1.
"Rifategli eco!" grido alla distanza,
"Risuoni ancora quel moto di nulla,
come un venire, il riverso che pullula,
che di dolcezza il buio già s'avanza".
2.
Un tonfo morbido che si sostanza,
e torna, ancora torna, si rivela.
Ma è fragile la voce, e si cancella,
svanisce e si disperde in una danza.
3.
Così, nel tempo, il suono si dissolve:
le voci tacciono, il ritorno è assente,
e resta un’eco, tremula e latente,
che nella notte il mio respiro assolve.
4.
Il vuoto cresce, affonda, mi colma,
e tutto ciò che sento si confonde:
l’aria si piega, si fa densa, infonde
il suo lamento a ciò che più mi somma.
5.
In quel silenzio c’è una resa mite,
un sussurrare d’anime perdute,
che cedono il tormento e le cadute
al grande nulla che ogni assenza invita.
6.
Ma in questa assenza, dolce e desolata,
ritrovo un senso, forse, della vita:
è la condanna che si fa infinita,
la padronia di ciò che non è stata.
7.
È qui, nel vivo centro del rimpianto,
che riconosco l’abisso e il suo signore:
lui non è freddo, non ferisce il cuore,
ma reca in sé la verità del pianto.
8.
Non è la morte a darmi questa legge,
ma il respiro profondo e consapevole
di un io che cerca, errando, ciò che spiega
il confine sottile che ci regge.
9.
L’abisso, figlio fragile e assoluto
del mio tormento, non ha fine certa:
è come il vento che la terra aperta
riempie e poi dissolve nel minuto.
10.
Eppure specchio è d’ogni mio tremore,
riflette in sé la cura che m’invita
a far del vuoto un canto che s’addita
come memoria d’un perduto ardore.
11.
Così mi trovo, eterno e sospeso,
tra cielo e terra, e in alto m’abbandono:
ragazzo ancora, nel volo m’improno,
sperando in un azzurro mai deluso.
12.
Severità e dolcezza mi richiama
quel cielo immenso, chiaro, senza suono:
mi chiuda in sé per sempre, suo padrone,
perché nel nulla anch’io diventi trama.