martedì 21 gennaio 2025

"Metamorfosi" di Ovidio

Immagina di essere condotto in un teatro cosmico, dove la scena si apre su un mondo in subbuglio. Non ci sono né confini né leggi, solo un miscuglio confuso di elementi: aria che si mescola con acqua, terra che si perde nel fuoco. È il caos, l’inizio di tutto, descritto da Ovidio con pennellate vivide che sembrano creare il mondo davanti ai nostri occhi. Poi, una forza misteriosa, un demiurgo senza nome, inizia a separare, a dividere: il cielo si stacca dalla terra, il mare si ritira per lasciare spazio ai continenti, e gli astri trovano il loro posto nel firmamento. È la nascita di un cosmo ordinato, il palcoscenico su cui si muoveranno dèi, uomini e creature fantastiche, protagonisti di un poema che esplora il cuore pulsante del cambiamento.

Questo è l’inizio delle Metamorfosi, il grande poema di Ovidio, un’opera che non si limita a raccontare storie, ma le intreccia in un unico flusso inarrestabile, dove ogni racconto nasce dalle ceneri del precedente, come una fenice mitologica. Non c’è una sola trama, ma mille fili che si intrecciano, formando un arazzo immenso che abbraccia l’origine del mondo, la passione degli dèi, le tragedie umane e persino la glorificazione di Roma e dei suoi eroi. Ogni storia ha al centro una metamorfosi: un essere che cambia forma, che si trasforma per sfuggire, punire, amare o sopravvivere.

Prendi il mito di Dafne, una ninfa luminosa e selvaggia, che desidera vivere libera nei boschi, lontana dalle catene dell’amore. Ma Apollo, il dio del sole, la vede e se ne innamora perdutamente. Il suo amore è una fiamma che brucia, ma anche una prigione, perché Dafne non vuole essere conquistata. Corre, fugge, ma Apollo la insegue, incapace di resistere alla sua bellezza. Quando sta per raggiungerla, lei prega il padre, il dio del fiume, di salvarla. E così il miracolo avviene: Dafne si trasforma. I suoi piedi diventano radici, il suo corpo si irrigidisce e si ricopre di corteccia, le sue braccia si levano al cielo come rami. Apollo, vinto dal dolore, abbraccia quell’albero che è tutto ciò che resta della donna amata e lo consacra come simbolo di gloria eterna, l’alloro che cingerà le teste dei vincitori.

La storia di Dafne è solo una delle tante, ma è emblematica: nelle Metamorfosi, l’amore non è mai semplice, è sempre un fiume in piena, capace di trasformare chi lo vive. Pensiamo a Narciso, il giovane bellissimo e crudele, che respinge tutti coloro che lo amano. Eco, la ninfa condannata a ripetere solo le ultime parole che sente, è tra le vittime di questa indifferenza: si consuma nell’attesa di un amore impossibile, fino a diventare una voce che risuona nelle montagne. Narciso, però, è destinato a un destino altrettanto crudele. Quando vede la propria immagine riflessa in uno specchio d’acqua, se ne innamora perdutamente. Non capisce che è solo un’illusione, un amore senza speranza. Consumato dal desiderio, Narciso si spegne e al suo posto nasce un fiore, il narciso, fragile e solitario, che piega il capo verso l’acqua, come in un eterno rimpianto.

Ma non tutte le metamorfosi sono legate all’amore. Ci sono trasformazioni che nascono dalla vendetta, come nel caso di Procne e Filomela. Le due sorelle sono vittime di una tragedia familiare terribile. Filomela viene violentata da Tereo, il marito di Procne, che le taglia la lingua per impedirle di raccontare l’orrore subito. Ma la donna non si arrende: tesse un arazzo in cui narra il suo dolore e lo invia alla sorella. Procne, devastata, decide di vendicarsi: uccide il proprio figlio, nato dall’unione con Tereo, e glielo serve come pasto. Quando Tereo scopre l’atroce inganno, si scaglia contro di loro, ma gli dèi intervengono: le sorelle vengono trasformate in uccelli, libere di volare via dal loro tormento, mentre Tereo diventa un upupa, condannato a ricordare il suo crimine.

Tra i racconti più struggenti c’è quello di Orfeo ed Euridice. Orfeo, il cantore divino, perde l’amata Euridice, morsa da un serpente il giorno delle nozze. Distrutto, scende negli inferi per riportarla in vita. Con la sua lira, incanta gli dèi dell’oltretomba, che accettano di restituirgliela, a una condizione: durante il cammino verso la superficie, Orfeo non dovrà mai voltarsi a guardarla. Ma proprio quando la luce del sole è vicina, Orfeo, vinto dall’ansia, si gira per accertarsi che Euridice lo segua. È un errore fatale: la donna viene risucchiata per sempre nell’oscurità, lasciando Orfeo solo con il suo dolore.

Ovidio ci accompagna attraverso questi racconti con uno stile che incanta e diverte. Le sue parole sono piene di vita, i suoi versi scorrono come un fiume limpido, alternando toni solenni e momenti di sottile ironia. Le Metamorfosi non sono solo una celebrazione del mito, ma anche una riflessione sulla natura umana e sulla fragilità dell’esistenza. Nulla è stabile, nulla è permanente: tutto cambia, e in questo mutamento si trova la vera essenza della vita.

Alla fine del poema, Ovidio ci porta nel mondo di Roma, celebrando la grandezza di una città che sembra eterna, ma che lui stesso sa essere parte di questo flusso incessante di cambiamento. L’apoteosi di Cesare, trasformato in una stella dopo la morte, chiude il poema come un sigillo: l’uomo può aspirare al divino, ma anche gli dèi sono soggetti al cambiamento.

Così, il cerchio si chiude: dalle origini caotiche del mondo alla glorificazione di Roma, le Metamorfosi ci insegnano che ogni fine è un nuovo inizio. E Ovidio, con il suo genio, ci invita a contemplare questa danza eterna con occhi meravigliati, come spettatori di uno spettacolo che non si ripete mai, ma che ogni volta ci trasforma un po’.