Prova a immaginare una scena che pare uscita da un’illustrazione fiamminga, con la luce che gioca tra fumo e ombre. In un angolo di una cucina medievale, una donna con le mani ruvide, abituate alla forza e alla precisione, mescola un liquido dorato in un calderone ribollente. È una alewife, una figura che nel Medioevo inglese emergeva dalla nebbia come un mistero profondo. Queste donne sapevano creare birra, ed era un sapere pratico e prezioso, tramandato tra madri e figlie come un segreto di famiglia.
Poi arrivò la Peste Nera, portando con sé una devastazione indescrivibile. Strano a dirsi, ma quel tempo di morte e paura rese la birra ancor più preziosa: l’acqua era rischiosa, mentre il bollore della birra garantiva sicurezza. Improvvisamente, il calderone delle alewives divenne simbolo di vita. In una società stretta tra superstizione e fame di sopravvivenza, l’abilità di produrre birra rese queste donne non solo necessarie ma influenti.
Nelle leggende popolari dell’epoca, le alewives apparivano con una scopa appoggiata alla porta, un segnale discreto ma eloquente per dire “oggi c’è birra per tutti.” Al mercato, spiccavano con i loro abiti austeri e l’henin, il cappello alto e appuntito. Ma dietro ogni fascino misterioso si nasconde un’ombra di diffidenza: i loro gatti, che proteggevano i grani dai topi, divennero simbolo di oscuri presagi; il loro cappello e gli abiti neri richiamavano immagini di stregoneria e seduzione.
La Chiesa, già allerta per i segni dell’inferno in terra, iniziò a temere questa indipendenza femminile. Le donne che sapevano creare, trasformare e perfino curare sembravano sfidare l’ordine patriarcale. Perciò, nei dipinti e nei testi dell’epoca, queste birraie divennero rappresentazioni del caos: colpevoli di tentare la moralità pubblica e di risvegliare fantasie proibite. Nelle rappresentazioni popolari, erano figure trasandate, rudi, quasi grottesche, la cui abilità in cucina era sinonimo di peccato.
L’attacco forse più pungente arrivò nel 1517, dalle parole del poeta e prete inglese John Skelton. Nel suo poema, The Tunning of Elynour Rummyng, ci dipinse una birraia repellente, la cui immagine si legge come una lista di difetti: il volto brutto e peloso, la pelle lassa, il naso che gocciola. Con parole grondanti disprezzo, Skelton la disegnò come una strega repellente, un personaggio bizzarro e blasfemo. La corte rideva e applaudiva a quel ritratto deformante, compiaciuta di veder sfregiata l’immagine della donna comune, che guadagnava vendendo birra.
Ma per la gente, la birra restava preziosa e l’abile mano della alewife ancora indispensabile. Nonostante i pregiudizi e i disegni malevoli, le donne continuarono a mescolare, bollire, fermentare. E se l’immaginario collettivo ne avrebbe fatto in seguito streghe dal cappello nero e dal sorriso sardonico, forse quelle streghe medievali altro non erano che donne che avevano osato reclamare uno spazio di potere tra i fumi del calderone.