Propongo un pezzo articolato in più sezioni, che non solo approfondisce le recensioni cinematografiche di Pasolini, ma le contestualizza all’interno del suo pensiero più ampio, mettendo in luce i rapporti tra la sua attività di critico, quella di regista, il suo impegno politico e il suo sguardo sulla società italiana. Questo mi permetterà di restituire la complessità della sua riflessione sul cinema e la sua capacità di vedere il film non solo come un’opera d’arte, ma come un documento storico e un atto politico.
Lo sguardo cinematografico di Pier Paolo Pasolini
Rileggere “I film degli altri” oggi
La riedizione dell’antologia critica I film degli altri di Pier Paolo Pasolini non è soltanto una riscoperta di un aspetto meno noto della sua produzione intellettuale, ma un invito a riflettere sul ruolo della critica cinematografica come atto di lettura del mondo. Pasolini non è mai stato un critico nel senso tradizionale del termine: la sua analisi del cinema si muove su un terreno in cui il linguaggio cinematografico si intreccia con la letteratura, la politica, la filosofia e la storia sociale dell’Italia.
Questa raccolta di recensioni, che abbraccia il periodo dal 1959 al 1974, ci offre una testimonianza preziosa del suo approccio al cinema come specchio della società e della sua incessante ricerca di un linguaggio capace di raccontare la verità. Per Pasolini, il cinema non è mai stato un’arte separata dal resto della realtà: al contrario, ogni film è un documento storico, un sintomo dei cambiamenti culturali e un terreno di scontro tra visioni del mondo contrastanti.
Rileggere oggi I film degli altri significa confrontarsi con una concezione della critica che rifiuta la neutralità e che si assume il rischio di prendere posizione, spesso con giudizi netti, talvolta spiazzanti, sempre guidati da un’idea precisa di ciò che il cinema dovrebbe essere: non una semplice forma di intrattenimento, ma un atto di conoscenza, un mezzo per rivelare le contraddizioni del presente e per interrogarsi sul destino dell’umanità.
La critica cinematografica come atto politico
Nel panorama della critica cinematografica italiana tra gli anni ’50 e ’70, la voce di Pasolini si distingue per il suo carattere profondamente militante. A differenza della critica accademica, spesso improntata a un approccio estetizzante, e della critica giornalistica, generalmente più descrittiva, Pasolini vede nel cinema una forma di espressione che non può essere separata dal suo contenuto ideologico.
Questo si riflette nel suo metodo critico, che non si limita a valutare i film in base alla loro qualità formale, ma li interpreta come manifestazioni di una determinata visione del mondo. Per lui, un film non è mai un oggetto neutro: è sempre il prodotto di una scelta politica, di un modo di guardare la realtà, di un’idea di umanità e di società.
Uno degli esempi più emblematici di questo approccio è la sua lettura del cinema di Roberto Rossellini. Pur riconoscendone l’importanza storica, Pasolini non esita a criticare alcuni dei suoi film per la loro incapacità, a suo avviso, di cogliere le trasformazioni profonde della società italiana del dopoguerra. Allo stesso tempo, esalta il neorealismo quando questo si dimostra capace di restituire la realtà in tutta la sua crudezza, senza sovrastrutture estetiche o compromessi ideologici.
L’aspetto più rivoluzionario del suo approccio critico sta proprio in questa capacità di leggere il cinema come un dispositivo di potere. Per Pasolini, un film può essere un atto di resistenza contro l’omologazione culturale, ma può anche essere uno strumento di controllo, un mezzo attraverso cui il potere impone una determinata narrazione della realtà. È per questo che la sua critica è sempre radicale: non si limita a giudicare i film, ma li smonta, ne analizza la struttura profonda, ne svela le implicazioni ideologiche.
Pasolini e il cinema d’autore: tra esaltazione e polemica
Uno degli aspetti più interessanti delle recensioni raccolte in I film degli altri è il rapporto di Pasolini con il cinema d’autore. Da un lato, riconosce e celebra il valore di registi come Jean Renoir, Akira Kurosawa e Michelangelo Antonioni, considerandoli autori capaci di superare i confini del linguaggio cinematografico per trasformare il film in un’esperienza poetica. Dall’altro, non risparmia critiche feroci ad alcuni cineasti che, pur essendo celebrati dalla critica ufficiale, ai suoi occhi mancano di autenticità.
Un caso esemplare è il suo giudizio su Luchino Visconti. Pur riconoscendone il talento, Pasolini accusa Visconti di aver tradito il realismo per rifugiarsi in un’estetica manierata e aristocratica. Nelle sue recensioni, si coglie spesso una tensione tra l’ammirazione per la capacità tecnica di alcuni registi e la delusione per il loro cedimento alle logiche del mercato o alle convenzioni narrative.
Ma le sue critiche più aspre sono riservate al cinema commerciale, che considera la forma più insidiosa di alienazione culturale. Per lui, il cinema di intrattenimento non è mai innocuo: è sempre un dispositivo ideologico che lavora per addomesticare il pubblico, per renderlo passivo, per impedirgli di sviluppare uno sguardo critico sulla realtà.
Questa visione si riflette anche nel suo stesso cinema. Nei suoi film, Pasolini rifiuta le strutture narrative classiche, sperimenta nuovi linguaggi, utilizza attori non professionisti, rompe la linearità della narrazione. Il suo obiettivo non è quello di raccontare storie nel modo in cui il pubblico si aspetta, ma di costringerlo a vedere la realtà con occhi nuovi.
L’attualità della critica pasoliniana
A distanza di decenni, la critica cinematografica di Pasolini conserva una straordinaria attualità. In un’epoca in cui il cinema è sempre più dominato dalle logiche del mercato, in cui la critica si riduce spesso a giudizi superficiali o a semplici consigli di visione, il suo approccio radicale e militante appare come un antidoto alla superficialità del discorso contemporaneo sul cinema.
Oggi, in un panorama in cui il cinema d’autore fatica a trovare spazio e in cui il pubblico è sempre più abituato a consumare film in modo passivo, la lezione di Pasolini è più che mai necessaria. Il suo sguardo ci insegna che il cinema non è mai neutrale, che ogni immagine è il risultato di una scelta, che ogni film è un atto politico.
Riscoprire I film degli altri non significa solo leggere le recensioni di un grande intellettuale del Novecento, ma significa anche imparare a guardare il cinema con una nuova consapevolezza. Pasolini non ci offre risposte facili: ci invita a mettere in discussione ciò che vediamo, a interrogarci su cosa significhi oggi fare cinema, su quali storie vengono raccontate e su quali vengono invece taciute.
La sua critica ci ricorda che il cinema, quando è veramente libero, non è mai un rifugio dalla realtà. È, al contrario, il luogo in cui la realtà viene messa a nudo, interrogata, sovvertita. Un insegnamento che, oggi più che mai, dovremmo fare nostro.