Egregio Signore,
che Lei non abbia ancora avuto modo di leggere i due lavori che, premurosamente, Le ho inviato (Minime Anime e, in seguito, in maniera più timorosa, Mio del suono che allora trascrissi, nella lettera d’accompagnamento, Del mio suono. E neppure corressi, chissà perché)?
Non ho da Lei, che così tempestivamente mi ebbe a rispondere per El Fistolo de l’Inferno (che prontamente pubblicò su quel numero di “Alfabeta” in mezzo ad altre voci di nuovi poeti) ricevuto alcun segnale.
Sono forse, queste mie, chimere che ammaliano (che, comunque, mi turbano) e non credo, in nessun modo, siano inferiori a quel mio primo da Lei letto e accettato.
Pongo ogni cosa sul conto, sul mio conto personale e da questo tutto deduco: che i miei scritti non abbiano una realtà letteraria? Non più? Ne ho paura (è così semplice illudersi)!
Un rapporto esiste fra questi scritti, anche se non sempre evidente: giungono tutti al mio stesso arrivo.
Parliamoci francamente, gentile Signore: io so che esistono dei legami che non dipendono dalle nostre volontà. Polsi legati da una catena che unisce due manette strette da una amicizia profondamente particolare: ferrea.
Certo, non costruisco in mezzo a calme acque ma mi congiungo al continente attraverso tempeste. Altri non hanno tali riguardi e non si trovano in questi stati di estrema inquietezza (il mio alloggio).
Forse quelle mie parole sono troppo “forti” (per quello che dicono) e “incomprensibili” (per come parlano).
Ma non mi pare sia questo il vero problema.
Non ho, è vero, forme tondeggianti, lisce ma credo si tratti proprio d’un metallo lucente (acciaio?) che si rivolta, si contorce e produce dolore, in verità.
Non me ne voglia, cortese Signore, per questa mia non punita domanda. Ma io devo sapere, fino in fondo, di questa mia impresa.
Vengo ora a questo mio breve poemetto che le allego: precisamente, oro. Il motivo principe di questa mia missiva. Lo annuncio come la nascita di un nuovo figlio (con un bel fiocco colorato appeso fuori dalla porta. Posso usare queste parole non mie come avviso?):
“.. ho cercato qualcos’altro: un andare a capo ancora più lontano dal senso – dal senso inerente a due versi separati e da quello orchestrale che ne illumina la separazione – ho cercato cioè una rottura della frase che fosse obbligata ma non innalzabile dalla frese stessa né dalla totalità delle frasi. Che fosse innalzabile da una specie di dettatura, la quale imponeva di spezzare la frase senza spiegazioni e di amare questa spaccatura in una visione totale della poesia, non di quella poesia: ?totale? Qui inteso come l’insieme di ciò che preesiste – una poetica – e di ciò che incombe, un brancolamento che si farà poetica. (Milo De Angelis)”
Vado scoprendo, quasi a giustificare me stesso, le parole di altri? Quale potenza invocare per dare corpo, nuovamente? Poiché io sarò al centro di ogni tristezza disperata fino a quando non mi sarà detto.
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