissà chi, le tematiche e i testi. Un compendio per chi non conoscesse.
da “Pillola” [storia di AIDS semivera e romanzata]
“Cioè dicevo che gli effetti collaterali della Pillola indicati sul sito dell’azienda produttrice, cioè ci sono un quantitativo eccessivo di acido lattico nel sangue che induce a debolezza, cioè dolori muscolari, difficoltà respiratorie, nausea, vomito, aritmie cardiache, brividi di freddo, febbre, problemi epatici, sovrappeso, cioè nervosismo a 1000 che intacca pure il sistema nervoso, se non lo sapete e in alcuni casi anche la morte. Cazzo è una roba da bestie, cioè una cura che ti spappola anche il cervello e un po’ la memoria che va a farsi fottere anche lei, e i vomiti e le nausee diobò”.
“Ho ancora il libretto che mi hai dato”, ha detto.
“I risultati finora ottenuti fanno ben sperare, soprattutto perché sembra che la Pillola non dia effetti collaterali a lungo termine, e l’unico inconveniente riferito sembra essere il mal di testa”. Sì, vabbé, questo dicono.
“Io non cerco qualcuno che mi consideri come GOOGLE e mi chieda 1000e1000 informazioni sul cosa e sul come e sul perché, dato che ci sono tanti siti in cui trovare informazioni sulle malattie sessualmente trasmissibili e, nonostante il mio stato, ci tengo ancora molto alla mia salute e cerco di preservarla il più possibile. Attualmente non sono in cura farmacologica, ho una carica virale attiva, anche se non esagerata, meno di 2500, ed ho i cd4, gli anticorpi che il virus dell’HIV cerca di distruggere, che, per il momento, sono alti: 1097, tenendo conto che una persona sana, ne possiede tra i 700 e 1400 diciamo che non si può dire che son messo male”.
“Ma insomma, tuttavia, ho delle forti perplessità su questa Pillola. Cioè io ho un mio amico d’infanzia , quasi come un fratello per me, che abbiamo fatto tutte quante le scuole insieme asilo, elementari, medie e superiori, che dopo una relazione etero, è bene dirlo e che cazzo!, si è scoperto sieropositivo e da sei anni, come terapia, gli viene consigliata proprio la Pillola.
“Mi piace baciare, fare le coccole, farmi accarezzare, fare l’amore, dare e ricevere piacere. Cerco persone con le quali interagire, possibilmente nella realtà, e non solo in chat, persone positive, non necessariamente in tutti i sensi, e con le quali relazionarmi in modo costruttivo, il sesso non sempre è necessario”.
“Questa malattia che è una invenzione dei media per attaccarci e non lasciarci la nostra libertà animale… i casi sono rari, non è come la descrivono la situazione in America, non è vero che la gente muore, io guardo prima una persona, si capisce se uno sta male o no” frasi ascoltate veramente, in quegli anni ’80, frasi che ancora oggi s’ascoltano.
“Sei molto gentile a dire tutte queste cose ma stai diventando drammatico. Non è tanto un atto di coraggio perché si tratta di un atto di temporizzazione. Cioè come aspettare il tempo giusto per morire, come ad aspettare fino a che non si ha finita la libertà vigilata per fare sesso”.
“Sono d’accordo la situazione è scioccante, c’è da dire, ma non è senza speranza. L’infezione da HIV è ancora evitabile. E c’è un modo, un unico modo ma non lo si pubblicizza abbastanza, è normale che sia così, ora, dopo anni, si è tornati al punto di partenza. Lo vedo, cazzo!, lo vedo nei locali come si fa ed è come non ci fosse mai stata la paura e il ragionamento è che tanto c’è la terapia mica si muore più. Questa è la realtà. Porcaputtana”.
“Sono positivo del virus HIV da molto tempo, ormai, come passa velocemente il tempo, e tutto sommato vivo abbastanza bene la situazione e così ho ancora un qualche problema a fidarmi del prossimo visto che, chi mi ha reso HIV positivo, era una persona di cui ero innamorato e mi ha nascosto, tra le altre cose, di essere sieropositivo, addirittura presentandomi analisi false e poi sono anche empatico e sensibile, dicono simpatico, gaudente e goloso, semplice e sofisticato allo stesso tempo, mi dedico, a tutto ciò che mi comunica benessere e piacere, sono attento ai dettagli, fin troppo”.
Delle chat e altre amenità
adesso ve lo chiedo: ma voi le chat porno le frequentate? Se sì, alzate la mano. E comunque, io, frequento le chat, specialmente le videochat: dovreste veder le facce (quando non si vdono altre parti anatomiche, naturalmente) delle personcine e modino che stan lì dentro… e comunque, spesso, nelle chat, ci son delle presentazioni scritte che mi piace di riportare, fare cassa di risonanza:
“Si astenga dal contattarmi, anzi non serve dar del lei se l’educazione è stata disintegrata dalle cattive abitudini , per cui NON CONTATTARMI SE : non scrivi un clinz nel tuo profilo!!! (clinz = niente )….o se ometti ogni o parziale informazzione !! hai un’età?? scrivi quella che hai o almeno dillo a me!! sei attivo ?? scrivilo !! sei sposato etc etc ?? dillo!! mi son rotto la minchia (MINCHIA = CAZZO PENE VERGA PISELLO) di perder tempo con anonimi del cazzo!! di fatti da oggi in poi eviterò pure di chieder chi sei ….come ti chiami …. che faccia hai …. manda una foto più decente etc etc …. per cui se sei gay sforzati di civilizzarti !! se sei “frocio” non fai per me !! in quanto gay (e fiero di esser gay!!) cerco di viver la vita senza mentire a me stesso o a chi frequento!! non son tipo da botta e via! …. non cerco malattie ne malati …. cerco gente che sia risolta con se stessa!! …. ps: a tutti coloro che credon che son frustrato o roba simile dico: GUARDATE VOI STESSI!! andate a far dell’amore ….o se preferite del sesso ….ma fatelo con cuore e cervello aperto!! non deformatevi la realtà a vostro piacimento!! vivete per la qualità della vita!! e non per la quantità!! ….ok ?? e se non è ok ciava zero!!(ciava zero = frega niente!) io non attacco nessuno!!! ….ma occhio a ciò che dite e o mi fate ….perché in guerra ( anche se non la cerco e non la voglio) ma in guerra tutto è concesso!! ok??
NON MI CONTATTINO Coloro che han foto scattate a 56 metri di distanza durante un eclisse solare, con una tempesta di sabbia in atto e per giunta il fotografo sofferente da una accoltellata al pancreas e con l’halzaimer!! sfocate ,parzialmente modificate e o rimpicciolite a tal punto che mi serve un microscopio professionale per visualizzarne il contenuto!! mi fate ridere!! siete solo cagati dall’esporvi !! (ma lo posso capire… solo che magari se evitate la scusa: non avevo altre foto , non so come metterne di nuove etc etc … ci son skype e msn per compensar a questo ….ma evidentemente credete di esser super furbi ?? chissà magari lo siete …. ”
sulla comunicazione, ad esempio, sono andato fino a Roma per dire: 
se disegno una forma su di un pezzo di carta, compio un atto che scelgo in base all’esperienza della mia situazione; cosa ho esperienza di fare, e qual è la mia interazione col Mondo fuori dalla mia esperienza di scrittura sul pezzo di carta? Nulla.
Jobo è un racconto di Bo, dopo la serata qualcuno mi ha detto che in redazione erano arrivate email che dicevano che non si può sempre rappresentare un gay in questo modo:
Avevano camminato almeno un paio di chilometri dietro di me e tutto stava concludendosi con un ospintone e qualche buffetto?
Avevo cercato di cancellare tutte queste sensazioni malate ma quel gesto fu una vera riveazione.
Avevo interrotto il cerchio dei loro corpi sul vagone della metropolitana per passare e per andare oltre e per lasciarmeli deinitivamente alle spalle. Immaginavo che a muta fosse formata da prdatori armati che amano solo le prede vive. M’era parso di cogliere il loro sguardo quando me li ero trovati davanti. Faccia a faccia.
Bo Summer ha narrato
la nascita del fetish, il voyeurismo, il trimmer, goldenshower… e di altre amenità. Ma in pochi si sono accorti dello stile e della scrittura.
Ha raccontato un mondo a parte. Un minuscolo e miserrimo universo parallelo. Tutte le voci, le intenzioni, gli intendimenti, le parodie sono state come remixate in un piccolissimo e annoiatissimo teatro di volti rifratti, con la nenia romanzesca di un poetucolo minore, ormai scordato dal mondo letterario e mai entrato a farne parte veramente, che narrava, inascoltato quasi, ogni volta, con suono querulo e petulante, obbedendo esclusivamente e caparbiamente all’ispirazione della sua sessualità disinvolta e mai tradita e poi ancora s’arrabattava a confessare con affanno, quasi masochisticamente, al primo lettore che mai gli capitasse a tiro, il proprio sesso felicissimo, le proprie depravazioni risolte, le proprie trasognate avventure erotiche, a volte addirittura rocambolescamente realizzate, le livide striature del suo corpo e del suo animo divelti che sono come marchi d’una fin troppo assaporata e privilegiata cattiveria desiderata.
breve nota:
tutta questa roba che vi racconto, tra il vero e il fantascientifico, è vera e fantascientifica. Ho lavorato sull’allusione poiché troppe e tali sono le aspettative che non me la sentivo di far comprendere appieno la realtà. Molti fatti narrati son veri altri inventati per stupido piacere narrativo. Non volevo che alcuni si potessero riconoscere tanto è il dolore di questa verità. Direi che il risultato non cambia, pur avendo, a volte, esaltato, inventato o riportato falsate statistiche ed eliminato o artefatto nomi o altri fatti e persone cui faccio riferimento. Chi potrà capire a fondo, capirà, ad altri rimarrà un terrorifico racconto che instillerà loro il dubbio. Almeno, spero.
riprendo la lettura di “Jobo” spiegando che Jobo è il nome del protagonista, un nome di pura invenzione, che quel nome non esiste e che quindi anche i fatti narrati non esistono.. mi fermo.. forse sorrido.. e aggiungo che se quel nome fosse reale, allora anche quei fatti sarebbero reali:
“Brutta checca, frocio di merda.
Capii soltanto che probabilmente avevo interferito in una loro impresa. Avevo assunto ai loro occhi non so più se il ruolo del testimone di un gioco e di un ruolo che mi fece diventare il nemico.
Cose ovvie di questo genere. Voci. Sciabordii. Ma che mi producono un certo quale effetto di sottomissione. Un orizzonte. Un balenìo di senso dissennato.
Così è che tutti gli esseri umani, o solo alcuni, o nessuno siano delle scrittori.
Così pensai mentre mi alzavo da terra e m’appoggiavo al muro. Caddi dunque con la faccia in avanti. Avvertii il contraccolpo che attraversava il mio corpo.”
Di me, su me. Ho provato a dire. Fra volti perplessi.
Della mia storia passata di scrivente, pochi sanno, pochi sapevano e pochi sapranno. Ma ora qualcosa di tutto questo mio scrivere passato e presente è ritornato come a dire: Signore e Signori sono ancora qui. È stato un buon tempo, questo, per questa mia narrazione che in tutto il periodo della sua stesura, durata anni, ha avuto non poche difficoltà e rifiuti. E qui chiude. Altre cose ho già in cantiere, troppo silenzio ho subito.
desideravo definire lo scrittore e ho detto loro:
Devo giocare al loro gioco
di non vedere che vedo il gioco.
ripreso “Jobo”
“Difficile essere più preciso. Stavo lì. A terra e con la nuca appoggiata deicatamente all’asfalto nell’attesa che se n’andassero.
Doveva essere il capo della muta.”
ho accenato a #ElHorno, il mio romanzo ancora lì, in attesa…
E ancora il concetto, tipico di quegli anni, all’inizio del contagio dell’AIDS.
Ci ho pensato più volte a questa cosa dello scrivere per scrivere. Dello scrivere come terapia. Io non scrivo per curarmi. Per quello c’ho le medicamentose medicine chimiche. Son stanco e non ho un ego maiuscolo. Mai avuto. Non comincio di certo ora che non ho nemmeno più il tempo per stargli dietro. Fare gli amoreggiamenti con me stesso. Mettermi in primo piano, alla berlina, se si vuole… ma no, non sono io quello.
Così ognuno deve rifarsi, a questo punto, alla propria esperienza personale. La mia esperienza ed il mio agire si attuano su di un piano sociale di reciproca influenza e di interazione.
Vi chiedo: il passato che sappiamo definitivamente irrevocabile può dare un senso al presente e risvegliarne i mostri solo perché appare anch’esso come mostruoso e come ciò che è stato irrevocabile?
E poi ancora e ancora chiacchiere, per questo autore da fumetto, che ha il nome di un pornoattore, quasi come miasmi frenetici e famelici avventori di un locale estremo che sempre più assomiglia ad un rutilante e perpetuo vortice dell’inutilità e del provvisorio, sguardi senza estetismi o bovarismi, trabocchi urticanti di parole non si sa se realmente ascoltate e veramente dette da qualcuno, e poi ancora quasi sogni d’incubo, allucinazioni verbali, risate chiassose, racconti esilaranti di sesso con sconosciuti e vero sesso PORNO, e in tutto questo carnaio d’approssimazioni ci sono cose da vero intellettuale come RECENSENDA e MEMORANDA, che paiono scritte da un seguace di un’irriverentissima religione aliena quasi dimenticata dall’intero universo e lasciata lì a marcire sepolta – per propria volontà, parrebbe – tra corpi seminudi, traslucidi, rivestiti di pelle o gomma, in una realtà che declina verso l’estrema finzione, nello sfumare tra la grazia e la sapienza di una tribù che persiste nella propria sopravvivenza, in una fisicità da deserto delirante e assoluto fino all’estrema unzione.
E poi ancora le frasi profetiche che nessuno ha letto: ma se mi lascio trascinare dallo zelo del fedele sguardo del mio raccontare, finisco con l’accusarmi di secondi fini, che non ho, per darmi l’apparenza dell’uomo sincero che certo non cerca di risparmiarsi le umiliazioni: in tutto ciò sono cominciate le mie narrazioni visionarie.
e poi: Scrivendo cerco di svelare i caratteri di nuove possibilità che emergono [e allora faccio rivelazione]
E se in una mente turpe come quella di Skeeen [protagonista di quella farsa romanzata che fu ed è #ElHorno] nascesse un sentimento? Una sorta di amore? Cosa accadrebbe?
E se le piramidi possono preservare la carne dalla putrefazione, la Pillola può allo stesso modo farlo per voi?
e tutte queste cose potrebbero essere: Modulazioni di tono e di volume che delineano una forma precisa ma senza fornire le informazioni ché mancanti negli spazi tra le linee e davvero sarebbe grave errore scambiare le linee per la forma, o la forma con ciò che essa rappresenta [questa citazione è mutuata da un testo teorico sull’arte di Jole De Sanna].
E ho cercato di spiegare lo “scrivere”
È un atto d’amore e anche noi, quando cerchiamo d’imparare che cosa significhi amare, non finiamo per perderci nella riflessione che pensa intorno all’amore? non perdiamo tempo pensando di amare invece di amare? Un loop continuo, un fist infinito sulle nostre sling mentali? Ma sul nostro cammino cade lenta, costantemente, una luce che illumina il nostro amore.
poi ancora “Jobo” come in cortocircuito:
“Era buio ma potevo scorgere bene il corto cilindro di carne proteso come l’emblema del suo potere. Ebbi l’impressione che non volesse farmi davvero male. Dopo avermi colpito m’afferrò entrambe le guance tra le dita. Come si fa certe volte coi bambini. Le strinse. Le mie guance secche e smagrite mentre m’insultava.
Era evidente che s’aspettavano qualcosa di più. Per gli altri la cosa non poteva finire lì.
Facendomi largo bruscamente attraverso l’ostacolo dei loro corpi. Spostandoli lateralmente con uno spintone. L’avessi mai fatto. Avevo dato il La a una razione a catena inarrestabile.”
poi ho chiuso l’incontro e ho alzato la musica “disco” che faceva da base e che ha accolto tutti all’inizio
Gli scrittori non si parlano. Si citano. Autocitano. E precipitano.
Grazie alla pazienza di Max Calvo [se esiste, poiché mai lo vidi] e alla silenziosa presenza del Capo che vidi a Roma. Grazie a Alessandro Paesano che quella sera si palesò. Anche quella sera non mi hanno mai censurato. Probabilmente mi sono più censurato da solo vedendo in piena luce i volti dei miei ascoltatori. Gaiaitalia.com ci ha dato anche questa possibilità: a me e a Bo Summer’s. Chi c’era, c’era e chi non c’è stato quella sera mai ci sarà.

http://cultura.gaiaitalia.com/2014/10/gaiaitaliateatrofest2014-bo-summers-la-cultura-come-diritto-umano-fondamentale-lintervento/

lunedì 27 novembre 2023

pubblicare poesia


Pubblicare poesia, oggi, è al di fuori di ogni controllo, di ogni macinazione vicina all’atto consumistico. Poesia non è vendibiltà, mai lo è stata, a maggior ragione nel nostro contemporaneo. Pubblicare poesia è, oggi, più che allora, atto di identificazione con il nulla del dire. Se non al proprio parlarsi, a volte, addosso.

È da anni che in Italia la poesia corre lungo vie sotterranee di autodefinizione. Vie sotterranee che, a mio avviso, certificano un essere in disparte, un non centralizzarsi, nemmeno col pensiero. Neppure con la presenza fisica dell’autore. E non solo si tratta di una grande metafora di quanto avviene nella superficie delebile del reale.

 
Le vie del fare poetico sono spesso invisibili, o, meglio, sfuggono a criteri di visibilità. Ciascuno tenta le carte che può, che possiede, per raggiungere affannosamente un momento che si avvicini, almeno lontanamente, alla realtà del tangibile. Come se il poetare non dovesse essere il più lontano possibile da ciò che altre espressioni dell’umano artefare propongono. Poetare è assenza, mai centralità o assoluto dire.

orgasmica

E così vi posso assicurare che tutti i tentativi fondamentali di studiare la nostra condizione umana costituiscono un pericolo per il falso orgoglio e il pregiudizio, dietro i quali l’animale umano nasconde quasi compulsivamente la propria nudità.

Vivevo con il mio amico e in quel periodo decidemmo di costruire un piccolo appartamento.

Avevamo praticamente molto terreno davanti a casa per poter costruire questo piccolo appartamento che tanto avevamo desiderato, pur se avevo già anche troppo da fare con la mia intossicazione da sesso.

Così all’interno avevamo piazzato un vecchio congelatore sufficientemente grande per metterci dentro tanto cibo che ci permettesse di superare un’intera stagione senza troppi problemi.

Esiste il piacere dell’orgasmo che sale come una cifra di vendita in pieno rialzo, e il piacere di un orgasmo spiacevole che precipita gravemente come l’indice Dow Jones nel 1929.

Quindi, con piacere mi rendo conto che davvero, come tante delle cose eccellenti che ho scritto, anche questo è un eccellente passaggio ma è un fatto di pura finzione.

Considero che la malattia nasce quando la carica elettrica sulla superficie delle cellule umane cade esattamente come in un punto di soffocamento.

A fatica costruimmo una casetta di legno grande abbastanza per metterci dentro una sedia, un tavolo, un letto e una tv, poi rivestimmo completamente l’interno con uno strato di sughero e una fodera di metallo galvanizzato.

Era, cioè, la nostra idea di appartamento.

Decidemmo così di costruire questo piccolo appartamento ed assemblarlo come fosse un enorme loft.

Il mio amico ogni sera agiva, era uno dei miei numeri preferiti della serata dentro l’appartamento: si toglieva i vestiti, si sdraiava sul sughero e veniva, senza mani.

Davvero il mio amico era uno strumento sessuale potentissimo.

Insomma, per farla breve, abbiamo costruito questo appartamento all’inizio dell’anno.

E la gente del posto ci guardava da lontano dubbiosa, mormorando “Stregoneria”.

In qualche giorno, abbiamo assemblato una scatola di legno di una altezza approssimativa di due metri e mezzo e l’abbiamo foderata per bene.

Era quella la nostra stanza principale, il nostro open space.

Io ne ho fabbricato un altro, poi, più piccolo, lì vicino, rivestito di polistirolo da imballaggio e ovatta, il tutto avvolto in tela di iuta per costruire il nostro cesso, comunicante con l’edificio più grande tramite un grosso tubo, recuperato da una discarica, che funzionava come corridoio di comunicazione, e tappezzato da quattro strati di sughero molto spesso, per i rumori.

La gente ha comunque la tendenza a esagerare le cose, mitizzarle: mi domando come siano arrivati a raccontare che io organizzavo orge lì dentro per far divertire i maschi depressi della zona! ma è certo che l’appartamento aveva effetti sessuali ben precisi almeno su di me.

E poi ho pensato di migliorare il nostro appartamento orgasmico usando del legno il più organico possibile, e così abbiamo raccolto delle foglie e dei rami da cespugli di bosso per fissarli sul tetto di quella cabina mistica.

La decisione dovrebbe esser presa ovviamente dal paziente malato e non da altri, questo è chiaro.

Chi vi parla si è domandato se non si potrà concentrare l’energia orgasmica di quell’appartamento e dirigerla per tentare di dissuadere i miasmi della lascivia e dell’ansietà puramente idiota di questa società che blocca ogni ricerca scientifica dei fenomeni sessuali.

Chi vi parla pensa inoltre che quella terapia sia veramente inoffensiva e non si ponga assolutamente in conflitto con nessun’altra terapia.

Le pellicce di lapin davano all’appartamento un aspetto surrealista, più organico, come una vasca da bagno in pelliccia.

Passavo dai quindici ai trenta minuti ogni giorno in meditazione all’interno di quell’appartamento, con l’unica confortevole sensazione che, in fondo, stavo facendo diminuire la possibilità di contrarre la malattia a tutti quanti nella zona.

Qualcuno ci venne a trovare, ma non entrò mai nell’appartamento.

Nella parte esterna, il mio, amico stese una mezza dozzina di vecchie pellicce di lapin per rendere ancora più energica la carica orgasmica.

Io pensavo che l’effetto sarebbe potuto aumentare di molto usando acciaio magnetizzato e costruendo l’appartamento a forma di piramide e di certo non mi sbagliavo

La stanza orgasmica può effettivamente essere usata in situazioni senza speranza è ancor più in situazioni terminali, può infatti essere utilizzata durante il periodo che intercorre tra la biopsia e l’operazione chirurgica.

E quando affittai, qualche anno fa, quell’appartamento il mio amico stava fabbricando qualche mobile per me e ancora quando, dopo avermi lasciato, venne a trovarmi, io abitavo oltre il fiume, in una piccola casa sulla ferrovia, in un appartamento appoggiato su dei pilastri di cemento su un terreno paludoso.

Quell’appartamento orgasmico era una vera e propria terapia che venne rifiutata senza alcun valido motivo dall’estabilshment della medicina.

Nessuno ha sostenuto l’uso della terapia orgasmica a scopo preventivo e come miglior trattamento attivo contro la malattia.

Rimuovendo anche solo la possibilità di quella terapia, le autorità si sono caricate di una pesante responsabilità soprattutto in virtù del fatto che ricercatori indipendenti sono ora sostenuti da alcune certezze sulle nostre scoperte.

Se le piramidi possono preservare la carne dalla putrefazione, possono allo stesso modo farlo per voi.

Vorrei applicare il metodo scientifico ai fenomeni sessuali, misurare precisamente la carica elettrica di un orgasmo, e unire queste misurazioni all’esperienza soggettiva del piacere e del dispiacere.

© https://cultura.gaiaitalia.com/2014/02/week-end-letterari-di-gaiaitalia-com-bo-summers-orgasmica/

lunedì 6 novembre 2023

e per contro


Eccolo! Il senso del possesso della parola, l’illudersi che ti asserva che e ti smangia e ti divora e ti brandella: sì!, tutto, dico, tutto è ormai totale alla fine della notte, dello sbrodolamento del seme, come quando lo scrivente definisce il proprio io stitico “ho scritto”.

https://cultura.gaiaitalia.com/2016/11/la-pagina-dello-zio-bo-e-per-contro/

mercoledì 1 novembre 2023

proprio al di sotto del pensiero

Proprio al di sotto del pensiero riflesso, ovvero dell’io (non maiuscolo, in questo caso) che notoriamente, da anni, si articola nel linguaggio, o dovrebbe, quasi vicino al dire quotidiano – la Poesia – s’implicita come un pensiero tacito, silenzioso ma preverbale e oltre ogni categoria, inscritto nel corpo dello scrivente e dotato di una capacità simbolico-espressiva che risiede nel tradursi spontaneo di un senso altro nell’altro e nella gestualità che accompagna il situarsi dell’io, spaesato, esternato nel mondo del concreto.

Così per riscoprire questo fondamento comune che dovrebbe essere di ogni prassi e di ogni forma di attività poetica è necessario, secondo me, per quel che vale, operare decisamente una sospensione di giudizio, un’astensione, un taglio, nei confronti di tutti gli interessi di dicibilità o narrazione, nei confronti di tutte le finalità e le azioni che assumiamo e compiamo anche soltanto in quanto esseri avidi di sapere (quando di questo si tratta).

Nelle sue linee fondamentali, dovrebbe essere la riflessione di un Poeta che si sviluppa in una direzione opposta a quella attuale e non considera l’immagine come il momento della rappresentazione bensì come il luogo, il punto esatto, seppur minimo, piccole figure, ove le parole si scontrano e incontrano tra leggi immutabilmente poetiche. Dunque, si concretizza esemplarmente la relazione percettiva e corporea tra io e mondo e come l’apertura della possibilità di un accesso alla dimensione ontologica della visione e della sensibilità.

Cardine su cui si incentra l’interpretazione della scrittura come soggetto, direi, qui, unico, in questo ragionarmi addosso, della percezione è la distinzione (ma qui sul fare poetico) tra il corpo proprio vivo – ossia il corpo “in carne e ossa”, vivente e vissuto in prima persona, del Poeta – e il corpo oggettivo, corpo rappresentato e ridotto a cosa del poetare, del rappresentarsi esternamente. 

Un legame tra immaginazione e neutralizzazione della stessa e possibilità di immaginare dovrebbe venire radicalizzato.

Il riferimento del testo poetico stesso è fondamentale per comprendere lo sviluppo del dire, nel lavoro di un Poeta, e il suo approdo a un’ontologia del sensibile che risulta essere una parte portante dalla constatazione della sostanziale estraneità della Poesia rispetto al concreto mondo della vita soggettiva, è in quest’ottica che la coscienza rappresentativa e la riflessione diventano momenti delimitati di una vista esperenziale dominata da una viva corporeità. Sensibile e agente.

Percezione radicata nel corpo vivente, costantemente e ostinatamente orientata in modo prospettico e strutturata da diverse forme di motivazione.

Nella coscienza immaginativa del poetare lo scrivere è posto come non-esistente e in questo modo il soggetto perviene a divincolarsi dalla vastità del mondo esterno, lo neutralizza eclissandosi sospendendolo e negandolo nella sua posizione d’esistenza e aprendosi al possibile e all’irreale.

Mi pare si debba distinguere, oggi, nettamente tra percezione e immaginazione attribuendo alla prima la capacità di connettersi con le cose nel mondo, e alla seconda un radicale potere di nientificazione, di annullamento dei suoi contenuti.

Sebbene segnata anche da un confronto con il reale, il quotidiano, la scrittura non rinnega mai la propria provenienza dal quotidiano, in particolare per quanto riguarda il riconoscimento della centralità del problema della percezione dello scrivere e l’esigenza dello scrivere. Al centro della riflessione, in tutto questo mio testo, vi è infatti il tema della percezione dell’inesistente-esistenza, intesa non come puro sguardo capace di descrivere assenze e strutture fenomeniche ma piuttosto come esperienza primordiale del Poeta, sfondo ultimo dal quale si staccano i suoi atti e il suo sapere.

Qui il soggetto della percezione non è tanto un ego che trascende, facile oggi a rintracciarsi nella poesia di molti minori (e molta se ne legge personalmente e quindi se ne sa), che opera la riduzione per attingere un piano di fenomeno da baraccone, di presenzialismo allo stato brado, quanto un corpo poetico agente e senziente, animato da un’intenzionalità irriflessa e precategoriale dell’io non esiste.

Solo in questo modo è possibile uscire del coro, attingere il piano di quel regno di evidenze originarie che è il piano dell’autore, del Poeta, un “autore minore”, sì.

lunedì 9 ottobre 2023

scrivere poesia


scrivere poesia: presuppone una sintesi di pensiero sulla realtà che rischia di sfociare in qualcosa di già sentito. La poesia non si pone domande e non presuppone nulla che non sia ciò che deve essere detto. Nominato. E nominare in poesia significa ricreare il mondo. Rinominarlo

lunedì 2 ottobre 2023

ciò che deve essere detto


ciò che deve essere detto si stabilisce fra me che lo dico e tu che lo senti come se fossi tu a dirlo. Il poetante è colui che si illude che l'altro da sé stia sorridendo perché sente come suo quello che gli viene detto, quando invece è un sorriso di scherno

venerdì 29 settembre 2023

non mi chiedo cosa sia la poesia


non mi chiedo cosa sia la poesia ma “perché la poesia?” e ne indico una delle molte vie per praticarla. Quanto al “tu” che lo sente come se... stuoli, torme di lettori ingenui incensano pessimi poetanti perché “sentono come se fossero loro a dire”

lunedì 25 settembre 2023

cani d'amore


rubrica a cura di Milo De Angelis, rivista Poesia, Crocetti Editore, 1993
http://www.poesia.it/Archivio/1993/somm_01_93.htm

all’incubo di quel sogno, poi, d’un colpo,
strazia una pausa – non lo stesso
sperdimento aumenta il tono basso
ove è proibito, alle segrete cure,
il guarito pianto: camera mia, mio fiele
fedele!: ora piango ma langue pure questo
e opprime le dirupate valli
del riso fra Mortara e Sartirana nel più
sommerso solco –: non sempre quello snodo
di mostri dirama l’avanzata
ma sempre più sorprende il bel bosco,
il diletto lume, il cielo fosco

almeno uno, perfetto davanti a questo
ventivo controllo – piuma dorata, qualcosa
è avvenuto: un passamento, un tumultare:
un moto immoto che si muove obliquo! –, è
riuscito, nello scintillio di smalti,
al rosso accendere i gerani:
qui è registrato come umile animale
tanto che il mio grido rivela mari
di terra: è queste fate, è questa lenta
pupilla e insegna le strade così
ai rivelati come
ai danzanti lumi
fino a somigliare a una tenebra
[là dove pioggia battesse orribilmente]
 
“queste falle, nemmeno possono sentirsi!
qualcosa, però, improvvisamente diviene
la corona di spine ma come ordigno perché
si è dovuto colpire!: lo stesso specchio
ha le sue consistenze fino a strafare,

qui alla parabola, questa serata nuova”
è provincia nel riporto proprio mentre
ripete, di un altro moto, il perpetuo
stancarne l’addirittura detto ‘strumento’

________________________________________
(questo componimento, parte integrante di una intera raccolta che mai vide luce, "cani d'amore", comparve all’interno del quaderno collettivo “a Marino per Moretti” di Casa Moretti, Comune di Cesenatico, datato maggio 2000. L’ultima cosa pubblicata su carta stampata da Fabio Galli. Seguì il silenzio forzato)

https://cultura.gaiaitalia.com/2016/01/la-pagina-dello-zio-bo-riesumanda-bo-summers-da-cani-damore/

cancellare il linguaggio della poesia


cancellare il linguaggio della poesia significa ciò che fa avvertire una sequenza di parole e pause come versi poetici? Quindi rime e assonanze, posizione degli accenti, a capo, lunghezza sillabica della riga, figure retoriche, ecc. oppure di cosa trattiamo?

giovedì 21 settembre 2023

generalizzazione

L’incomunicabilità tra generazioni, netta, decisa, così come il rimpianto da parte dei più vecchi esiste da sempre. Platone si lamentava dei costumi dei più giovani, svogliati e poco rispettosi, Cicerone si lamentava: O tempora, o mores. La verità è che non li conosciamo questi giovani, ma li giudichiamo, soprattutto quando con loro non c’è una relazione obbligata. Sono convinta che insegnanti e genitori della gen Zeta non li considerano affatto così. Quando ero giovane io il nostro mondo di ragazzi era fatto a pezzi dall’eroina. Proprio un’alegria do Brasil non era…

lunedì 18 settembre 2023

che rovesciato s'ascoltasse


Che rovesciato s’ascoltasse il di fuori! Come se fosse fatto viso, violento. Ma poiché c’è, questa tua faccia, su cui venire, fino in fondo, così, in duplice enunciata orgasmica quasi a rivivere in un’ondulazione di spasmi. Tu dici. La fine dei tre giorni insieme. Diverso. Meno presente. Col membro che si solleva da solo.

È un gesto, ormai, leggere i tuoi occhi. Noi eravamo, e si vede che è così, qui, alle stoffe, per colmare ciò che non è stato. E dell’aria sussiste.

Qualcosa, i frammenti di sbieco, discosti da un riflesso.

È difficile, adesso, risalire. Quasi agitata, la mente. Era senza questo presente, lo scorrere del tempo che torna da uno scambio, s’interrompe. S’era interrotto. Ma ripiegava ogni volta e ogni volta una registrazione, non proprio ogni volta, c’era.

Non più precisi di così, ero io, restavo. Perché vengono. Questo è accumularsi, dilatarsi, mentre l’insieme di tutte le cose non vien detto qui. Lo trovo, oggi, sull’orlo coricato.

Voi, in piedi, di fianco, dentro l’operazione. E non io in quel numero. La torsione era dunque l’eco.

Istantaneamente profondità o meglio: la carne, quel salto che risponde quale era scritto. Come se il muro, là, non altro colore potesse ricevere, per cui: il sudore.

Così, il punto e gli occhi, una forma che copre e allora sorge la testa. Questo richiamo, la bocca di qualcuno al seme, l’episodio che non avrebbe reso il rosso, il cielo riflesso, strappato nel quadro, terroso, dalla parte giusta che è poi la stessa che indicano tutti.

Al momento, in questo recesso, che è un momento di noi, gridando alla gola, venivamo.

S’apriva, così, a darci, in rilievo remoto.

[Minime Anime: Qualcuno mi ha chiesto di poterlo leggere, quel testo. Pochi, invero, ma si sa che a me basta così.

La stesura originale apparve, per diretto interessamento di Ubaldo Giacomucci, nella rivista "Tracce, trimestrale di scrittura multimediale", anno V, Luglio/Agosto 1986. Qui se ne presenta una versione con non poche variazioni perché il tempo è passato ed è giusto così.]

martedì 5 settembre 2023

tornare a svettare i pensieri sull'effimero


Non resta un’opera inconclusa. E non trova davvero seguito se non con la coesione progettuale. Davvero tutta la poesia è attestata già a livello paratestuale: dal titolo della raccolta, all’epigrafe, all’enumerazione progressiva dei versi stessi in poi. E l’orizzonte comunicativo appare, fin da subito, come evidentemente cambiato: l’attacco già, da sempre, ne rileva la prima imposizione di un io-lirico che infatti resta in soliloquio decisissimo.

Così torna l’obiettivo della fuga dalla precarietà della vita grazie all’ardore ancora ardente, che tuttavia non realizza una vera vita. La condizione stessa di un sedicente io-lirico è diversa da quella del Mondo, il quale resta sostanzialmente ignaro della transitorietà, e così si giustifica la voglia sanguinaria di tornare a svettare i pensieri sull’effimero intraprendendo di nuovo il viaggio del piacere.

I versi non appaiono profondamente coesi, ma vi è un procedere per strappi ragionativi e sillogistici, con domande talvolta esistenziali da autobiografia patetica. È come si mettesse un poco in ordine la mente, ripassando la parte della vita che maggiormente ci facilita, alternante all’invasione intermittente del corpo, con memorie o con ruvido materialismo del presente.

Il grande quesito inevaso è se l’amore per la scrittura possa qualcosa contro la solitudine della morte. L’una o l’altra, che differenza fa se poi s’ha da sentirsi sempre soli? Soli con la propria deprecabilità. Non più s’apre la strofa, non c’è più il referente diretto e l’io-lirico non ha più interlocutori, medita sulla sua medesima favola d’amore terminata almeno razionalmente, mentre perdura l’emozione.

Non a caso l’uomo è fuori dalla porta della scrittura poetica, estromesso dai pensieri ragionativi, e non interloquisce, ma interrompe semplicemente il flusso di coscienza poetico, che riprende faticosamente  con sequenze sulla prossimità dell’oblio. Come se stramazzasse giù nei propri inizi. Solo con se stesso. La riflessione lungo le vie inconoscibili e impervie della mente è più rischiosa del serraglio di assonnate lascivie entro cui tornare. È come un amplesso, lì si focalizzano i postumi dell’amore, gli umori rappresi e i tremiti passati, in piena coerenza con il desiderio vitalistico.

Da qui il desiderio rabbioso di condividere tutto, non solo il sentimento o il sesso. La metafora, porto sicuro, anche e soprattutto in previsione della morte della parola stessa, al limite del torpiloquio, della pornolalia e scavare nel proprio cuore di merda con la vanga e col piccone. Murare il sentimento, non desiderare più il vuoto dell’assente: l’unico conforto rimasto è nelle parole. Nuovamente, un richiamo bestemmiante che interviene a sabotare tutte le ispirazioni della poesia colta dal furore, l’io-lirico maledice l’uomo, in un violento climax di predicati che invitano alla sparizione. Per sempre.

Tuttavia, poi, l’ira si placa, si immagina cosa dire prima all’amante e poi si parcellizzano i messaggi al proprio cuore, al proprio corpo malato, con l’invito ad accontentarsi di quel che resta e alla propria mente. Si scivola quindi al ricordo di esperienze passate e alla riflessione su di sé, sfuggendo sempre al presente frustrante, fino a un’abbozzata idea di suicidio della scrittura, poi ritrattata, poi ridata, ritrattatta nuovamente.. all’infinito per un singolare e atavico attaccamento alla vita. Solo da ultimo, torna il pensiero, definito un estraneo, in attesa di risposte impossibili e di un piccolo scritto tranquillante (che può rimandare al corpo contratto, astratto, ma anche alla distensione dello stesso, alludendo quindi alla funzione placebo del sentimento).

Il rientro è salutato dal poeta che, ancora una volta, ha il compito di chiudere. Tornano l’offerta e il verbo volitivo che è perfettamente conscio della precarietà della vita e dell’approssimarsi della morte. L’uomo non fa niente per sottrarsi al destino, se non ingannare l’attesa condividendo piccoli e grandi piaceri.

©
https://cultura.gaiaitalia.com/2016/11/bo-summers-tornare-a-svettare-i-pensieri-sulleffimero/

lunedì 4 settembre 2023

qui dentro


“qui dentro, nessuno interessa a nessuno, un egodromo, questa è la verità e bisogna parlarsi dal vivo, occhi su occhi e bere e mangiare.. insieme.. ridere.. qui non funziona niente [riporto epurato il dialogo, valà]” insomma è stato come sentirmi dire di ricordarmi del mio passato, della coltivazione degli orti, che la scrittura in tempo di crisi è momento d’accatto d’amicizie e di favori, di amanti e bisogni fisiologici.

Si sa che non sono un moderato e parlarne, dirvene scrivendo, produrrà altri frantumi nel labile vaso di porcellana cinese che contiene questo personaggio che ininterrottamente miete vittime, una capra sacrificale che non perdona con l’insofferenza dell’abbandonato, evidenziando con strida, ormai, una realtà dei fatti in cui il pubblicare è sempre stato un miraggio per fasce sempre più consistenti della popolazione di scriventi.

Di fronte a questo non è d’aiuto avere obiettivi, assumendo di fatto la dottrina che sostiene che non abbiamo bisogno della visibilità autorale. Una forte asimmetria e questo grande disequilibrio, portano con sé, insieme all’insofferenza personale e alla rottura del patto col lettore, anche la nefasta conseguenza di produrre inefficienza letteraria.

© https://cultura.gaiaitalia.com/2015/04/bo-summers-disequilibrio-la-pagina-dello-zio-bo/

giovedì 31 agosto 2023

cani d'amore

sente lui il gioco di tutti i fiumi
ghiacciati, e il rumore del tempo,
sente, e il suo stesso volto: l’età

tra le brume rivela il canto,
rifugiandosi nell’avvilimento del fuoco,
appena riempito l’avvinghiato orlo

“ama e loda: i fiori, oh Impotente!
per arrivare, tingiti dove si parla
una lingua come questa!, poi rallegrati
come morte spezzata: negli stessi giorni
la nostra potenza, i miei rozzi insegnamenti!,
è quella Natura, è quel fine lassù – lo sento! –:
più d’ogni altra cosa va lentamente:
ah le più dolci afflizioni!:
lotta accompagnato dal cuore
e odora i ventri del piacere
e ridi e piangi e annusa la non facile
danza!”  – non rimane qui, è usato: come
un paziente, va a conoscersi nel meno
pieno argomento, egualmente viene
viene a proclamarsi ‘sostituzione del giorno’
“dov’è il Lemano?, lo vedi?, fu davvero vero?”  –

simile a gioiello che si risolve  – che ha maturata,
veramente!, l’occasione del tempo  –  va mutando:

col lume grigio del braccio,
luoghi diversi e ghiaccio
mutano raccolti e meraviglie seguenti,
acque di persone e presenze furenti:

delle volte è caparbio!, questo l’autorizza
già a dirigersi, a indossare sensatezza
fino all’insuccesso e al suo puro fallimento

[parte integrante di una raccolta, "Cani d’amore", che, assieme ad altri miei inediti, venne inserito in una rubrica a cura di Milo De Angelis pubblicata dalla rivista Poesia, n° 58, Anno VI, Gennaio 1993, Crocetti Editore]

https://cultura.gaiaitalia.com/2016/04/bo-summers-ft-fabiogalli61-riesumanda-da-cani-damore-sente-lui-il-gioco/

martedì 29 agosto 2023

scrive un lettore di "Caròla", di Marina Pizzi

"l'atto delle tenebre, sottrarlo: bruscamente in pubblico" da qui si può arrischiare un dialogo con lo sfatato fato che sia, dando la vita vivendo la, docile caro fronte, maestà di pollini abortivi, emanazioni occidue le danze del Duemila. Poesia del Dopo magico quando avvenuto e nudo l'esempio d'anelito - il Desiderio - si fa inutile. E allora la solitudine è un cantante d'accatto, un passero spremuto da sanguisughe mostruose e fameliche, inganni che sanno, spreconi, fin dai tempi della scuola. Briciole amorose che si fanno necessità di respiro: " - o come un verso / per avere una probabilità di rinascita -". 
L'esterno è l'affronto del mondo, offesa: "uno spasso crudelissimo / infligge tutte le notizie" e moscacieca, gioco d'oscuro, dopo un filo di luce: "i campanili in serbo sopra / la linea bassa del mattino".
E gli incontri come un indice, magro, di un bello-bretella che resti, che stazioni al Nonostante, alla furia che è stata trovarsi immischiati a vagare. Versi, ormai, che come chioschi chinano al deserto serbando gli un po' di contasto.
Raccolta di mutismo divenuti da discorso diretto, divenenti di fine spessore per singole parole così, infine,  inatte al minimo, miserrimo raccontare. La vita è avvenuta, non resta che panchina, caverna di sguardo il poeta. E il verso si fa patente che si dirotta e si spampana, la cenere che impara, il figlio dal foglio che non dà, non ha futuro.
Si "arriva" al postremo nesso, a "la parete è architetto del mio incantamento" o la parola, àncora disposta, unica, ancora alla seduzione di lapide. I sentimenti sono stati, i figli non verranno, la musica, da sola, s'incanta di sé. La voglia di voler amoreggiar dialogo, ma è impossibile, ritorna afasia, avviene il fiato vuoto, il torto "bello" di vivere iati, di guardare piluccando acini quasi di cemento: "e tela non resta la voce".
Un inaridimento che espugna rimanenze: "età di licheni" , versi di tenui trame, chele che arrese brancolano, che colmano col buio la vita, la tregua si dà per tregua, vivace è l'immobile. Pur non e padrone l'abbandono, ma appena un nodo di chiuse prospettive atte a battere un cuore e, alle volte, astenersi dall'essere senza morire: "credo che il piacere, se lasciato, / sia un'immensa fortuna, un racconto / da sogno, vicinanza, pronuncia".

[in Fabio Galli, Caròla, Crocetti Editore 1991, collana Aryballos 28]

martedì 15 agosto 2023

intervista di Luca Locati Luciani

https://www.culturagay.it/intervista/529

domenica 6 agosto 2023

a Marino per Moretti

all’incubo di quel sogno, poi, d’un colpo,
strazia una pausa – non lo stesso
sperdimento aumenta il tono basso
ove è proibito, alle segrete cure,
il guarito pianto: camera mia, mio fiele
fedele!: ora piango ma langue pure questo
e opprime le dirupate valli
del riso fra Mortara e Sartirana nel più
sommerso solco –: non sempre quello snodo
di mostri dirama l’avanzata
ma sempre più sorprende il bel bosco,
il diletto lume, il cielo fosco

almeno uno, perfetto davanti a questo
ventivo controllo – piuma dorata, qualcosa
è avvenuto: un passamento, un tumultare:
un moto immoto che si muove obliquo! –, è
riuscito, nello scintillio di smalti,
al rosso accendere i gerani:
qui è registrato come umile animale
tanto che il mio grido rivela mari
di terra: è queste fate, è questa lenta
pupilla e insegna le strade così
ai rivelati come
ai danzanti lumi
fino a somigliare a una tenebra
(là dove pioggia battesse orribilmente)
 
“queste falle, nemmeno possono sentirsi!
qualcosa, però, improvvisamente diviene
la corona di spine ma come ordigno perché
si è dovuto colpire!: lo stesso specchio
ha le sue consistenze fino a strafare,

qui alla parabola, questa serata nuova”
è provincia nel riporto proprio mentre
ripete, di un altro moto, il perpetuo
stancarne l’addirittura detto ‘strumento’

________________________________________
 
[questo componimento, parte integrante di una intera raccolta che mai vide luce, apparve all’interno del quaderno collettivo “a Marino per Moretti” di Casa Moretti, Comune di Cesenatico, datato maggio 2000. L’ultima cosa pubblicata su carta stampata. 
Seguì il silenzio forzato]

martedì 1 agosto 2023

per chi non lo sapesse

Per chi non lo sapesse, Fabio Galli, dalla seconda metà degli anni ’80 ai primi anni ’90, è stato redattore della rivista Poesia presso Crocetti Editore ed in seguito ha lavorato come redattore esterno per il gruppo Elemond, poi, in qualità di direttore responsabile, alla rivista "Mix, viaggiare attraverso le culture", di C&A edizioni, Monza.

Durante questo periodo Galli ha pubblicato numerose poesie, talvolta servendosi di diversi pseudonimi. Suoi versi sono apparsi sulle riviste Alfabeta (con una presentazione di Antonio Porta), Poesia (fondata da Nicola Crocetti), Tracce, Via Lattea, Offerta Speciale. Sulla rivista Poesia del gennaio 1993 (n°58) ne "I poeti di trent’anni" Milo De Angelis selezionò una serie di componimenti e prose poetiche di Fabio Galli tratti da "Cani d’amore".

Attualmente, con lo pseudonimo di Bo Summer’s, collabora al quotidiano digitale www.gaiaitalia.com, dove, alla sezione cultura, cura una rubrica https://cultura.gaiaitalia.com/cat/zio-bo/

Nella stessa pagina ha gestito piccole sottorubriche Recensenda (critica letteraria), e Memoranda (riletture e riproposizioni di autori che ha amato). Ora con Riesumanda propone suoi vecchi testi che si perderebbero nel vuoto pneumatico della dimenticanza.

All’edizione del 2014 del Teatro Festival promosso da www.gaiaitalia.com con la collaborazione del Teatro Studio Uno di Roma, Fabio Galli ha partecipato con una conferenza dal titolo "La cultura come diritto umano fondamentale". Recentemente l’autore ha pubblicato, in formato e-book, due libri: "Storie", una raccolta di racconti di Bo Summer’s (pseudonimo dell’autore) e Soufiane El Khayat , e il romanzo "El Horno", alla stesura del quale ha lavorato per dieci anni.

quasi a spregio di tutto quello che sta accadendo da più di 20 anni intorno al mio nome, vi ricordo questo:

Florilegio

si rialzò, guardò le fotografie che coprivano le pareti e riconobbe alcuni di quei visi. Tornarono lentamente, a piedi, verso la casa dove gli era stata preparata la camera. Il giovane tremava di gioia in presenza di quella grande anima venuta da tanto lontano, per portargli le parole. Ma perché ricordava ora il ritorno per la campagna addormentata? Si stupi del piacere che avvertiva in quelle corrispondenze. Una sera si sorprese a baciare la fotografia. In ginocchio, davanti alla finestra aperta che inquadrava il liquido. “Allora, vuoi essere mio amico?” Fuori, nelle vie deserte alle dieci, poterono parlare. Alla porta dell’albergo dovette lasciarsi. “Ebbene, fra noi è per la vita e per la morte caro!”

[da Poesie su Antologia Trame della parola a cura di Antonio Spagnuolo, edizioni Tracce, 1985]

avevano dovuto smettere di discutere perché là essa si era fermata: affannata, lucente, di vertita, battendo le lunghe ciglia del sorriso. I vetri neri risplendevano. Le pareti, con un rumore assordante, sparirono. Sorgeva improvvisamente al di sopra di quei gruppi: adorava Baal e declamava, imprecava, vagava a grandi passi, le mani levate al cielo. Correva lungo le tavole imbandite per la festa. Sotto le sue catene arrugginite si accatastavono i loro corpi, vaste vallate si aprivano rovesciandosi in ampie fiumane rosse. La festa, quella vera, doveva ancora iniziare

[da Impura, edizioni Tracce, collana I campi magnetici, 1986]

le ombre vanno dalla parte dei lanci. Un minuto, magnificamente, si fermano davanti a me, così vicine da assumere il ruolo di chiassosi lumi e guizzi incarnati all’aorlo della soddisfazione. Poi le loro parole di marmo rosa “tu che ami”. Io lascio guardare all’interno della disperazione – per quanto possibile – è una specie di llarme prematuro. Accanto a me – come ideale delle Foreze delle Diaboliche Visitazioni – c’è un messaggio. Le parole di fuoco sono “non si possono confondere, per quanti videro queste cose, col fracasso dei sassi, queste voci!”

[da Caròla, Crocetti editore, 1992]

ancora non è vittima a nulla. Di verde e di rosa è mite. Per i visceri suoi non è più in crescita. Non sarebbe ben buona educazione spalancare il suo balcone – non vi pare? – non ama alcuno e perciò. Grande Agitazione. “Madonna che allegria!” lì a ripetere svoltando fra il vecchio rosso ottenuto all’estate, gettao su di una sedia. Consulto al parlo, la voce che s’aggrotta rivolge al sottomettersi, al guardiano del luogo: tremano al vincersi. Di nuovo al bosco, al territorio d’acqua che non è nulla – se non acqua sobria all’ascolto e un maggio viene ad adescare, signore!, al possesso che può essere esercitato. Lì, come a vedere eguale allo stesso genere

[da Prima, nella storia, ancora, Bandecchi e Vivaldi editore, 1995]

 
bene. Queste cose venivano prese in considerazione, forse era un altro Mondo o forse sono di un altro Mondo io, non saprei…

lunedì 31 luglio 2023

che rovesciato s'ascoltasse

Che rovesciato s’ascoltasse il di fuori! Come se fosse fatto viso, violento. Ma poiché c’è, questa tua faccia, su cui venire, fino in fondo, così, in duplice enunciata orgasmica quasi a rivivere in un’ondulazione di spasmi. Tu dici. La fine dei tre giorni insieme. Diverso. Meno presente. Col membro che si solleva da solo.

È un gesto, ormai, leggere i tuoi occhi. Noi eravamo, e si vede che è così, qui, alle stoffe, per colmare ciò che non è stato. E dell’aria sussiste.

Qualcosa, i frammenti di sbieco, discosti da un riflesso.

È difficile, adesso, risalire. Quasi agitata, la mente. Era senza questo presente, lo scorrere del tempo che torna da uno scambio, s’interrompe. S’era interrotto. Ma ripiegava ogni volta e ogni volta una registrazione, non proprio ogni volta, c’era.

Non più precisi di così, ero io, restavo. Perché vengono. Questo è accumularsi, dilatarsi, mentre l’insieme di tutte le cose non vien detto qui. Lo trovo, oggi, sull’orlo coricato.

Voi, in piedi, di fianco, dentro l’operazione. E non io in quel numero. La torsione era dunque l’eco.

Istantaneamente profondità o meglio: la carne, quel salto che risponde quale era scritto. Come se il muro, là, non altro colore potesse ricevere, per cui: il sudore.

Così, il punto e gli occhi, una forma che copre e allora sorge la testa. Questo richiamo, la bocca di qualcuno al seme, l’episodio che non avrebbe reso il rosso, il cielo riflesso, strappato nel quadro, terroso, dalla parte giusta che è poi la stessa che indicano tutti.

Al momento, in questo recesso, che è un momento di noi, gridando alla gola, venivamo.

S’apriva, così, a darci, in rilievo remoto.

[Minime Anime: Qualcuno mi ha chiesto di poterlo leggere, quel testo. Pochi, invero, ma si sa che a me basta così.

La stesura originale apparve, per diretto interessamento di Ubaldo Giacomucci, nella rivista "Tracce, trimestrale di scrittura multimediale", anno V, Luglio/Agosto 1986. Qui se ne presenta una versione con non poche variazioni perché il tempo è passato ed è giusto così.]

Intervista a Bo Summer’s Fabio Galli, autore del libro che pubblichiamo a puntate, “El Horno” (10 Febbraio 2013)


Fabio Galli03di Maximiliano Calvo

El Horno, il libro di Bo Summer’s curato da Fabio Galli che pubblichiamo a puntate, è solo il primo di un progetto culturale che noi di Gaiaitalia. com abbiamo ben chiaro e che vogliamo portare avanti, insieme ad altre iniziative che saranno rese pubbliche quando sarà il momento. L’intervista all’autore non è un obbligo, è una necessità. Per conoscerlo, prima di tutto, e per parlare di letteratura e scrittura, e di cultura, ché non se ne parla più, quando non è quella becera istituzionalizzata da anno di burlesconismo & soci. Di seguito domande e risposte. Con conseguenti ringraziamenti.

L’intervista:

La genesi de El Horno (che tra parentesi è un locale gay che esiste sul serio)… ?

El Horno è un locale che esiste davvero, in Spagna, ma la descrizione dell’ambiente assembla vari locali che si possono identificare facilmente. Tutto nasce da una di immagine che io trovavo divertente: un uomo, durante un fist subito, ha la visione angelica di Nina Hagen nel suo periodo ultraterreno: completamente ambientato negli Anni ’80, El Horno ha una struttura cut-up ma la follia è stata di scriverlo in ordine alfabetico. Le prime stesure, iniziate intorno al 1995, risentivano di una scrittura vicina a Il pasto nudo o I ragazzi selvaggi di William Borroughs, poi col tempo, trasformai la forma e l’avvicinai a Jean Genet senza timore. Dieci anni di lavoro sul testo e le successive stesure, mi hanno permesso di raggiungere un risultato che è, forse, al di fuori dei nostri tempi, fuori certamente da un mercato editoriale che non ha nessuna intenzione di rischiare.

Come nasce il binomio Fabio Galli Bo Summer’s?

Fabio Galli nasce come poeta alla metà degli Anni ’80, pubblicando un testo molto vicino alle impressioni del Surrealismo per una piccola casa editrice di Pescara, si trattava di Impura e Tracce. Poi un lungo apprendistato come redattore alla rivista “Poesia”, un libro per Crocetti editore, Caròla, e una versione stralunata di un testo giovanile di Verlaine, Melancholia, ed. L’Obliquo di Brescia. Per quindici anni Fabio Galli fece il poeta lavorando nell’ambiente che amava e pubblicando varie plaquette sempre per piccoli editori e proseguendo con alcune collaborazioni con un grosso gruppo editoriale in qualità di editor. Poi accadde qualcosa… uno stallo, come se si fosse rotto l’incantesimo. Se ne andò, Fabio Galli, dall’ambiente editoriale, qualcosa non funzionava più, non era esattamente quello che aveva immaginato. L’ambiente della Poesia, che doveva essere puro, non si rivelò tale. Brutte storie. Arrivismi. Fabio Galli sparì, e intanto scriveva. Agli inizi di questo meraviglioso nuovo secolo cercò di rientrare nell’ambiente ma le porte si erano ormai sbarrate. Cercò di pubblicare, ma niente. L’oblio. Improvvisamente, scoprii internet, in assoluto ritardo sul mondo intero, cominciai a pubblicare blog e cose varie, per mio conto, prendendo come nome quello di un vecchio attore porno Anni’80, nemmeno così tanto famoso, Bo Summer. Bo Summer’s per vezzo.

Perché sceglie di ambientare la Sua storia in un sottoambiente del sottoambiente riservato alla comunità gay?Fabio Galli 01

Sarebbe stato facile scrivere una storia d’amore alla Pier Vittorio Tondelli o scrivere come Matteo B. Bianchi, Andrea Mancinelli, Marco Mancassola, ma era mia intenzione rappresentare una realtà, la parte più oscura, la vera verità. Non ero intenzionato ad avere compromessi con nessuno ,a costo di essere stomachevole. Volevo raccontare la sessualità di molta gente gay che vive il proprio corpo come una macchina da combattimento, gente che ho incontrato in molti locali, in molte chat e in molti luoghi all’aperto. Per molti anni ho frequentato gruppi del “sottoambiente” della comunità gay. Una realtà poco narrata e c he io intendevo raccontare. Ho voluto scrivere, sì, una storia d’amore, ma volevo che fosse ambientata in una realtà che non è poi così troppo inventata, direi.

Ci parli del Suo passato e presente di poeta…

Il mio passato di poeta è roba del secolo scorso, forse nemmeno nessuno si ricorda di me, o finge di non ricordarmi che è peggio. Il mio presente di poeta sta rinascendo, ringrazio qui, pubblicamente, Elio Grasso, perché, nonostante io sia una orso, crede ancora in me e nella mia scrittura.

Senza remore, con assoluta libertà, cosa pensa del panorama cultural-editoriale italiano?

Ci sono buone cose in giro, ma l’editoria non mi pare abbia molta intenzione di sperimentare o rischiare. Non ho mai avuto risposte negative su El Horno, mai nessuno ha detto che il testo non avesse valore ma che il momento non era quello giusto. Cosa volessero dirmi lo lascio pensare a voi.

Ha subito censure?

Due editori soltanto mi hanno chiesto di ripulire un po’ El Horno, beh ho detto “no grazie” ed è finita lì.

Nel Suo romanzo El Horno, che stiamo pubblicando a puntate, Lei dice piuttosto chiaramente cosa pensa dell’associazionismo lgtb di questo paese, vuole rinfrescarci la memoria?

Forse mi state chiedendo cosa penso di Arcigay? Credo che Arcigay non sappia guardare la base dei suoi tesserati. È come se fossero su di un piedistallo. Mi sembrano fermi. Forse sbaglio? Ci sono invece piccole associazioni, piccoli gruppi che sono nati spontaneamente in questi anni, che solo a livello di aggregazione fanno molto di più e senza i proventi di Arcigay. Tenendo conto che la maggior parte dei tesserati Arcigay è data dai locali, i quali vengono frequentati non certo per discutere problematiche, e che gli stessi ultimamente, non avendo voce alle riunioni Arcigay, hanno istituito circuiti di tessere da club privato… e via, e via, mi domando quanti tesserati e sostenitori avrà Arcigay.

Non hanno ereditato i gay italiani, un po’ dell’idea dell’amore francese alla Proust che una volta frustrato li fa finire ne “El Horno”?Bo Summer's

El Horno parla di sesso allo stato puro. C’è molta pornografia, lì dentro. I gay italiani forse finiscono a El Horno perché il sesso è parte integrante della loro vita, Proust o non Proust. E poi sono convinti che troppi gay non sappiano nemmeno chi sia Proust ma sanno benissimo cosa è un fist.

Fabio Galli scrittore, chi è stato e cosa sarà?

Cosa farò da grande? Forse diventerò un caso letterario.

Che cosa prova nello scrivere?

Scrivere mi produce la sensazione di poter fare, di poter dire, e che nessuna possa fermarmi.

Possiamo dire che pubblicherà El Horno, nella nuova collana di ebooks di Gaiaitalia.com?

Con Gaiaitalia.com sono già fidanzato da un po’, cioè da quando mi hanno chiesto: “Scusi, ma Lei scrive?”, li ho amati subito. Mi è parsa una dichiarazione di intenti che non leggevo più da anni. Se questo fidanzamento diventerà un matrimonio, scusate, ma non può che farmi piacere.

 

Fabio Galli, classe 1961
è stato redattore della rivista “Poesia” (Crocetti editore)

Pubblicazioni:

Prima, nella storia, ancora, Bandecchi e Vivaldi editori, 1995
Balli e Canti, edizioni Pulcinoelefante, 1993
Caròla, Crocetti editore, 1992 
Impura, edizioni Tracce, collana I campi magnetici, 1986 
Melancholia, versione da Paul Verlaine, edizioni l’Obliquo, 1992

Blog:
recensenda,recensioni varie ed eventuali 
el horno 
scrivere come dio, epistolario 
Eliot. Aprile è il mese più crudele,saggio su The Waste Land 
misteriousXways, è il 30 ottobre 1938
per dario bellezza, in ricordo

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domenica 30 luglio 2023

riesumanda


Riesumanda rievoca alcuni testi che sono parte integrante di una raccolta, 'Cani d’amore', che vennero inseriti in una rubrica a cura di Milo De Angelis pubblicata dalla rivista Poesia, n° 58, Anno VI, Gennaio 1993, Crocetti Editore

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sabato 29 luglio 2023

Melancholia di Paul Verlaine, le traduzioni invecchiano


Paul Verlaine 01

Una breve introduzione: le traduzioni “invecchiano” quanto i traduttori; parrebbe che, con il continuo mutare degli orizzonti culturali, la ritraduzione dei classici sia non solo auspicabile ma necessaria: per rimettere in circolo ciò che sembrava un possesso acclarato, consegnato all’illusoria e spesso ingessata permanenza di versioni canoniche.
E così tanto più problematico fu, per me, ritradurre un autore già classico da sempre come Paul Verlaine, al contempo supremo azzardo, prototipo ed esito altissimo della poesia francese ottocentesca.
La traduzione, attività incessante di decodifica mentale da parte del lettore, è, secondo me, la molla stessa di quel procedere a strappi, a balzi, a scoppi e sbandamenti che incarna esattamente il movimento del pensiero, della rielaborazione adattata di un pensamento già avvenuto. Una infedeltà bene acquisita. E in cui ogni eco, o barlume di similitudine, si fa immediatamente testo, suono, disegnando in progressione sulle pagine una mappa della coscienza, idolo e demonico primattore di ogni secolo passato che diviene futuro.
La coscienza in cammino divenuta linguaggio.

Una versione – così allora la chiamai, non mi sentivo traduttore – che mi sono, dunque “autorizzata” e che uscì nel 1992 presso i tipi delle edizioni L’Obliquo di Brescia, per le premurose cure di Giorgio Bertelli, editore raffinatissimo che la pubblicò in forma di plaquette. Un testo giovanile del poeta amato da Rimbaud che ritenevo superlativo per qualità di resa e creatività ma forse troppo inascoltato e poco conosciuto per il nostro orecchio. Veniva ad affiancarsi a quelle, poche invero, di altri che mi avevano preceduto, con l’unico merito di recuperarla e renderla nuovamente disponibile per la mia vocazione al popolare e al collettivo che già allora mi pareva fosse necessità assoluta, nell’ottica di una cognizione dello scrivere che, proprio riflettendosi nei flussi più impalpabili di pensiero, potesse farmi apprendere, anche da quel testo giovanile di Verlaine, le sue regole di scrittura – metrica, rima – ma, pure, un sentire di un poter vivere democratico e tollerante. E un po’ comunardo. La condivisione di un sapere.
Temo lo si trovi a fatica, quel testo, mi va di renderlo nuovamente visibile, per una sorta di rivendicazione. Di diritto alla visibilità. Mio e suo.

Dato per certo che tradurre la parola di Verlaine era, per me, un gioco impossibile, decisi che, proprio per questo esatto motivo, l’impresa andava tentata.
Capivo che ogni versione non poteva che essere un gesto calato nella propria storia personale, e che era, inoltre, nel mio caso, un atto implicito di commento nato da una visione dell’autore con cui ingaggiavo un corpo a corpo così come se, innanzitutto, provenisse da un’idea di lettore. Non volevo, nemmeno lontanamente, pensare che le varie traduzioni di uno stesso libro fossero un febbrile, e inutile, agonismo tra loro per soppiantarsi a vicenda. Per me fu solo una prova di stile.
A parità di competenza e impegno, quell’impresa, piuttosto, si completò e venne in qualche modo considerata un piccolo evento. Piccolo.

Era un dato momento storico, quello, e contesto vivissimo di ricettività, qualcuno si accorse che il tentativo fu di rieseguire le armoniche forti del testo rivivendole nella nuova, nell’altra lingua. Cioè la mia.
E in ogni caso, se a porvi mano era stato un poeta giovane, fu fatale che balzò sulla scena come una presenza di quel primum e unicum che mi piaceva definire quasi fisico.

Ora, quel lavoro, dopo anni di sottaciuto oblio, mi piace di riproporlo, con qualche lieve aggiustamento, e si mostra subito per ciò che non è né vuole essere, a partire dalla nettezza di certe scelte lessicali, esibite quasi come petizione di principio.
Nelle prime battute, la macchina verbale è un fiume parlato cui mi sono abbandonato sull’onda di un’immaginazione sonora, tra mosse impreviste di voce, pause non lontane ed estatiche, ritorni e trapassi, incagliamenti, apparizioni e sdrucciolii, senza la pretesa di «capire e far capire tutto» come se tutto potesse avere la stessa dignità, come se tutto ciò che è umano e mobile potesse essere carico della grazia casuale di ciò che vive.
Tutto questo rieseguendo la partitura e dotandola di un ventaglio lessicale a volte inventato e non paragonabile ad alcun’altra traduzione di questo stesso testo, cercando di orientarmi verso una personale extralingua, una foga ispirata a una gioia deformante e volendo tentare, anche sul piano del ritmo, il riordino personale delle parole, creando una ricontinua mutazione del testo e consegnandone, così, una peculiare estraneità all’originale stesso.

Perché è davvero suscitando nel lettore, anch’egli a suo modo traduttore e farneticante immaginatore, l’esperienza di quello sfrontato potere liberatorio impresso prima di tutto dal suono, cantilenato nella testa, che si agisce.

Durato un intero Inverno, il lungo ascolto di Melancholia intese, perciò, sfociare in una forza di reinvenzione che potesse attecchire, anche solo sporadicamente, in un mondo unico e si potesse esprimere in un passo mentale solo mio, facendosi voce volutamente eccentrica, fuori ordinanza, rispetto alla prassi della traduzione di mercato.

A sollecitarmene la traduzione fu il mio pensiero sul corpo fisico della parola, niente altro, la ricerca di un suo teatrale sapore di furto, nei versi dove si affondano le mani nelle cadenze dei gerghi o di un italiano latente.
Una polveriera inusuale, un armamentario allo stesso tempo ricercato e popolare, sferzante e reticente, con un gusto di irrisione che emerge nei momenti in cui insiste nella parodia del sublime e dell’amorevole.
Un nodo in cui addensavo le allusioni più subdole, annunciando e intrecciando le mie prime prove acustiche, il senso del suono.

Di questo testo inseguii insomma anche la qualità incantatoria della parola, la possibile musicalità, essenziale per il suo stesso suono, prima e molto al di là del senso stesso, che sfrondava tutto il diaframma tra materia e simbolo per impadronirsi del lettore precipitandolo in uno spaesamento, in una deriva fantasticante a fronte della stessa lingua nella sua interezza storica.
Così una forma tipica, per me, di quest’esperienza di rilettura, fu la tentazione del caos e quella dell’ordine, l’abbandono alla corrente e la sveglia delle impensate connessioni tra realtà, generando un nuovo abito percettivo.

La celebrazione della meraviglia di un Inverno come tanti, dell’eroismo normale dell’essere umani, di astuzie e crolli di un’umanità bonariamente sbilenca, non restò che confinato nella mia idea di letteratura.
Reti di ricorsi e rimandi che quasi danno l’impressione di autogenerazione, nel continuo fluire fra mondo individuale e condiviso, dentro e fuori, mente e realtà.
Allusione indirettamente nel solo testo: un’elaborazione non sofferta, ma soggetta anch’essa a sbandamenti e ritorni, emergenze e giunture, dove suggestioni individuali possono prender piede sul dato acquisito.

Una virtù trasformativa e, forse, felicemente operante e un modo per riscrivere i libri, fedeltà di pensamento ma non di parola, energia, colori, tonalità, contentezza di condivisione, senza dover rendere conto alla dittatura della maggioranza. Divenne una posizione, la mia, insensatamente parziale e personale, come accade per ogni vera posizione, che porto avanti ancora oggi.

 

 

 

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