mercoledì 11 dicembre 2024

"L'abisso immoto"

1.
Nel buio che divora ogni sguardo,
ove s’aduna il nulla, senza pace,
si spezza il filo tenue ed è ritardo.

2.
Carenze assediano l’anima vivace,
spogliando il giorno d’ogni sua fermezza,
ché a contrastar non resta forza audace.

3.
Il passo indugia, trema e poi s’ammorza,
e un lento franamento dentro cresce,
mentre la mente cede e si contorce.

4.
S’incurva il tempo in spirale e si flette,
il battito si spegne come un suono
che si dissolve e in vuoto si riflette.

5.
La luce manca, il giorno resta prono
a un’ombra fredda che sovrasta il cuore,
e tutto tace in quel respiro buono.

6.
Un abisso che inghiotte il suo fervore,
lì dove il passo fermo si dissolve,
lì dove il fiato tace nel timore.

7.
Non resta sole a scaldare le volve
del freddo dubbio che già tutto avvolge,
e il vento tace, fermo nelle gole.

8.
Un lampo spento mai più si raccoglie,
un barlume che giace senza vita,
sommerso dal silenzio che s’accoglie.

9.
Il moto langue, l’anima ferita
non osa più lottare, e si fa spenta,
cercando pace in una corsa ardita.

10.
Non c’è contrasto, ogni resistenza
si piega al peso d’un tempo distorto,
ove si perde ogni sguardo e presenza.

11.
Un peso grave s’addensa sul porto
di quella mente che, stanca, si arresta,
e il battito si smorza già contorto.

12.
L’ombra s’allunga, il confine protesta,
ma invano tenta d’arrestar quel buio
che l’anima consuma e mai s’arresta.

13.
E là, dove il silenzio ha il suo refugio,
si curva il giorno e il passo si disfa,
mentre l’oblio si fa d’ogni pensier giudice.

14.
Un grido muto frange quella cifra
che il tempo scrive su un destino infranto,
e il non-correre giace come una sfida.

15.
La spirale del tempo cade, e intanto
il mondo sembra fermo, senza brama,
e il passo s’arresta al suo canto.

16.
Così, il cuore più non trova fama,
ché il futuro si curva in una rete
che avvolge il domani nella sua trama.

17.
Né speranza rimane, né si vede
un bagliore che squarci quella notte,
né forza che riprenda il suo potere.

18.
Un mare immoto di vuoto galleggia,
dove ogni certezza si fa impalpabile,
e il dubbio regna su chi il passo regge.

19.
E là, nel gelo eterno e inscalfibile,
ogni pensiero si dissolve, spento,
e il non-correre avanza, inarrestabile.

20.
Così l’anima s’arrende, nel tormento
che il silenzio le sussurra, senza via,
e si lascia avvolgere dal lento tempo.

21.
Ogni respiro si spezza nell’agonia
di un moto che ormai più non sa vibrare,
di un giorno che non sogna più poesia.

22.
Il destino si chiude, si fa scabro,
e il mondo, come un filo troppo teso,
si spezza al peso di quel silenzio magro.


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Il tema portante delle terzine è l'immobilità dell’anima di fronte al vuoto esistenziale, una dimensione in cui la vita sembra fermarsi, privata di qualsiasi slancio vitale o direzione. Questo vuoto è descritto come un abisso oscuro, un luogo di stasi totale, dove il tempo stesso si piega e si arresta, rendendo impossibile il movimento o il progresso. L’anima, priva di speranza e forza, si ritrova schiacciata da un peso insostenibile, un “non-correre” che non rappresenta solo l’assenza fisica del movimento, ma anche l’incapacità di opporsi alla forza opprimente del silenzio e dell’oblio.

Il “non-correre” diventa quindi il simbolo di un'esistenza intrappolata, in cui ogni resistenza è vana e ogni lotta contro l’inevitabile si dissolve nel nulla. L’immobilità non è solo fisica ma anche mentale e spirituale, un arresto totale che lascia spazio solo al dubbio, al buio e alla perdita. La luce, simbolo della speranza e della vitalità, è completamente assente, e al suo posto domina un’ombra pervasiva che soffoca ogni possibilità di rinascita.

Questa condizione si riflette nella tensione tra il desiderio di movimento e la realtà di una stasi assoluta, che si traduce in un silenzio sovrano e spietato. Il tema affronta quindi la fragilità dell’esistenza umana di fronte all’ineluttabilità del tempo e dell’oblio, trasformando il vuoto in un protagonista silente ma onnipresente. Ogni possibilità di futuro, ogni sogno o slancio verso il domani, viene risucchiato in un vortice immoto, lasciando l’anima prigioniera di un eterno presente fatto di apatia e rassegnazione. Questo abisso immoto diventa infine il simbolo della resa totale, un luogo dove ogni barlume di vita viene consumato dal silenzio e dall’oscurità.