venerdì 22 novembre 2024

"Che fare?" di Nikolaj Gavrilovič Černyševskij

Immagina di trovarti nella Russia del XIX secolo, un paese in fermento, percorso da tensioni sociali e sogni di cambiamento. In un angolo di Pietroburgo, Nikolaj Černyševskij, imprigionato nella Fortezza di Pietro e Paolo, si china su fogli di carta, con l’intento di scrivere un’opera che possa ispirare una generazione. E così nasce Che fare?, un romanzo che è molto più di un semplice racconto: è un manifesto, un sogno a occhi aperti, un grido di rivolta.

La storia ruota attorno a Vera Pavlovna, una giovane donna che fugge dalle convenzioni oppressive della società zarista. Vera non è solo una protagonista, è un prototipo: un’esperienza di emancipazione femminile che si concretizza nella creazione di una cooperativa di lavoro gestita da donne. Attraverso questa figura, Černyševskij ci porta dentro un laboratorio narrativo dove si sperimentano idee radicali: il socialismo utopico, l’uguaglianza di genere, l’amore libero.

Vera non è sola. Accanto a lei si muovono personaggi che sembrano quasi simboli di correnti ideologiche: Lopuchov, il marito-progressista che le offre la libertà di autodeterminarsi, e Kirsanov, il medico-filosofo che rappresenta il futuro razionale e scientifico. Ogni dialogo tra questi personaggi non è solo scambio di battute, ma una dissertazione travestita da narrazione, un invito a riconsiderare il mondo così com’è.

La struttura del romanzo è peculiare: Černyševskij si rivolge direttamente al lettore, rompendo la quarta parete con un tono ironico e pedagogico. Ti sorprende, ti sfida, ti ammonisce. Ma la sua retorica può essere pesante: le lunghe digressioni teoriche, i sermoni sui destini dell’umanità, a volte, sembrano schiacciare la trama. Eppure, è proprio in questa esasperazione che il romanzo trova il suo fascino unico.

Che fare? non è solo una lettura, è un’esperienza intellettuale che ha influenzato generazioni di rivoluzionari, da Lenin a Emma Goldman. Se Tolstoj e Dostoevskij hanno scavato nel cuore umano, Černyševskij ha immaginato un mondo nuovo. Certo, è un romanzo utopico, ingenuo, persino ingenuamente ottimista. Ma è proprio questa ingenuità che lo rende prezioso: il sogno, per quanto imperfetto, può ispirare a costruire realtà migliori.

Un aspetto peculiare di Che fare? è il ricorso al sogno come strumento di trasformazione. Uno degli episodi più famosi è il "sogno cristallino" di Vera, dove immagina un mondo futuro: un eden socialista fatto di pace, produttività collettiva e armonia. Questo momento non è un semplice espediente narrativo, ma un modo per proiettare il lettore in un'utopia concreta, palpabile. Černyševskij non si limita a sognare, ma rende il sogno una guida pratica, un'ispirazione per la realtà.

Un altro tema centrale è la rappresentazione dell’amore, trattato con una modernità sorprendente. Le relazioni tra i personaggi principali – in particolare il triangolo Vera, Lopuchov e Kirsanov – sfidano le norme sociali del matrimonio ottocentesco. Qui l’amore non è possesso, ma cooperazione, rispetto reciproco e libertà. Černyševskij costruisce un modello relazionale in cui l’autonomia individuale si intreccia con il progresso collettivo, aprendo le porte a un’idea di società più equa.

Eppure, dietro l’entusiasmo del romanzo, si nascondono anche alcune ombre. La fiducia incrollabile di Černyševskij nella scienza e nella razionalità come soluzioni a ogni problema umano può sembrare oggi un po’ ingenua. Il suo mondo ideale è ordinato, quasi meccanicistico, dove l’emozione e l’imprevisto sono subordinati al progresso. Questa rigidità può far sorgere domande: è davvero desiderabile una società perfettamente razionale, priva di conflitti e passioni?

Alla sua uscita, Che fare? fu accolto con entusiasmo da chi sognava un futuro socialista, ma anche con dure critiche per la sua apparente mancanza di profondità psicologica e stilistica. Dostoevskij, ad esempio, scrisse I demoni in parte come risposta sarcastica a Černyševskij, mostrando come l’utopia, in mani sbagliate, potesse diventare distopia. Tuttavia, l’impatto storico del romanzo è innegabile: non è un’opera che si legge soltanto, ma un’opera che si vive, che provoca, che spinge a discutere.

In definitiva, Che fare? non è un romanzo per chi cerca una lettura scorrevole o intrattenitiva, ma per chi vuole immergersi in un’esperienza intellettuale complessa. È una finestra aperta su un’epoca di grandi speranze, ma anche un monito per riflettere sui limiti dell’idealismo. Se si accetta la sfida, lascia un segno indelebile. E in fondo, non è questo il vero scopo della letteratura?

Nel cuore del romanzo, l'emancipazione femminile emerge non solo come un tema, ma come una forza rivoluzionaria. Vera Pavlovna incarna l’idea che la liberazione personale delle donne sia il primo passo verso la trasformazione sociale. Le cooperative femminili che organizza non sono solo spazi di lavoro, ma veri e propri microcosmi del futuro: collettivi autogestiti dove la solidarietà e la produttività si fondono. Questo aspetto ha un valore straordinario per l’epoca, anticipando le lotte femministe del XX secolo e l’idea che il cambiamento sistemico passi attraverso l’autonomia delle donne.

Che fare? è uno strano ibrido: non funziona sempre come narrativa tradizionale, perché i suoi personaggi, pur vibranti, sono spesso piegati a esigenze ideologiche. Tuttavia, è questa dualità a renderlo affascinante: ogni capitolo si legge come un tassello di un disegno più grande, in cui Černyševskij alterna l’empatia umana alla spinta teorica. È un’opera che ti scuote, perché non ha paura di essere didascalica, quasi provocatoriamente.

Černyševskij non scrive per intrattenere, scrive per reclutare. Questo non va dimenticato: Che fare? è un’opera militante, una chiamata alle armi, soprattutto per i giovani intellettuali russi. Attraverso le domande retoriche e i continui interventi diretti, lo scrittore ti spinge a riflettere sul tuo ruolo nella società. Non è una lettura passiva: è un duello intellettuale, una sfida continua a ripensare le convenzioni, perfino quelle letterarie.

Se c'è un aspetto dolceamaro nel leggere Che fare? oggi, è la consapevolezza del destino di molte delle idee di Černyševskij. Il socialismo utopico che descrive, così idealizzato e razionale, è stato spesso tradito dalle sue incarnazioni storiche. Eppure, il romanzo conserva una sua potenza morale: è un invito a non smettere di immaginare, a credere che un futuro migliore sia possibile, anche quando sembra irraggiungibile.

Non si legge Che fare? per essere d’accordo con Černyševskij, ma per confrontarsi con il suo ardore e la sua visione. È un libro che divide, che provoca, ma che non lascia indifferenti. In un mondo dove il cinismo spesso prevale, il suo ottimismo radicale è una boccata d’aria – forse naïf, ma assolutamente necessaria. Anche solo per questo, è un’opera che merita un posto sugli scaffali, e nel cuore, di chiunque ami la letteratura impegnata e visionaria.

Uno degli aspetti più affascinanti di Che fare? è l’idea della "nuova persona", un individuo che non si limita a sopravvivere nelle strettoie della società zarista, ma che si rigenera attraverso l’educazione, l’autodisciplina e la collaborazione. Vera Pavlovna, Lopuchov e Kirsanov non sono semplicemente personaggi, ma modelli di ciò che Černyševskij immagina come il cittadino ideale di un mondo socialista: razionale, altruista, progressista. Questo ideale, pur così distante dalla psicologia profonda dei romanzi di Dostoevskij o Tolstoj, rappresenta una struttura simbolica potente, che plasma ogni decisione narrativa del romanzo.

Che fare? è, in fondo, un libro che vive dell’energia di ciò che non esiste. La sua forza risiede nella capacità di dipingere un futuro che sembra così vicino da poterlo quasi toccare, eppure così distante da sembrare irraggiungibile. Černyševskij scrive con una fede incrollabile nella possibilità di cambiare il mondo, ma questa stessa fede diventa a volte il punto debole del romanzo: l’utopia, così perfetta e ordinata, può risultare fredda e inumana. È un prezzo che Černyševskij paga volentieri, convinto che l’ideale valga ogni sacrificio narrativo.

Oggi Che fare? rimane un’opera divisiva. Da un lato, è visto come un capolavoro del pensiero utopico, un faro per chiunque creda nel potenziale trasformativo della letteratura. Dall’altro, è criticato per il suo approccio didascalico e la scarsa profondità emotiva. Eppure, è proprio in questa ambivalenza che risiede la sua forza: non è un romanzo da amare o da odiare, ma da interrogare. Ti costringe a riflettere sulle tue convinzioni, sui tuoi valori, su cosa saresti disposto a fare per cambiare il mondo.

La domanda del titolo non è rivolta solo ai personaggi, ma direttamente al lettore. Che fare? ti invita a chiederti se sei disposto a immaginare un mondo migliore, anche a costo di sembrare ingenuo o utopico. E questo, forse, è il contributo più grande di Černyševskij: non l’utopia in sé, ma la volontà di sognare, di agire, di non arrendersi mai alla realtà così com’è.