Conservo giorni chiari e trasparenti,
pieni d’assenza, eppure già presenti,
come promesse appese a un filo d’aria,
prima che il tempo li confonda e spezzi.
Non li ho mai visti, e già li tengo stretti,
nel loro vuoto lieve, nelle pieghe
di volti ignoti e voci mai sentite,
eppur vicine come il fiato al petto.
Manie sottili, fragili, leggère,
sono radici d’altri giorni ancora,
che scorrono nei libri come vene
e pulsano di vita sconosciuta.
Seguon le labbra, pieghe di parole,
e poi dimore abbandonate e vuote,
che restano colme di un’eco sola,
un suono spento che risale lento.
E quando incontro frasi magre e scarne,
svuotate come corpi senza voce,
le accarezzo con dolcezza e vado,
come chi danza sull’orlo del baratro.
Non l’ho mai detto prima, ma quest’oggi
è mare e luce, un canto che m’avvolge,
mi chiama forte e poi m’allenta piano,
finché mi perdo in tutto il suo splendore.
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Conservo giorni limpidi e sospesi,
giorni che il tempo ancora non ha presi,
leggeri come sogni non vissuti,
eppur profondi, vivi già nel petto.
Non li ho mai visti, e già li stringo al cuore,
come si stringe l’eco d’un sapore,
prima che giunga il tempo a dissiparlo,
prima che il vento osi disperderne.
Manie sottili, quasi impercettibili,
serpeggiano tra i gesti e nelle righe
di libri dove il fiato si raccoglie,
sul filo teso d’un pensiero fragile.
Sono radici d’ore non sbocciate,
vene nascoste sotto pelli nuove,
che pulsano del sangue d’una storia
ancora muta, eppur già tratteggiata.
Seguon le labbra, pieghe che raccontano,
dimore vuote, ormai senza padroni,
che pure serbano memorie dense,
un odore antico che non svanirà.
E quando incontro frasi scarne e mute,
spoglie come un inverno senza gemme,
le colgo lente, come chi raccoglie
un frutto amaro e ne sorride appena.
Mai l’avevo detto, né pensato,
che un giorno solo potesse contenere
il canto del mare e il suo respiro,
un vento dolce che mi chiama e piega.
Oggi lo so: c’è luce che dilaga,
un raggio che attraversa ogni mia trama,
e mentre ascolto il mare, m’abbandono
alla sua voce che mi afferra e infrange.
Onda su onda, mi dissolve piano,
finché non resto che una forma d’acqua,
confusa e chiara insieme, senza nome,
parte del tutto, e in esso annientata.