sabato 4 gennaio 2025

io

La parola io si insinua come un sussurro nell’anima del bambino, una melodia dolce e sottile che si confonde con il battito del cuore, un soffio di vento che accarezza la coscienza nascente, all’inizio è solo un’eco lieve, un riflesso evanescente che sembra innocuo, quasi tenero, eppure quel monosillabo racchiude già il germe di una forza devastante, di un’energia che non si sazia, che si espande, che pretende spazio e dominio, il bambino lo pronuncia con ingenuità, come un gioco, come un simbolo della scoperta di sé, ma nel farlo, senza saperlo, inizia a costruire il trono di un tiranno, perché l’io cresce, matura, si trasforma, diventa un vessillo, un urlo, un canto di conquista, l’infanzia è il terreno fertile dove questo seme si radica, nutrendosi della sete di riconoscimento, della voglia di emergere, della paura di essere nulla, all’inizio è una dichiarazione di esistenza, un atto quasi poetico, ma col tempo si indurisce, diventa una corazza, una barriera che separa l’individuo dal resto del mondo, nell’adolescenza l’io si trasforma in un grido di sfida, un’arma che il giovane brandisce con forza, un’eco che si moltiplica e risuona in ogni gesto, in ogni pensiero, è un fuoco che brucia, che consuma, che alimenta il bisogno di affermarsi, di essere visto, amato, rispettato, eppure, dietro questa fiamma ardente, si nasconde un abisso di insicurezza, una paura silenziosa che mai si placa, l’adulto, invece, non spegne questa fiamma, ma la alimenta, la trasforma in una forza che guida ogni passo, ogni decisione, l’io diventa il centro di tutto, un dio capriccioso che non tollera rivali, un padrone che impone la sua legge, la parola si gonfia, diventa pesante, assume il tono di un comandamento, l’adulto non la pronuncia più con dolcezza, ma con arroganza, con la certezza di chi crede di avere il diritto di dominare, eppure, anche qui, dietro questa maschera di forza, c’è il vuoto, c’è il terrore di non contare nulla, di essere dimenticato, l’io si nutre di questo vuoto, lo riempie con illusioni, con sogni di potere e di grandezza, ma non basta mai, l’io è un tiranno insaziabile, una sete che non conosce appagamento, esso pretende tutto, vuole essere il centro del mondo, il sole attorno a cui tutto ruota, ma non capisce che in questa corsa sfrenata perde ciò che lo rende umano, perde la capacità di vedere l’altro, di riconoscere il valore di ciò che lo circonda, la parola io diventa una gabbia, una prigione dorata che imprigiona l’anima, è un peccato originale che non trova redenzione, una malattia che si espande, che contamina tutto, l’Occidente ne ha fatto il suo vessillo, il simbolo della sua grandezza e della sua decadenza, perché in fondo l’io è il riflesso di un Narciso che si specchia e si perde nella sua immagine, un’illusione che ci incanta e ci distrugge, un fuoco che ci riscalda e ci consuma, un abisso che ci attira e ci inghiotte, eppure, non possiamo fare a meno di questa parola, perché essa è il cuore di ciò che siamo, è la scintilla che ci dà vita, ma anche il veleno che ci avvelena, la parola io è il segno della nostra umanità e della nostra condanna, un canto di gloria e un lamento di rovina, è l’essenza di un sogno che ci eleva e di un incubo che ci trascina nel baratro.