sabato 31 maggio 2025

Tutto quello che credi sulla famiglia "naturale" è falso

Si definisce impropriamente “naturale” la famiglia borghese nucleare, affermatasi tra XVIII e XIX secolo nel contesto europeo. Questo modello, costituito da padre, madre e figli conviventi in un’unica unità domestica separata dal resto della comunità, è in realtà una costruzione storica specifica, emersa in corrispondenza con lo sviluppo del capitalismo, della proprietà privata e dell’individualismo moderno. Eppure, nel corso del tempo, questo assetto familiare è stato progressivamente elevato a paradigma universale, spesso percepito come l’unica forma legittima di convivenza e di riproduzione sociale. Il suo carattere storicamente situato è stato oscurato da una narrazione che lo ha proposto come dato biologico, immanente alla natura umana, e dunque sottratto alla critica.

Per secoli, anzi per millenni, le popolazioni europee hanno vissuto secondo forme familiari estremamente variabili: famiglie estese e plurigenerazionali, convivenze collettive fondate su legami non esclusivamente di sangue, reti di cura che coinvolgevano anche servi, apprendisti, vedove, orfani e forestieri. Il concetto stesso di famiglia, fino all’età moderna, coincideva spesso con l’unità di produzione agricola o artigianale, e non con lo spazio dell’intimità o del sentimento romantico. Le alleanze matrimoniali, più che alla libera scelta, obbedivano a logiche economiche, politiche o patrimoniali. Nel contesto medievale, ad esempio, la casa era un centro di attività economiche, e la coabitazione includeva una pluralità di figure eterogenee, ben lontane dalla composizione ristretta e idealizzata della famiglia ottocentesca.

Con l’avvento della modernità, e in particolare con l’affermazione della borghesia urbana, si assiste a un processo di privatizzazione e idealizzazione della vita domestica. La separazione tra sfera pubblica e sfera privata diviene centrale. L’amore romantico comincia ad assumere un ruolo strutturante nei modelli coniugali, ma solo in un secondo momento, e soprattutto come costruzione letteraria prima ancora che sociale. Il matrimonio borghese viene riletto in chiave affettiva, ma ciò che prevale è un dispositivo di controllo: la famiglia diventa il luogo deputato alla riproduzione dei ruoli di genere, alla trasmissione dell’eredità, alla formazione morale dei cittadini, e alla sorveglianza delle sessualità.

Tutto ciò è stato descritto con precisione da numerosi studi storici e antropologici. Philippe Ariès, nel suo pionieristico L’enfant et la vie familiale sous l’Ancien Régime, e più estesamente nella collana diretta con Georges Duby La famiglia e la sessualità in Occidente, ha mostrato come molte delle idee oggi associate alla “famiglia naturale” siano in realtà conquiste o imposizioni recenti. Gli studi di David Sabean, Jack Goody e Emmanuel Le Roy Ladurie confermano l’estrema flessibilità delle strutture familiari in epoche precedenti. Parallelamente, l’opera di Michel Foucault ha permesso di leggere la famiglia moderna come un dispositivo biopolitico: uno strumento di governo dei corpi e di normalizzazione dei comportamenti.

La persistenza di questa forma familiare come unica legittimata — nonostante i profondi mutamenti culturali e sociali degli ultimi decenni — dipende in larga misura dalla sua interiorizzazione ideologica. La cosiddetta “famiglia naturale” non è solo un modello storico, ma un’operazione discorsiva: funziona come meccanismo di esclusione, rendendo invisibili o marginali tutte le forme di convivenza e affettività che non vi si conformano. Le famiglie omogenitoriali, le reti amicali di mutuo soccorso, le relazioni non monogame, le esperienze di genitorialità queer o collettiva, vengono sistematicamente ignorate, quando non stigmatizzate. La naturalizzazione del modello borghese ha dunque un preciso valore politico: serve a proteggere un ordine simbolico fondato sulla gerarchia, la proprietà e la riproduzione del potere.

Negli ultimi decenni, gli studi queer hanno contribuito in modo decisivo a decostruire questa narrazione. Autori come Judith Butler, Michael Warner, Didier Eribon e, nel contesto italiano, Lorenzo Bernini e Massimo Prearo, hanno evidenziato come la famiglia sia al centro di un’ideologia eteronormativa che funziona come dispositivo di disciplinamento. In questa prospettiva, la famiglia non è più un’istituzione neutra, ma una macchina sociale attraverso cui si produce e si riproduce un certo tipo di soggetto: conforme, binario, produttivo, normato.

Rimettere in discussione la presunta naturalità della famiglia borghese non significa negarne il valore affettivo o la funzione sociale in determinate epoche. Significa però liberarsi dall’idea che essa rappresenti l’unica forma possibile o desiderabile di convivenza. Significa, in altri termini, riaprire lo spazio della possibilità, della scelta, della pluralità. Riconoscere che ogni forma familiare è storicamente determinata permette di immaginare strutture nuove, più elastiche, più eque, fondate non sull’obbligo ma sul desiderio, non sulla norma ma sulla relazione.

In un tempo in cui la famiglia tradizionale viene invocata come baluardo contro ogni cambiamento, è necessario ribadirne la natura storica e contingente. La sua critica non è un attacco ai legami affettivi, ma al contrario un’apertura verso forme più libere e inclusive di vicinanza umana. Ripensare la famiglia, oggi, significa anche pensare un altro modo di abitare il mondo.