sabato 31 maggio 2025

Sotheby's Milano e il rinnovato fervore per il Novecento italiano: tra rigore magico, tensioni astratte e mitologie metafisiche


La recente asta tenutasi presso la sede milanese di Sotheby's ha rappresentato molto più che un appuntamento commerciale per il mercato dell'arte: essa ha costituito un vero e proprio barometro del rinnovato interesse – colto e collezionistico – per le espressioni artistiche italiane del XX secolo, rivelando al contempo dinamiche selettive e tendenze di gusto che riflettono un dialogo sempre più fitto tra l'orizzonte storico e la sensibilità contemporanea. L'evento, curato con attenzione alla qualità museale dei lotti presentati, ha riportato alla luce opere raramente esposte, alcune provenienti da raccolte private e assenti da decenni dal dibattito critico pubblico, suscitando riflessioni nuove sulla ricezione attuale di maestri quali Antonio Donghi, Osvaldo Licini e Giorgio de Chirico.

In un mercato spesso polarizzato tra l'arte contemporanea internazionale e il revival di nomi già consacrati da istituzioni museali, l'asta milanese ha dato spazio a un tempo sospeso, quello del primo e secondo Novecento italiano, che oggi si rivela più che mai carico di potenziale poetico, filosofico ed economico. L'attenzione alla selezione delle opere, alla loro conservazione, provenienza e rarità, ha permesso a Sotheby's di articolare un'offerta che è parsa pensata non solo per i collezionisti tradizionali ma anche per curatori, studiosi e operatori culturali interessati a rivalutare linee meno canoniche della modernità artistica nazionale.

La trasparente enigma di Antonio Donghi: una modernità statica e segreta

Al centro di questo processo di riscoperta si colloca l'opera di Antonio Donghi, figura emblematica di quel complesso e sfaccettato fenomeno storiografico denominato "Realismo Magico". Pur distante da ogni tentazione narrativa o retorica, la pittura di Donghi si caratterizza per un controllo quasi glaciale della forma e della composizione, che restituisce una realtà cristallizzata, silenziosa e insieme perturbante. Le sue figure – spesso immerse in ambientazioni urbane o domestiche dal sapore arcaico – sembrano abitate da una sospensione temporale, come se il tempo stesso, invece di fluire, vi si fosse pietrificato.

L'opera di Donghi, ampiamente apprezzata già negli anni Venti e Trenta ma poi per lungo tempo marginalizzata rispetto ai canoni del modernismo internazionale, ha ritrovato negli ultimi anni un nuovo posizionamento critico, complice anche il crescente interesse per le poetiche dell'oggetto e per una figurazione colta, anacronistica, che si rivela quanto mai attuale nella sua ambiguità percettiva. L'ottima risposta del mercato all'opera proposta in asta da Sotheby's – lodata per la sua integrità espressiva e l'esecuzione impeccabile – testimonia come il pubblico stia riscoprendo la capacità di Donghi di evocare, attraverso un iperrealismo solo apparente, una metafisica degli affetti e degli sguardi trattenuti.

Osvaldo Licini: il canto astratto del cosmo e dell'anima

Di tutt'altro orientamento, ma egualmente ancorato a una visione individualissima dell'arte come strumento di trasfigurazione interiore, è il lavoro di Osvaldo Licini. Lontano dai dettami del razionalismo geometrico o delle derive costruttiviste, Licini sviluppa un linguaggio pittorico autonomo e lirico, che attinge tanto alle suggestioni simboliste quanto alle inquietudini esistenziali del primo dopoguerra. Le sue celebri "Amalassunte" – figure arcane, alate, scritte nel cielo con una calligrafia dell'inconscio – tracciano una geografia intima dell'universo, dove il segno si fa vibrazione poetica e il colore si emancipa dalla mera funzione descrittiva per assurgere a veicolo di tensione spirituale.

La presenza in asta di una delle sue composizioni più evocative ha riaffermato l'attrattività di Licini presso un collezionismo raffinato e sensibile alle contaminazioni tra le arti. In un contesto critico in cui l'astrazione tende spesso a essere letta nei termini di linguaggio internazionale omogeneo, l'opera di Licini si distingue per una capacità tutta italiana – e tutta personale – di innervare la pittura con interrogativi cosmici, tensioni mistiche e invenzioni iconiche che rendono ogni sua tela una sorta di poema visivo. Il risultato ottenuto in asta conferma la solidità del suo posizionamento, ma anche la necessità di continuare a promuovere la ricerca storiografica su un artista che ha saputo congiungere metafisica, espressionismo e mistero.

Giorgio de Chirico: l'inquietudine metafisica come stile eterno

Ineludibile infine la figura di Giorgio de Chirico, il cui ruolo fondativo nella nascita della pittura metafisica resta una delle pagine più dense e influenti dell'arte del Novecento. Le opere presenti in asta, esemplari per qualità e rappresentatività, confermano come il lessico pittorico dechirichiano – fatto di piazze deserte, manichini, colonnati in rovina e prospettive stranianti – continui a esercitare un potere magnetico sul pubblico contemporaneo. Non si tratta solo di suggestione stilistica, ma di una vera e propria potenza ontologica delle sue immagini, che pongono interrogativi radicali sul senso del tempo, dello spazio e della memoria.

La fortuna critica di de Chirico, più volte soggetta a oscillazioni anche feroci – basti pensare alla ricezione controversa della sua fase "neobarocca" post-metafisica – si sta oggi stabilizzando su un piano di riconoscimento pieno della complessità della sua parabola. L'asta milanese ha presentato un'opera emblematica della sua produzione maturo-metafisica, capace di dialogare con le inquietudini esistenziali del presente e con le riflessioni sulla teatralità del mondo visibile. Non stupisce, quindi, che il suo lavoro mantenga una salda posizione tanto sul piano economico quanto su quello curatoriale, restando punto di riferimento imprescindibile per ogni riflessione sull'arte come sistema simbolico.

Considerazioni conclusive: oltre l'asta, una cartografia della memoria artistica

L'edizione primaverile di Sotheby's Milano non ha dunque offerto soltanto l'opportunità di acquisire opere di grande valore storico ed estetico, ma ha tracciato una vera e propria cartografia delle sensibilità artistiche del Novecento italiano, illuminando territori spesso trascurati o letti con categorie critiche riduttive. Attraverso l'intelligente accostamento di personalità diverse ma profondamente rappresentative – Donghi con la sua immobilità poetica, Licini con la sua tensione visionaria, de Chirico con il suo silenzioso enigma metafisico – l'asta ha proposto una narrazione alternativa del moderno, lontana dagli schemi gerarchici della storiografia tradizionale.

In un'epoca segnata da mutamenti rapidi nei paradigmi estetici e da una crescente ibridazione tra generi e linguaggi, il ritorno a questi artisti non appare come un gesto nostalgico, ma come un'operazione di chiarimento: essi ci restituiscono una visione dell'arte come forma di conoscenza, come rito mentale e spirituale, e come esperienza irriducibile di straniamento. Il loro successo in asta, oltre i numeri e i record, è il sintomo di una riscoperta più ampia, che riguarda la profondità del tempo, la persistenza del simbolo, e il bisogno, oggi più che mai avvertito, di silenzi che sanno parlare.