sabato 16 novembre 2024

Fermarsi è correre (50 sonetti)

Questi sonetti sono un viaggio poetico che esplora la complessità e la fluidità dell'esperienza umana attraverso immagini di luce, buio e tempo. Ogni testo è una riflessione sulla percezione, sull'inganno della luce e del giorno, sull'infinita oscillazione tra il movimento e l'immobilità, il fermarsi e il correre, che si intersecano e si ampliano in un gioco di opposizioni e rivelazioni sottili.

Nel buio, anziché trovargli una definizione semplice di assenza o vuoto, si scopre una forma di resistenza e di attesa, uno spazio che accoglie e trasforma ogni momento in un respiro profondo. La luce, che spesso è simbolo di chiarezza e verità, in queste poesie diventa ingannevole, una forza che rivela solo ciò che è superficiale e nasconde l'essenza più profonda del mondo e dell'anima.

Il tema del fermarsi e del correre si intreccia con un ritmo che non è mai lineare, ma si disfa e si ricompone in un ciclo continuo, simile al respiro stesso: un movimento che non può essere separato dalla quiete, ma che trova nel silenzio e nell'immobilità una sua propria espansione. Ogni sonetto si svela come una riflessione di ciò che è invisibile o inafferrabile, una mappa che disegna il nostro percorso esistenziale tra desideri, illusioni e verità nascoste.

In questi sonetti, il lettore è invitato a esplorare il confine tra ciò che appare e ciò che è, tra il visibile e l'invisibile, trovando nella loro struttura formale un equilibrio tra rigore e libertà. Sono poesie di sospensione e attesa, che si pongono domande senza risposte definitive, eppure riescono a generare una forte sensazione di compimento, di movimento circolare, in cui il passato e il futuro si fondono in un eterno presente.

Essi si offrono come un invito a riflettere sul nostro rapporto con il tempo, la luce e il buio, ma anche con noi stessi. In un mondo che sembra sempre più frammentato e veloce, queste poesie ci chiedono di fermarci, di ascoltare il silenzio e di riconoscere che il vero movimento non è sempre quello che vediamo, ma quello che accade dentro di noi, nei recessi più profondi della nostra coscienza.

Ogni sonetto, pur mantenendo una sua autonomia, costruisce un mosaico di emozioni e immagini che si rivelano solo gradualmente, lasciando spazio a più letture, a interpretazioni personali che si arricchiscono con ogni lettura. In questo senso, non si tratta solo di una raccolta di poesie, ma di un viaggio interiore, un dialogo con l'ignoto e con la parte di noi che ancora non conosciamo del tutto.

Questi sonetti sono anche un riflesso del nostro bisogno di trovare risposte in un mondo che spesso sembra privo di certezze. Ma più che offrire risposte, invitano a vivere l'incertezza come una forma di conoscenza. L'illusione della luce e la profondità del buio non sono contrapposti, ma complementari: entrambi ci insegnano qualcosa di fondamentale sulla nostra esistenza e sul nostro cammino.

Infine, il ritmo stesso del sonetto, con la sua struttura rigida e ordinata, diventa simbolo di quella tensione tra la necessità di controllo e la libertà dell'imprevisto, che è sempre presente in ogni nostro passo. La poesia si fa, così, una via di esplorazione, un atto di liberazione che ci permette di vedere il mondo in modo diverso, di andare oltre la superficie e di scoprire il significato nascosto in ciò che ci circonda.

E, in fondo, è proprio questo il cuore di questi sonetti: un invito a guardare oltre, a fermarsi e a correre insieme, nel mistero e nell’infinito movimento che è la vita stessa.

C'è sicuramente dell'altro in questi sonetti. Se ci si sofferma sulle sfumature e sugli spazi non detti, emerge una dimensione ancora più profonda, che riguarda il nostro rapporto con il concetto di "esistenza" e la percezione della realtà. Mentre il tema del buio e della luce può sembrare un gioco di opposizioni, in realtà ci svela un paradosso fondamentale: il buio non è solo l’assenza della luce, ma una sua forma di manifestazione. E allo stesso modo, la luce non è mai pura, ma costantemente filtrata, interrotta, rivelando quanto la realtà sia sempre parziale e sfuggente.

C'è anche una riflessione sul concetto di "tempo". Spesso, nei sonetti, il tempo non è lineare né prevedibile. Non c'è un inizio chiaro né una fine definitiva. I momenti si sovrappongono, e il movimento tra fermarsi e correre, tra l’immobilità e la spinta in avanti, riflette quella sensazione di frammentazione temporale che molti di noi provano nella vita quotidiana. Il fermarsi non è mai davvero fermarsi, ma un continuo ripensare e riprendere fiato, un ciclo che si ripete all’infinito.

Un altro elemento che emerge è il dialogo con l’incertezza. Mentre nella vita siamo abituati a cercare certezze e risposte, i sonetti ci portano a confrontarci con l’idea che forse le domande, e non le risposte, siano ciò che ci definiscono. Il buio non è solo una metafora della paura o del mistero, ma anche della possibilità, del potenziale non ancora esplorato, un invito a stare nella domanda senza cercare continuamente una conclusione.

Il tema del movimento, che attraversa l'intera serie, diventa anche un’esplorazione delle contraddizioni interne dell’individuo. La corsa e l’immobilità sono due facce della stessa medaglia: in entrambi i casi, si tratta di cercare qualcosa che sfugge, di un desiderio che non trova mai piena realizzazione. La tensione tra il desiderio di andare avanti e la necessità di fermarsi diventa, in un certo senso, la rappresentazione del conflitto umano, dell'essere continuamente sospesi tra il bisogno di scoprire e la consapevolezza che ogni scoperta porta con sé altre domande e incertezze.

Infine, c’è il senso di sospensione, di incertezza rispetto al futuro. L'idea che, al di là del movimento o del fermarsi, c'è un'attesa che pervade ogni atto, ogni respiro. Questo "attendere" non è passivo, ma è carico di possibilità, di quei momenti sospesi tra il prima e il dopo, tra il conosciuto e l'ignoto, che ci caratterizzano come esseri umani. In ogni verso, c'è la consapevolezza che ogni istante è transitorio, e che ciò che ci definisce è proprio la nostra continua evoluzione dentro e attraverso queste transizioni.

Una riflessione esistenziale, una metafisica del movimento, un invito ad abbracciare l'incertezza come parte integrante della vita, un dialogo continuo con ciò che non possiamo afferrare ma che, proprio per questo, ci arricchisce.




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Sonetto 1
Non sapevo che il buio è un’altra luce,
che cela al mondo il suo più vasto arcano,
un’ombra che ti abbraccia, lieve e piana,
e non è nero, ma abisso che induce.

Non sapevo che il giorno, al cielo, lucce
d’un bianco che non esiste, troppo umano,
e dentro il chiaroscuro, vita vana,
si cela un’altra verità che cruccia.

La luce non è guida, ma inganno,
acceca il cuore, spinge a falsi passi,
lasciandoti smarrito in mezzo al danno.

E fermarsi non placa, né rilassa,
è moto che nel suo quieto affanno
spinge l’anima oltre tutte le sassa.


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Sonetto 2
Nel buio trovo il fiato che mi manca,
respiro che si tende al proprio vuoto,
un grembo d’ombre, dolce, eterno moto,
ove tace la mente, e il cuore arranca.

Non v’è paura nella notte stanca,
ma il senso di un confine mai devoto,
né nero, né disperato, né ignoto:
è solo il nulla che, pietoso, affianca.

E il giorno, oh falso giorno senza pace,
il bianco delle cose che non dicono
mai nulla, eppure fingono vorace.

Nel fermo d’ogni attimo che esigo
c’è un correre sommesso che mi incalza,
un precipizio quieto che mi stralcia.


---

Sonetto 3
Non v’è colore dove l’occhio indugia,
ma solo strati d’ombre che si alternano,
il buio non è fine, è soglia e scherno,
un’eco cieca che mai si distrugge.

Bianco non è il giorno, ma la bugia
di chi lo vuole puro e sempre eterno,
la luce è lama, taglio che non tergono
le mani, cieco peso che ci fruga.

Fermarmi è poi saltare nell’immenso,
un moto verso l’oltre, dove il senso
si sfalda come neve sotto il passo.

E corro, mentre il mondo resta fisso,
corro più forte, e sento nel riflesso
che fermo sono, e sempre lì m’arresto.


Sonetto 4
Il buio non è nero, ma dimora,
un ventre dove il tempo si sospende,
dove il silenzio accoglie e non pretende,
dove ogni sogno cede e poi s’accora.

Non è bianco il giorno, ma una flora
di veli che alla luce si distende,
un manto d’apparenza che sorprende
e svela il falso in chi si innamora.

La luce acceca, inganna, e dentro il velo
si perde ogni risposta, ogni visione:
resta soltanto il vuoto come assedio.

Nel fermarsi c’è un moto che non vedo,
un fremito nascosto, un’invasione,
il correre d’un tempo senza assenso.


---

Sonetto 5
Non sapevo che il buio fosse seme,
che germogli in silenzio nelle vene,
una linfa che nutre, e mai contiene,
l’impulso d’esser altro, oltre le teme.

Non sapevo che il giorno avesse gemme
di false albe, luci senza piene,
il bianco che si spegne in mille scene,
lasciando l’occhio vuoto che non teme.

La luce acceca, è fame di candore,
non dà riposo, non concede tregue,
strappa il reale, ferma ogni calore.

E nel fermarmi, il tempo fugge lieve,
corro nel nulla, in un vortice d’ore,
un ciclo eterno che mai mi solleva.


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Sonetto 6
Se il buio non è nero, ma confine,
una soglia che invita senza voce,
allora il cuore, in quell’assenza atroce,
si perde per trovar la sua radice.

Se il giorno non è bianco, ma declive,
un gioco d’ombre che l’animo croce,
allora è vano illuderci che in pace
la luce possa darci vie più vive.

Chi si ferma non tace, non riposa,
ma corre dentro il tempo che si piega,
mentre l’involucro rimane cosa.

Ogni istante è un baleno, un’altra strega,
un corridoio che s’apre e si chiusa,
un’eco che svanisce e poi si spiega.


---

Sonetto 7
Non è nel nero il buio, ma nel fondo
di noi, che spesso tacciamo per paura,
non v’è ombra che oscura la natura
quanto quel nulla chiuso dentro il mondo.

E il giorno, bianco e chiaro, è poi profondo
inganno d’ogni anima insicura,
che cerca pace in luce che perdura,
e invece acceca in un abbaglio immondo.

La luce ferisce, non consola,
s’impone senza chiedere permesso,
brucia ogni cosa, e nulla mai lenisce.

Ed io che credo fermo resti il passo,
non vedo il correre che m’imprigiona
e il cerchio che nell’ombra poi finisce.


---

Sonetto 8
Nel buio trovo ombre che mi chiamano,
non per ferirmi, ma per far tacere
le grida del pensiero, e così avere
un luogo dove i miei dolori sfamano.

Nel giorno, invece, mille luci ramano
le pieghe dell’anima, senza vedere
che ogni splendore brucia il suo volere,
e dentro l’occhio solo abissi ammassano.

La luce è un pugnale, un taglio asciutto,
un’imposizione d’essere scoperto
nel cuore dove il buio era distrutto.

E se mi fermo è solo per coperto
correre ancora in cerchi senza frutto,
sentirmi fisso, e invece cadere certo.


Sonetto 9
Nel buio vive il battito più vero,
quello che non si ascolta, ma che pulsa
oltre la mente, e in silenzio s’indulsa
nel grembo d’ombra, quieto e sincero.

Non è il nero una fine, ma un mistero,
una promessa che il silenzio avvolge,
un soffio d’infinito che raccoglie
ciò che non dice il giorno, bianco e altero.

Quel bianco mente, veste d’apparenza
ogni momento, e illumina illusorio
ciò che la vista crede sia sostanza.

E la luce acceca il tempo transitorio,
ferma un istante che non ha più essenza,
e lascia solo il vuoto, un sogno illusorio.


---

Sonetto 10
Il fermarsi è un inganno del pensiero,
è creder che la pausa sia riposo,
ma dentro, un fiume scorre rumoroso,
un’onda che nel fondo crea il sentiero.

La corsa non è moto, ma un mistero,
un fermo slancio dove ogni mio riposo
si fa un abisso quieto, eppure ansioso,
un viaggio che rimane prigioniero.

Nel fermarmi, io sento di fuggire,
in cerchi sempre stretti, senza uscita,
in un moto perpetuo che non muore.

E la mia corsa è solo un rifluire
del tempo che si piega alla sua vita,
un respiro che torna al suo dolore.


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Sonetto 11
Non sapevo che il buio fosse attesa,
un grembo dove il tempo si dissolve,
dove ogni sogno, come polvere, evolve
e il corpo, infine, abbandona la presa.

Non sapevo che il giorno, in sua distesa,
fosse menzogna di luci risolte,
un chiarore che dentro il cuore coinvolge,
ma poi scompare, lasciando ogni offesa.

La luce non è guida, ma è confine,
un limite che inganna con il chiaro,
mostrando solo ciò che vuol mentire.

E fermarsi è correre, il più raro
degli inganni: sentirsi fermi, infine,
mentre si cade in un vortice amaro.


---

Sonetto 12
Nel buio trovo il canto delle assenze,
un’eco che s’insinua nel profondo,
e accoglie il peso greve d’ogni mondo
che tace dentro me, senza pretese.

Nel giorno trovo false trasparenze,
un bianco che nasconde sottofondo
la trama d’ombre, ed io, che m’inabondo,
mi perdo tra le sue fragili essenze.

La luce non è pace, ma violenza,
squarcia il reale e brucia ogni segreto,
lascia l’occhio senza altra difesa.

E quando fermo il passo, al limite reo,
mi accorgo che cammino in questa assenza,
corro nel tempo, e nel buio galleggio.


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Sonetto 13
Non è nero il buio, ma una carezza,
un abbraccio che accoglie senza voce,
è un’ombra che mi sussurra una foce
dove sciogliere l’ansia e la mia brezza.

Non è bianco il giorno, ma è fierezza
di veli che si spandono feroce,
fingendo chiarezza, mentre mi cuoce
nell’occhio un falso lume di bellezza.

La luce acceca, ferisce il confine
che un tempo separava il vero e il nulla,
lascia un tremore dove si consuma.

E fermarsi è un fuggire, un confine
che spinge oltre il limite che brilla,
un balzo in cerchi che il cuore consuma.



Sonetto 14
Nel buio non c’è fine, ma un inizio,
un vuoto che respira e lentamente
si apre in spazi che il pensiero mente,
e in sé nasconde l’eco d’un giudizio.

Non è bianco il giorno, ma artificio,
un quadro dove il vero non è assente,
ma celato da luci prepotenti
che fingono di dar pace al supplizio.

E la luce, che taglia come spada,
non mostra il tutto, ma soltanto il vuoto,
un abbaglio che l’anima degrada.

Quando mi fermo, io corro nel moto
di ciò che è fermo: un’illusione invada
ogni mio passo, e il tempo resta ignoto.


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Sonetto 15
Non sapevo che il buio fosse trama
di fili intrecciati sotto la pelle,
un canto muto che si fa ribelle
e in sé ricuce il giorno che lo chiama.

Non è il bianco che salva dalla fiamma,
non è la luce che ci rende stelle:
il bianco mente, e dentro il suo brandello
cancella ogni radice che ci amma.

La luce acceca, rompe, s’infiltra,
ferisce l’occhio che cercava pace,
e svuota ciò che è vivo, senza filtro.

E il fermarsi è un vortice che giace,
ma in moto spinge l’anima che scaltra
cerca nel cerchio l’oltre che si tace.


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Sonetto 16
Non sapevo che il buio avesse voce,
un canto che non parla, ma che suona
nei margini dell’anima che tuona,
quando il silenzio si fa più feroce.

Non sapevo che il giorno fosse croce
di luce che accecando poi si dona,
un bianco che nel vuoto si ragiona
e lascia il cuore privo d’ogni foce.

La luce non consola, ma divide,
strappa ogni velo, lascia nudo il vero,
spinge l’anima al margine che stride.

E fermarsi è correre più sincero,
un moto che non lascia, che sorride,
mentre il tempo si perde nel pensiero.


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Sonetto 17
Nel buio ho trovato un’altra visione,
non fatta d’ombre, ma di puro assenza,
un vuoto che non chiede appartenenza,
che accoglie il tutto senza divisione.

Nel giorno, invece, falsa è la missione:
la luce prometteva conoscenza,
ma dona abbagli e frantuma la scienza,
lasciando al cuore amara delusione.

La luce ferisce e non dà respiro,
spinge nel chiaro l’anima smarrita,
non svela mai ciò che davvero miro.

E fermarsi è un gioco che si evita,
un correre segreto, un passo irriverito
nel tempo che si avvolge e si ravviva.


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Sonetto 18
Non è nero il buio, è dolce riparo,
è il grembo della notte, madre antica,
che accoglie ogni dolore che fatica
a vivere nel giorno tanto avaro.

Il bianco, quello vero, è un falso caro,
è luce che si finge amica amica,
ma toglie ogni speranza, e poi replica
un ciclo di bugie, chiaro e amaro.

La luce è lama, è taglio che ferisce,
un dono che si paga con il vuoto,
un canto che ogni eco poi finisce.

E quando mi fermo, in moto ignoto
corro nel fermo, il cuore si rapprende,
ed ogni quiete svanisce e si spende.



Sonetto 19
Nel buio vedo forme che si intrecciano,
non ombre, ma radici d’altri spazi,
linee che sfuggono agli occhi incapaci
di cogliere i contorni che riflettono.

Il buio non è nero: è come specchio,
un lago senza fondo, che raccoglie
ciò che la luce tace o non raccoglie,
ciò che nasconde il giorno troppo vecchio.

Non è bianco il chiarore, ma è velo
che impone ai sensi il sogno d’una meta,
un miraggio che inganna ciò che è vero.

Fermarsi è già partire, una cometa
che brucia senza moto: un cielo intero
si piega al falso quieto che ci inquieta.


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Sonetto 20
Nel buio c’è una verità segreta,
non luce spenta, ma colore intenso,
un regno dove tutto ha il suo compenso
e il tempo smette d’esser sua moneta.

Non è bianco il giorno, ma una rete
di raggi che s’intrecciano in consenso,
ma dietro quel chiarore troppo denso
giace il vuoto, e ogni alba si ripete.

La luce non guarisce, ma distrugge,
svuota l’anima d’ogni suo rifugio,
ti spinge a un falso pieno che non fugge.

E il fermarsi è un inganno, un dolce indugio
che in moto continuo l’anima costringe,
mentre il mondo si ferma in questo giudizio.


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Sonetto 21
Non sapevo che il buio avesse spazio,
che fosse il luogo dove il cuore insegue
non un silenzio vano, ma il suo bacio,
un grembo che ogni ansia poi dilegua.

Non sapevo che il giorno fosse un laccio
che stringe l’anima con luci brevi,
che promette albe false e poi si leva,
lasciando l’occhio privo d’ogni slaccio.

La luce è un’illusione che s’impone,
ferisce il tempo, inganna ciò che sono,
non mi concede tregua né ragione.

E fermarmi è un’eco che risuona,
un correre più forte in questa prigione,
un passo fermo dove il moto affonda.


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Sonetto 22
Nel buio c’è un silenzio che respira,
un soffio che non chiede di esistere,
è l’assenza che culla, senza insistere,
un dono che ogni ombra poi ritira.

Non è il bianco del giorno che s’ammira,
non è la luce a farsi interpretere,
ma un gioco d’ombre chiaro, un farsi perdere
nell’illusione che il vedere ispira.

La luce spoglia il mondo e non consola,
spacca l’anima in mille rifrazioni,
non lascia spazio a ciò che ci commuove.

E fermarsi è un volo che non vola,
un correre in cerchi, privo di unione,
in un quieto che morde e mai si muove.



Sonetto 23
Nel buio sprofondavo, ma non nero,
piuttosto in un abbraccio senza forma,
un’assenza che calma e non deforma,
un grembo che accoglieva il mio pensiero.

Non era il bianco del giorno sincero,
ma maschera di luci che trasforma
il vero in un riflesso che uniforma,
lasciando solo vuoto prigioniero.

La luce fende, e tutto ciò che illumina
perde contorni, brucia nell’istante,
diviene cosa muta e più disumana.

E quando mi fermavo, nell’esangue
riposo che credevo tregua e lume,
correvo in me, sommerso e senza sponde.


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Sonetto 24
Nel buio non ho perso la mia via,
ma ho trovato i confini più sottili,
trame che nel silenzio erano fili
tesi fra ciò che tace e ciò che sia.

Non era bianco il giorno, ma magia
di un velo che copriva i miei profili,
una danza di luci senza stili,
una promessa vana e senza scia.

La luce, che credevo fosse chiara,
era taglio che rende il mondo opaco,
ferita che non guarisce e che sfibra.

E nel fermarmi, in moto sottotraccia
scorrevo come fiume, in cerchio vago,
tornavo dove il tempo mai si placa.


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Sonetto 25
Non sapevo che il buio fosse fiato,
un respiro che scorre nel profondo,
un soffio che rinnova il suo secondo
e non conosce il peso del passato.

Non sapevo che il giorno fosse nato
da un lampo che illudeva tutto il mondo,
un bagliore che finge un senso tondo
e invece lascia l’occhio desolato.

La luce, come un’onda che travolge,
mi spinge oltre me stesso e mi dissolve,
cancellando il confine della tregua.

Fermarmi era correre in un groviglio,
un nodo che ogni attimo prolungava,
un filo teso in un silenzio abbaglio.


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Sonetto 26
Nel buio non ho visto, ma ho sentito
il fremito nascosto d’un sospiro,
un battito che parla senza un filo
di voce, come il mare più infinito.

Non era bianco il giorno, ma scolpito
di ombre che la luce rese stilo,
un’illusione fredda, un fragile sigillo
su ciò che resta muto e più ferito.

La luce non è pace, è taglio netto,
squarcia le forme, il tempo e ogni memoria,
non lascia che un silenzio più sospetto.

E fermarmi era il modo di sentire
un moto che mi sfugge, ma mi ingabbia,
una corsa che il vuoto sa cucire.


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Sonetto 27
Il buio non è fine, è solo inizio,
un luogo senza margini né inganni,
un posto dove il tempo perde i panni
e l’anima si spoglia del suo vizio.

Non è bianco il giorno, ma servizio
di luci che si spezzano in affanni,
disegni senza forma, senza danni,
che vestono di sogni un sacrificio.

La luce non guarisce, ma divide,
tra ciò che vedo e ciò che non comprendo,
tagliando a fondo il senso di chi vive.

E fermarmi è correre, un arrendersi
al moto che mi piega e non comprendo,
un viaggio dentro il cerchio che non stride.


Sonetto 28
Nel buio, non un vuoto, ma una danza
che sfiora senza passi il mio sentire,
un silenzio che sa di rifiorire
dove la luce spegne ogni speranza.

Non è bianco il giorno, è una sostanza
fragile, che non riesce a definire
se stessa; un gioco chiaro da subire
che lascia solo un’ombra in lontananza.

La luce non è dono, ma un confine
che mente nel suo farsi guida e meta,
illude chi l’attraversa e lo rapina.

E fermarmi è scoprire un’altra vita,
un moto dentro un cerchio che confina
il tempo in cui l’attesa si completa.


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Sonetto 29
Non sapevo che il buio fosse casa,
un grembo che contiene ogni silenzio,
un luogo dove il tempo perde il senso
e ogni angoscia si placa, si riposa.

Non è bianco il giorno, ma una rosa
di luce che ferisce con il denso
riflesso che confonde e rende immenso
il vuoto in cui l’attesa si fa cosa.

La luce strappa i veli dell’ignoto,
non dona pace, ma consuma i margini
che il buio ricompone con il moto.

E fermarmi è correre fra gli argini
del nulla: un gioco fisso, un cielo vuoto
che stringe i miei respiri più fragili.


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Sonetto 30
Nel buio si nasconde un altro mondo,
non fatto d’ombre, ma di onde mute,
un mare senza rive né battute
che accoglie il tutto in sé, calmo e profondo.

Non è il bianco del giorno un saggio tondo,
ma un inganno di luci mai compiute,
riflessi che si spezzano e rifiutano
l’essenza d’ogni attimo giocondo.

La luce non illumina, ma cela,
nasconde ciò che l’occhio vuole cogliere,
mostrando ciò che crede sia più vero.

Fermarmi è un altro inganno: un folle volo
nel moto dell’immobile respiro,
un cerchio eterno che diventa un gelo.


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Sonetto 31
Non sapevo che il buio avesse senso,
che il nero fosse spazio e non confine,
un grembo dove il tempo non declina,
ma torna, calmo, come un sogno intenso.

Non era bianco il giorno, ma un riflesso,
un riverbero fragile di spire
che si dissolve e, lieve, sa svanire,
lasciando il cuore in un silenzio spesso.

La luce mi feriva con il taglio
del chiaro che ingannava il mio pensiero,
rubando al buio il suo segreto appiglio.

E fermarmi, nell’attimo più vero,
era correre in un eterno sbaglio,
un moto in fondo al cerchio prigioniero.


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Sonetto 32
Nel buio c’è un linguaggio senza nome,
una parola che non dice niente,
ma accoglie il senso muto del presente
e lascia spazio al ritmo delle forme.

Non è bianco il giorno, ma un consumo
di luce che si spezza nel fervore,
un gioco che confonde il suo colore
e il vero lascia al nero suo profumo.

La luce, come lama, mi divide,
mi priva della pelle che protegge,
lascia ferite aperte e più insidiose.

E fermarmi è un moto che non cede,
un respiro che brucia nelle rose
di un tempo che al silenzio non si affida.


Sonetto 33
Nel buio non c’è assenza, ma un respiro,
un passo che non lascia impronte al mondo,
un ritmo che si perde nel profondo
e accoglie ciò che tace il mio deliro.

Non è bianco il giorno, ma un sospiro
sospeso, un tratto d’aria che confondo
con la promessa d’un chiarore tondo
che illude il cielo e al nero rende asilo.

La luce, con il suo tocco bruciante,
non mostra, ma nasconde con l’inganno,
spoglia i contorni e lascia tutto infranto.

E fermarmi è un andare più incessante,
un viaggio che non trova sponda o affanno,
un vortice che ingoia ogni mio canto.


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Sonetto 34
Nel buio ho ritrovato ciò che manca,
non ombre, ma silenzi fatti pieni,
un equilibrio d’assenze che sostiene
il tempo quando il giorno si fa stanca.

Non è bianco il chiarore che s’infrange,
ma un abbaglio che prende senza dare,
una promessa fragile, un altare
di luce che l’illusione più espande.

La luce non consola, ma distrugge,
un’onda che scompone ogni orizzonte,
un lampo che scompare e più non fugge.

E fermarmi è un correre tra le onde,
un moto che mi spezza e poi mi strugge,
un passo eterno in cui l’assenza infonde.


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Sonetto 35
Non sapevo che il buio fosse quiete,
non silenzio, ma un canto appena udito,
un ritmo lento, un passo indefinito
che avvolge il mondo in cerchi che non cede.

Non è bianco il giorno, ma una rete
di luce che trattiene il mio infinito,
che sfuma l’orizzonte nel suo mito
e lascia l’anima priva di mete.

La luce non rivela, ma disegna
contorni finti, immagini rubate
al buio che ricuce e poi corregge.

E fermarmi è l’illusione che regna
sul passo che non trova più fermate,
nel cerchio in cui il respiro poi si spegne.


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Sonetto 36
Nel buio non c’è il limite, ma il mondo,
non una fine, ma un’intuizione,
un senso che risorge a ogni stagione
e dona al tempo un ritmo più profondo.

Non è bianco il giorno, ma un secondo
di luce che si spezza in illusione,
un attimo che inganna la ragione
e spinge l’occhio a un moto più giocondo.

La luce è una promessa che non resta,
un filo teso che si spezza in alto,
un canto che nel vento si disperde.

E fermarmi è un andare in questa festa
che il buio ricompone nel suo salto,
un eterno tornare a ciò che perde.


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Sonetto 37
Non sapevo che il buio fosse sguardo,
un vedere che abbraccia senza peso,
un attimo sospeso, un cielo acceso
di stelle mute nel silenzio tardo.

Non è bianco il giorno, ma un ritardo
di luce che nasconde un nero steso,
un velo che cancella il senso illeso
e lascia il cuore in un eterno sardo.

La luce mi tradisce con il lampo
che spezza ogni certezza, ogni misura,
lasciando il tempo in un confine incerto.

E fermarmi è un respiro che s’accampa
nel moto immoto d’una trama scura,
un passo in cerchio, un sogno che si è aperto.



Sonetto 38
Nel buio non c’è il vuoto, ma il segreto,
una voce che chiama senza suono,
un palpito che cresce come un dono
e guida il passo verso un cielo quieto.

Non è bianco il giorno, ma un divieto
che illude con la forma del perdono,
una linea che svanisce appena il tono
di luce ne dissolve ogni concetto.

La luce non consola, ma scompare,
si fa promessa e inganno nell’istante
che muta il mondo in ombre fugaci.

E fermarmi era un moto senza pare,
un andare più forte, oltre ogni fronte,
nel cerchio dove il tempo non si tace.


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Sonetto 39
Non sapevo che il buio fosse vita,
non morte, ma respiro senza fretta,
un gesto lento, un’ombra che riaspetta
ciò che la luce crede di aver dita.

Non è bianco il giorno, ma ferita
che apre il cielo come una saetta,
un taglio che colora ogni sua vetta
con l’illusione d’una via compita.

La luce è un filo teso sull’abisso,
un tratto che non porta verso casa,
ma spinge il cuore oltre il proprio confine.

Fermarmi era un inganno, un moto fisso
che mi stringeva come una montagna
nel cerchio d’un respiro senza fine.


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Sonetto 40
Nel buio si nasconde un’altra luce,
non il bagliore, ma il riflesso eterno
di un passo che attraversa il proprio inverno
e trova nella quiete ciò che induce.

Non è bianco il giorno, ma una voce
che grida senza corpo, come un inferno
di raggi senza meta, un fuoco interno
che il nero spegne e il senso riconduce.

La luce non rivela, ma confonde,
unisce ciò che mente, ciò che tace,
lasciando il cuore privo delle onde.

Fermarmi è correre in un passo cieco,
un moto senza tregua, un’ombra audace
che il cerchio della vita rende bieco.


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Sonetto 41
Nel buio c’è una trama che non vedo,
un filo che si tesse senza tempo,
un canto che non chiede il suo fermento
e accoglie ogni distanza come un credo.

Non è bianco il giorno, ma un divieto,
un’illusione che si fa tormento,
un attimo sospeso nel momento
che lascia il mondo in cerca del segreto.

La luce non risana, ma disegna
confini finti su una tela infranta,
non lascia spazio a ciò che il nero insegna.

Fermarmi è un gioco d’ombra e di distanza,
un passo che ritorna e si rassegna,
nel cerchio dove il tempo sempre avanza.


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Sonetto 42
Nel buio non c’è ombra, ma un sentiero,
una strada che il passo non calpesta,
un luogo dove il tempo non si arresta
e il cuore trova il senso più sincero.

Non è bianco il giorno, ma pensiero
che sfugge e si nasconde in una cresta,
un’onda che scompare nella testa
lasciando il mare vuoto e prigioniero.

La luce non consola, ma divide,
strappa il velo che calma e riconduce
il tempo a un luogo dove il cuore ride.

E fermarmi era un moto senza luce,
un gioco in cui la quiete si trasforma
in un silenzio che mai si traduce.


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Sonetto 43
Nel buio c’è un silenzio che ripara,
non assenza, ma respiro che fiorisce,
un gesto che nel nulla poi si affida
e, senza chiedere, il cuore guarisce.

Non è bianco il giorno, ma una rara
illusione che il tempo poi tradisce,
un eco che nel vuoto si radica
e lentamente l’anima rapisce.

La luce è una promessa che si frange,
un sogno breve che il destino spezza,
lasciando solo ombre più pesanti.

E fermarmi è un andare senza argine,
un passo che ritorna nella brezza,
un cerchio dove il moto è più costante.


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Sonetto 44
Non sapevo che il buio fosse soglia,
non prigione, ma un luogo di passaggio,
un cammino che non segue coraggio,
ma che alla luce il tempo poi distoglie.

Non era bianco il giorno, ma una voglia
di eternità che sfuma come un raggio,
un gioco che si rompe nel miraggio
d’un’alba che ogni senso poi spoglia.

La luce non riporta che distanza,
non offre calma, ma continua guerra,
diviene lama pronta a separarci.

E fermarmi era moto in altra stanza,
un tempo che si chiude e poi s’afferra,
un passo che al cerchio non può sottrarsi.



Sonetto 45
Nel buio non c’è limite né inganno,
ma l’eco di un respiro mai svanito,
un moto che ritorna e, mai tradito,
si piega al tempo e vi rinasce il danno.

Non è bianco il giorno, ma un affanno,
un lampo che scompare all’infinito,
un sogno che rimane in sé smarrito
e al nero cerca sempre un nuovo appiglio.

La luce non consola, ma dissolve,
lascia il mondo nel vuoto del suo squarcio,
taglia il confine e più non si risolve.

E fermarmi è correre nel cerchio,
un passo che risuona nell’asfalto,
un ciclo senza fine che mi avvolge.


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Sonetto 46
Non sapevo che il buio fosse attesa,
un tempo che ritorna e non si spegne,
un abbraccio che il silenzio dipende
dall’ombra dove il giorno mai si posa.

Non è bianco il giorno, ma una resa
di luce che si infrange e poi si arrende,
un velo che nel cielo si distende
e lascia il cuore solo in sua difesa.

La luce non svela, ma confonde,
un tratto che non porta verso casa,
ma chiude il passo in onde senza fondo.

E fermarmi è un salto verso il nero,
un cerchio che si stringe e più mi appaga,
un ciclo dove il vuoto si fa intero.


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Sonetto 47
Nel buio c’è un confine senza spazio,
un luogo dove il tempo non si perde,
un punto che resiste e poi si tende
a trattenere il mondo al suo prefazio.

Non è bianco il giorno, ma un palazzo
di vetro che riflette forme sorde,
un gioco che la luce finge e torde
nel cielo in cui svanisce ogni suo abbraccio.

La luce non è guida, ma un riflesso,
un tratto che si spezza al primo passo,
un lampo che illude il cuore di riposo.

E fermarmi era un moto sempre stesso,
un andare che torna e nel suo nesso
mi chiude in un cerchio senza posa.


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Sonetto 48
Nel buio non c’è fuga, ma ritorno,
non assenza, ma un grembo che sostiene,
un ritmo che nel cuore si mantiene
e guida l’anima al suo altro giorno.

Non è bianco il giorno, ma contorno
d’un sogno che la luce trattiene
per poi lasciarlo frangersi in catene,
un tempo che si chiude in un soggiorno.

La luce non rivela, ma si perde,
lascia nel cielo segni che tradisce,
un velo che si strappa e poi si cede.

E fermarmi è un andare che si stende,
un passo che nel vuoto si confonde,
un ciclo in cui il respiro si raddensa.


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Sonetto 49
Nel buio non c’è fine, ma respiro,
non silenzio, ma un ritmo che riprende,
un soffio che il silenzio non pretende,
ma lascia al cuore un tempo più sincero.

Non è bianco il giorno, ma un sentiero
di luci che il riflesso sempre offende,
un gioco che nel cielo si distende
e l’anima rapisce come un giro.

La luce non consola, ma ci spoglia,
lascia il mondo nel vuoto più totale,
non porta quiete, ma solo una soglia.

Fermarmi era un passo verso il cale,
un moto che ritorna e mai si toglie,
un cerchio che si chiude e non ha male.


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Sonetto 50
Nel buio c’è un inizio senza fretta,
un senso che nel nero si riscopre,
un vuoto che colma le sue proprie
attese in cui il silenzio si rimetta.

Non è bianco il giorno, ma una vetta
che illumina il confine delle storie,
un tratto che si spezza e rende il nero
più saldo nel suo muto senso vero.

La luce non è vita, ma è un confine,
un taglio che rimane a metà strada,
un lampo che si spegne nelle spire.

E fermarmi è correre in un’altra fiamma,
un passo che si avvolge e poi s’irraggia,
nel ciclo che il silenzio sempre chiama.