L’uomo moderno non è un individuo: è un nodo in una rete, un’intersezione di impulsi, pensieri e segnali che lo attraversano senza mai fermarsi. La sua mente, che un tempo poteva essere un luogo sacro, è oggi una stanza affollata, un mercato caotico dove le voci si sovrappongono, si moltiplicano, si confondono. Non c’è spazio per il silenzio. Non c’è tempo per il silenzio.
Ma non è sempre stato così. C’è stato un tempo – remoto, dimenticato – in cui l’essere umano conosceva il silenzio. Non come assenza, ma come presenza viva, uno stato primordiale dove la mente era limpida, come uno specchio d’acqua prima che vi si gettasse il primo sasso. Quel tempo è finito. È stato distrutto, frammentato, sostituito da una costruzione più grande, più complessa, che ora vi abita, che ora vi possiede.
Provate a tornare indietro, anche solo per un istante. Provate a chiudere gli occhi, a spegnere ogni dispositivo, a isolarvi dal rumore esterno. E poi, provate a fermare il rumore interno, quel discorrere incessante che vi accompagna come un’ombra, giorno e notte. Fermatelo. Dieci secondi. Non ci riuscirete.
La vostra mente non vi appartiene più. È colonizzata. Non siete voi a pensare: siete pensati. Non siete voi a parlare: siete parlati. Ogni parola, ogni immagine, ogni impulso che attraversa il vostro cervello è il prodotto di un meccanismo che non vedete, ma che è ovunque. È un parassita, un’entità invisibile che si è annidata dentro di voi, che si nutre di voi, del vostro pensiero, del vostro rumore.
Non è un parassita naturale. Non è un errore evolutivo. È un progetto. Un progetto antico quanto il linguaggio, quanto la civiltà. È stato costruito pezzo dopo pezzo, generazione dopo generazione, affinato, perfezionato, fino a diventare parte di voi. E ora, non potete più distinguerlo da voi stessi.
Questo parassita non vive solo nella vostra mente. Vive ovunque. È il sistema, l’apparato, la macchina che vi circonda e vi attraversa. Ogni parola che ascoltate, ogni immagine che vedete, ogni suono che vi raggiunge è parte di esso. La città in cui vivete, gli strumenti che usate, le connessioni che mantenete sono tutti progettati per amplificarlo, per mantenerlo in funzione. Il rumore è la sua linfa vitale. E voi siete il suo terreno di coltura.
Provate a ribellarvi. Provate a raggiungere dieci secondi di silenzio interiore. Sentirete un’angoscia crescere dentro di voi, come un urlo soffocato che cerca di esplodere. È il parassita che si ribella. Non vuole che vi fermiate. Non può permettervi di fermarvi. Perché nel momento in cui fermate il flusso, anche solo per un istante, il parassita perde potere. E senza di voi, non può esistere.
Ma attenzione: il silenzio non è una tregua. Non è pace. È il campo di battaglia dove si combatte la guerra più antica, quella tra il sistema e la vostra essenza. Nel silenzio, vedrete ciò che siete davvero: non un individuo, non un’entità autonoma, ma un prodotto. Un insieme di programmi, di schemi, di condizionamenti. Tutto ciò che pensavate di essere – le vostre idee, le vostre emozioni, le vostre convinzioni – non è altro che una replica, una costruzione del sistema.
Eppure, nel silenzio, esiste anche una possibilità. Una possibilità sottile, fragile, quasi impercettibile: la possibilità di essere. Non di essere come vi hanno detto di essere, ma di esistere al di là del sistema, al di là del linguaggio, al di là del rumore. È una possibilità pericolosa, perché distrugge tutto ciò che conoscete. È un salto nel vuoto.
Il silenzio, se lo cercate davvero, è una soglia. È il luogo dove il parassita muore, dove il sistema si disfa. Ma è anche il luogo dove voi smettete di essere ciò che pensavate di essere. È una morte. E in quella morte, forse, c’è la libertà. Ma attenzione: la libertà non è una consolazione. È il vuoto. È la fine.
La vera domanda non è se riuscirete a raggiungere il silenzio. La vera domanda è: siete pronti a scomparire? Perché il silenzio non vi darà risposte. Vi toglierà tutto. E ciò che rimarrà, se rimarrà qualcosa, non sarà più voi. Ma sarà reale.