lunedì 20 gennaio 2025

Mi piace che di me tu non t'ammali

Mi piace che di me tu non t'ammali,
che nulla spezzi questo nostro gioco,
un fuoco spento privo di rivali,
che arde nel buio senza alzar più il foco.

Mi piace che nel caso delle mani
un fremito non sorga mai improvviso,
né labbra ardenti cerchino domani
il dolce inganno d’un eterno avviso.

E se il tuo abbraccio stringe un’altra forma,
non mi sovviene l’ira del tormento,
ma l’eco lieve di una pace enorme.

Ringrazio il caso e il nostro sentimento:
uniti siamo, eppur distanti stelle,
ognuno libero da catene e celle.

Io ti ringrazio, amore inconsapevole,
per questa calma che mai fu ferita,
un’alba mai giurata né commendevole,
una carezza dolce eppur sfiorita.

Non tremo all’eco del tuo nome vano,
se notte o giorno il vento lo raccoglie,
e nella chiesa, il coro sovrumano
non canta inni a fedi senza soglie.

Mi piace che di me tu non ti perda,
che il passo nostro sia saldo sul suolo,
senza giurarci mai promessa o verga.

E non c’è sole che desti il mio volo:
amarti è un lume tenue, sereno,
che non consuma e rende il cuor terreno.

Mi piace che non siamo naufraghi arditi,
legati al remo d’un amore eterno,
che i nostri giorni siano poi spartiti
senza tempesta né un abisso inferno.

Mi piace che le mani non si cerchino,
sfiorarsi è un caso privo di fortuna,
e i nostri occhi, fermi, non si specchino
a bramar l’alba o passeggiar la luna.

Io ti ringrazio, ignaro e senza veli,
che mai prometti ciò che non s’avvera,
e calmo resti come il volo d’api.

Che il dolce nome mio ti sembri austero,
né invano il preghi, né la bocca fiera
lo sparga a notte come un canto errante.

Non ci sorprende il sole del mattino,
né mai la luna guida i nostri passi,
non abbiamo bisogno d’un destino,
d’un coro che i silenzi ci trapassi.

Se baci un’altra, non mi nasce pena,
né auguro al tuo cuore l’inferno amaro;
io son sereno, e lieve come lena
che carezza un giardino, senza faro.

Di te non m’ammalo, né tu di me,
così restiamo liberi e lontani,
vicini solo quanto il cuor lo chiede.

Ringrazio il fato che mai ci costringe,
perché l’amore nostro non si frange
nel giogo eterno di catene umane.

Che dolce questa calma che ci avvolge,
senza tempeste, né lamenti atroci;
nel giuoco nostro, il cuore mai si volge
a cercar l’urlo d’amor nelle voci.

Io non pronuncio il nome tuo nel buio,
e tu nel giorno mai lo rendi vano,
restiamo saldi, senza amore adùlio,
come due astri fermi nello spazio arcano.

E mai l’Alleluja ci consacrerà,
né il dolce abbraccio spezzerà il silenzio;
che questo amor di pace splenderà,

senza bisogno d’un costante assenso.
Amo il tuo cuore ignaro e sereno,
che mai diventa un grido troppo pieno.

Ci siamo scelti senza un vero giuro,
senza un altare e senza alcun mistero;
il nostro amore è fiamma senza furo,
è un dolce soffio d’aria e mai pensiero.

Né il cielo ci rapisce in sua clemenza,
né il suolo sotto ai piedi mai scompare,
restiamo forti nella nostra assenza,
giocando senza fretta d’affondare.

Io ti ringrazio, e tu non sai perché,
ma questo amore ignaro, lieve e spento,
non mi consuma e mai mi renderà.

Uniti siamo, senza mai tormento,
tu mi sfiori, io non tremo, e con le mani
restiamo soli e sempre più lontani.

La terra sotto i piedi mai ci manca,
né l’alba ci sorprende, né il tramonto;
non v’è un destino che il cammino affranca,
né un’eco che interrompa questo conto.

Mai le promesse sfiorano le labbra,
non vi è dolore che ci renda schiavi,
e questa quiete dolcemente labbra
i giorni nostri, senza scosse o gravì.

Ringrazio il fato che ci tiene ignari,
senza catene, senza giorni persi,
ognuno libero nei suoi sentieri.

E mentre il mondo s’agita e si frena,
noi restiamo sospesi, dolci e tersi,
privi di amore, ma pieni di vita piena.

Mi piace che tu non sia il mio tormento,
che l’anima non cerchi il tuo calore,
ché il nostro amore è un puro sentimento,
senza catene, giogo, o un gran furore.

Mi piace che le mani si sfiorino,
ma senza il tremito dell’infinito,
ché i nostri cuori mai si disperino
nell’urlo d’un “per sempre” ormai svanito.

Ringrazio il fato e questa dolce tregua,
la pace che il tuo nome mai tradisce,
né l’alba spenta, né la notte bieca.

Restiamo come stelle nel deserto,
ognuno al cielo suo che non finisce,
senza promesse d’un destino certo.

Non mi sconvolge il tuo abbraccio altrove,
né l’eco d’altri baci sul tuo volto;
il nostro è un gioco che mai si commuove,
né cerca in ciel l’amore più raccolto.

Mai nel silenzio un canto ci ferisce,
mai giunge un nome, dolce o disperato,
e il nostro cuore vive, e si assopisce,
senza rimpianti, senza mai peccato.

Ti ringrazio, o ignaro del mio affetto,
per questa pace senza un fuoco ardente,
che brucia senza fiamma, in un riflesso.

Il giorno scorre, e noi restiamo assenti,
ognuno prigioniero del suo petto,
ma liberi nel cuore, eternamente.

Che dolce il nostro amor senza catene,
senza preghiere, senza l’alleluja,
e il giorno nasce, il tempo mai ci tiene,
liberi come l’onda della pioggia.

Non bacio il tuo nome con la mia voce,
né tu il mio evochi come un giuramento;
l’amor che ci accompagna è lieve e docile,
privo di urla, fremiti o lamento.

Io ti ringrazio, ignaro del mio cuore,
per questa calma che mai mi scompone,
per le promesse non fatte, e il pudore.

Viviamo senza sole o luna piena,
ognuno al suo cammino e alle sue zone,
e il nostro amore resta senza pena.

Che il sole mai ci colga nel mattino,
e il nostro amor si perda tra le stelle,
lontani come un sogno clandestino,
uniti solo al gioco delle pelle.

Mi piace che tu resti ignaro e vago,
che mai prometti ciò che non s’avvera,
ché l’amor nostro è sabbia che si frena,
e mai si posa lungo la preghiera.

Io ti ringrazio, lieve e inconsapevole,
per ogni notte calma e mai rubata,
per il silenzio e il cuore sempre flebile.

Ché siamo liberi e senza tormento,
come due astri fermi nella strata,
lontani, eppur vicini in ogni momento.