Nel paesaggio cinematografico contemporaneo, Sauna di Mathias Broe si presenta come un’opera silenziosa e insieme rovente, che si insinua tra le pieghe dell’identità e dell’amore come il vapore tra le travi di legno di una vecchia sauna nordica. Presentato nel 2025, il film si sviluppa in una Copenaghen livida e malinconica, un paesaggio urbano che sembra quasi trattenere il respiro mentre la storia si dispiega. È in questo contesto che incontriamo Johan, protagonista riservato, in bilico tra desiderio e solitudine, e William, uomo transgender il cui arrivo spezza la linearità emotiva della vita di Johan come una fenditura di luce in una stanza buia.
Il cuore del film batte al ritmo irregolare e vulnerabile dell’intimità: l’incontro tra Johan e William non è costruito attraverso i meccanismi tradizionali della seduzione cinematografica, ma nasce da un gesto minimo, da uno sguardo sfuggente, da una vicinanza fisica che non ha nulla di erotico in senso spettacolare e tutto di profondamente carnale, umano, incerto. La sauna, più che semplice luogo d’incontro, diventa la metafora dominante dell’intero film: spazio del calore, della nudità e dell’apertura, ma anche luogo in cui i confini del corpo si confondono, e dove l’identità, sciolta dal gelo del giudizio esterno, può esprimersi in forme nuove, fluttuanti, non ancora fissate.
Mathias Broe affronta il tema dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale con una grazia fuori dal comune. Evita il pietismo e rifugge dalla pedagogia, concentrandosi invece su ciò che accade nei silenzi, nei respiri, nelle esitazioni. La sua regia è misurata, intimista, quasi pudica. Le inquadrature sono spesso strette, intime, ma mai invadenti: lasciano spazio ai corpi, ai volti, al non detto. Il film non urla, ma sussurra – eppure le sue parole rimangono scolpite. In questo senso, si potrebbe accostare Sauna a certe opere del primo cinema queer europeo, dove l’esperienza dell’identità è trattata non come dichiarazione politica, ma come fatto quotidiano, poetico, esistenziale.
Johan è un personaggio apparentemente semplice, ma interiormente complesso: la sua omosessualità non è tematizzata, bensì vissuta, e questo fa di lui un protagonista raro, non simbolico ma vivo. La sua attrazione per William non è mai ridotta a una curiosità morbosa verso l’identità di quest’ultimo, ma diventa piuttosto l’occasione per rivedere le proprie certezze, i propri limiti, la propria capacità di amare al di fuori del binarismo. William, d’altra parte, è tratteggiato con rara umanità: né vittima né eroe, porta sul corpo e nello sguardo la stanchezza e la fierezza di chi ha attraversato molte soglie. La loro relazione, fragile e potente, evolve in modo non lineare, scandita più dai silenzi che dalle parole.
La fotografia gioca un ruolo fondamentale. La luce è spesso fredda, bluastra, tagliente – e poi, all’interno della sauna, si scalda, si ammorbidisce, accarezza. L’alternanza fra esterno e interno, fra gelo e vapore, diventa una drammaturgia visiva che accompagna e amplifica l’evoluzione dei personaggi. Anche la colonna sonora è essenziale e rarefatta, composta più da suoni ambientali che da veri e propri brani: lo sfrigolio del legno caldo, il battito del cuore, il gocciolio lento dell’acqua diventano parte del racconto.
Sauna è, in definitiva, un film sulla possibilità di lasciarsi andare, di non sapere, di accettare che la verità dell’identità e dell’amore risieda proprio nella loro instabilità. È un film queer nel senso più profondo e filosofico del termine: non solo per i personaggi che mette in scena, ma per la forma stessa del suo raccontare, per il modo in cui scardina i modelli narrativi convenzionali e lascia che siano i corpi a parlare prima delle parole.
Uno degli aspetti più significativi di Sauna è il suo posizionamento nel panorama del cinema europeo queer contemporaneo. Mathias Broe – cineasta danese ancora poco noto fuori dai circuiti festivalieri, ma già apprezzato per i suoi corti densi e intimisti – firma qui il suo primo lungometraggio con una sorprendente maturità narrativa. Il film si inserisce nella scia di un cinema nordico che, da And Breathe Normally di Ísold Uggadóttir a Something Must Break di Ester Martin Bergsmark, ha saputo esplorare le marginalità sessuali e identitarie non con intento militante, ma con un approccio poetico, quasi contemplativo. Sauna ne rappresenta una possibile sintesi: un film che parla di corpi, ma senza voyeurismo; che racconta la transizione non come percorso da spiegare al pubblico, ma come realtà umana da abitare.
La produzione, a basso budget e sostenuta da fondi statali danesi e cooperazioni europee, ha consentito a Broe una libertà espressiva che si avverte in ogni scelta registica. Le scene sono girate con luce naturale, molte in spazi realmente utilizzati da comunità LGBTQ+ di Copenaghen, e il casting ha privilegiato attori non professionisti per i ruoli secondari, rafforzando quella sensazione di autenticità che pervade tutto il film. Va anche sottolineato il lavoro meticoloso fatto con i consulenti per la rappresentazione transgender, che ha permesso di evitare scivoloni narrativi o cliché ormai triti.
Il film ha ricevuto un'accoglienza entusiasta nei circuiti dei festival LGBTQ+, dove è stato spesso definito “una carezza sul trauma” o “un gesto d’amore in un tempo di cinismo”. Non a caso, Sauna non propone redenzioni, non offre spiegazioni, non cerca di sciogliere i nodi dei suoi protagonisti: preferisce, invece, contemplare quei nodi, restare con loro, accettarne la complessità. Questa è forse la sua più grande forza: il rifiuto di risolvere, di rassicurare, di “educare”. Sauna non è un film da spiegare; è un film da attraversare, da lasciare decantare.
Un’altra riflessione sul titolo, che può sembrare minimalista, quasi neutro. Ma in realtà, “sauna” diventa qui parola carica, ambigua, stratificata. Evoca lo spazio del desiderio ma anche quello della purificazione, della sospensione, del non-tempo. È un luogo senza orologi, senza telefoni, dove si entra nudi, spogli di ruolo, e si suda insieme. E in questo sudore condiviso – che non è soltanto fisico ma simbolico – Johan e William si incontrano davvero, forse per la prima volta, come due esseri umani che non hanno più paura di non corrispondere a un nome.
Un altro aspetto cruciale di Sauna è la scelta dell'ambientazione, che non è mai un semplice sfondo, ma diventa parte integrante della narrazione. La sauna, con il suo calore avvolgente, i vapori che rendono visibili e al contempo sfumano i contorni, simboleggia perfettamente il viaggio psicologico e fisico dei protagonisti. È un ambiente che svela e nasconde al contempo, dove i corpi sono in primo piano ma resi indistinti dalla nebbia, quasi a voler suggerire che l’identità, come il vapore, è qualcosa che si forma e si dissolve, che si trasforma, che è sempre fluida e in movimento.
Broe non ha paura di lavorare con il silenzio. In un’epoca in cui il cinema sembra esigere un ritmo incalzante e una costante “informazione” visiva, Sauna sceglie di lasciar respirare i suoi momenti. Il silenzio non è mai assenza, ma un veicolo potente per la riflessione. La sua capacità di evocare emozioni è incredibile: durante le scene più cariche di tensione, quando i protagonisti si sfiorano o si guardano senza parlare, è il silenzio a raccontare il peso di quello che non viene detto, e il senso di inadeguatezza o di desiderio non ancora realizzato.
Inoltre, la sauna stessa diventa un luogo liminale, sospeso tra due mondi: quello pubblico, fuori da quella porta, e quello intimo, che si svela solo dentro. Un'idea che si ripercuote anche sui personaggi: Johan e William non sono mai completamente a loro agio, anche quando si trovano più vicini di quanto avrebbero mai pensato. Il loro rapporto è un flusso continuo tra apertura e chiusura, tra vicinanza e distanza. È come se la sauna fosse il simbolo di un rifugio dove si può essere vulnerabili, ma al tempo stesso non è mai completamente sicuro, sempre pericolosamente vicino alla possibilità di bruciarsi.
Questa tensione tra l’apertura fisica e l’incomunicabilità emotiva è una delle linee sotterranee più potenti del film, ed è costruita proprio attraverso l’uso misurato di spazio e silenzio. In un contesto in cui il dialogo potrebbe sembrare necessario, Broe preferisce spesso lasciar parlare i gesti, le espressioni, i movimenti. Non ci sono spiegazioni, nessun “colpo di scena” narrativo che renda le cose più facili da comprendere. È come se il regista volesse mettere alla prova lo spettatore: il film non è un oggetto da consumare in modo passivo, ma un’esperienza da vivere, e forse anche da rielaborare lentamente, come un sogno che non si capisce subito, ma che si fa più chiaro solo con il passare del tempo.
Ogni piccolo gesto acquista un valore simbolico potente: la mano di Johan che sfiora la pelle di William, il respiro che si fa più affannoso, la distanza tra i loro corpi che cambia impercettibilmente. La bellezza del film sta anche in queste sottili trasformazioni, in quello che avviene sotto la superficie, nei cambiamenti che non sono mai esplicitati, ma che si sentono con ogni fibra del corpo. È la potenza del non detto, del non spiegato, che colpisce più di qualsiasi parola.
In definitiva, Sauna è una riflessione sulle relazioni intime e sulle difficoltà legate alla comprensione dell’altro, e di sé stessi. Broe esplora come, nelle relazioni più profonde, non ci sia mai una fine definitiva, un luogo dove “arrivare”. C'è solo il percorso, fatto di tentativi, errori, frustrazioni, ma anche di scoperte, di momenti di connessione che appaiono e scompaiono, come il vapore che si disperde nell’aria calda della sauna. E in questo percorso, Sauna riesce a essere un film profondamente umano, che non offre risposte facili, ma che lascia il pubblico con una sensazione di intimità vera e propria, come se fosse stato, per un attimo, parte di un’esperienza che trascende i confini dell'inquadratura.
Ecco perché Sauna non è solo un film da vedere, ma un film da sentire. Una visione che non può essere afferrata interamente al primo sguardo, ma che si insinua lentamente, come il calore di una sauna che avvolge il corpo in modo quasi impercettibile, ma assolutamente trasformativo.
Sauna, dunque, è un film necessario. Non solo per ciò che dice, ma per il modo in cui lo dice: con dolcezza, con verità, con una vulnerabilità che oggi suona quasi rivoluzionaria. Un'opera che rimane addosso come l’umidità sulla pelle, e che continua a parlare molto tempo dopo i titoli di coda.
È un’opera che chiede allo spettatore di spogliarsi – come i suoi protagonisti – di ogni preconcetto, per sedersi accanto a loro, nella penombra umida di una sauna, e ascoltare il rumore che fa un cuore quando ricomincia a battere.