sabato 25 ottobre 2025

Frederick Rolfe alias Baron Corvo: un genio marginale tra estetismo, fantasia e rovina

Frederick William Serafino Austin Lewis Mary Rolfe, noto ai più con il nome autoimposto di Baron Corvo, fu una figura letteraria eccentrica e controversa della fine dell’Ottocento e dei primi anni del Novecento. La sua esistenza, più romanzesca dei suoi stessi romanzi, si è impressa nell’immaginario letterario soprattutto grazie alla biografia "The Quest for Corvo" (1934) di A. J. A. Symons, che è diventata un’opera cult nel panorama della saggistica britannica. In essa, l’indagine sull’uomo e sull’autore si fonde con l’esplorazione di una mente creativa che sfugge a ogni tentativo di classificazione. Questo saggio intende restituire la complessità di Rolfe, indagando il contesto storico e personale, l’originalità della sua opera e la singolare ricezione postuma.

Rolfe nacque a Cheapside, Londra, il 22 luglio 1860, figlio di un costruttore di pianoforti. Dopo una formazione irregolare, abbandonò la scuola a quattordici anni per lavorare come insegnante. La sua precoce conversione al cattolicesimo romano (1886) fu il primo segno tangibile della sua tendenza alla teatralizzazione dell’identità. Tentò senza successo di farsi accettare al seminario, studiando brevemente allo Scots College di Roma e in seguito presso l’Abbazia benedettina di Fort Augustus in Scozia, ma fu espulso per problemi di condotta e forse per l’evidente eccentricità del carattere. Il fallimento della vocazione sacerdotale diventò il trauma fondativo che informò tutta la sua opera letteraria.

Rolfe fu ossessionato dall’idea di riconoscimento e status. L’adozione del titolo nobiliare fittizio di "Barone Corvo" non fu solo un vezzo, ma l’espressione profonda di un desiderio di legittimazione. La sua firma variava in modo grottesco e barocco: Frederick William Serafino Austin Lewis Mary Rolfe era un accumulo simbolico di identità religiose, aristocratiche, esoteriche. In questo senso, si può leggere la sua intera parabola esistenziale come un tentativo di performare un personaggio letterario nella realtà. La personalità di Rolfe anticipa in modo singolare il fenomeno moderno dell’autofiction e della costruzione narcisistica dell’identità attraverso la scrittura.

L’opera di Rolfe si inserisce nel clima estetizzante fin de siècle, in cui l’arte è concepita come assoluta, separata dalla morale e dalla funzione sociale. Le sue prose sono dense, ornate, talvolta esasperate. Non scriveva per il lettore comune, ma per un pubblico ideale di iniziati, per chi sapesse cogliere le allusioni erudite, il latino ecclesiastico, i riferimenti alla liturgia e alla teologia cattolica. La lingua è spesso enfatica, ma sempre profondamente controllata. Come altri decadentisti del suo tempo, da Huysmans a D’Annunzio, Rolfe si rifugiò in una dimensione estetica assoluta, dove la vita imita l’arte e l’arte risarcisce la vita mancata.

Pubblicato nel 1904, "Hadrian the Seventh" è il capolavoro di Rolfe. Il romanzo mette in scena un alter ego, George Arthur Rose, che dopo essere stato rifiutato dal sacerdozio e abbandonato dalla società, viene miracolosamente eletto Papa. In un turbine di eventi grotteschi, surreali e spirituali, Hadrian VII rivoluziona la Chiesa e il mondo. È una fantasia di potere e redenzione, ma anche una critica feroce alla mediocrità del clero e all’ipocrisia dell’istituzione ecclesiastica. Il testo fu accolto con fascino e diffidenza: troppi vi leggevano un delirio narcisista, una vendetta romanzata; ma oggi lo si riconosce come un’opera originalissima, ibrido di romanzo psicologico, satira politica e confessione visionaria.

Negli ultimi anni della sua vita, Rolfe visse a Venezia, spesso ospite di benefattori e mecenati che puntualmente finivano per stancarsi di lui. Lì scrisse una delle sue opere più affascinanti, pubblicata postuma nel 1934: "The Desire and the Pursuit of the Whole". È un romanzo epistolare e diaristico che racconta la miseria materiale e la ricchezza interiore di un artista in fuga. Venezia, città della dissoluzione e del sogno, diventa specchio della psiche di Rolfe. L’opera è un pastiche raffinato di autobiografia, prosa poetica e riflessione metafisica: un addio lirico al mondo e una meditazione sulla solitudine creativa.

Frederick Rolfe era omosessuale in un’epoca in cui l’omosessualità era criminalizzata. Non fu mai perseguito apertamente, ma la sua sessualità permea la sua opera in forme cifrate e subliminali. Nei racconti della serie "Stories Toto Told Me" e in "Don Tarquinio", il desiderio per giovani uomini è trasfigurato in un’estetica spiritualizzata, tra sacralità e paganesimo. Il suo modo di narrare l’attrazione erotica ricorda certi passaggi di Walter Pater o le confessioni mistiche. La censura dell’epoca lo costrinse a esprimersi in forme indirette, rafforzando la complessità e la tensione simbolica della sua scrittura.

Nel 1934 A.J.A. Symons pubblicò "The Quest for Corvo: An Experiment in Biography", un libro che divenne un classico del genere. Invece di una narrazione cronologica, Symons racconta il processo di ricerca su Rolfe, mostrando la difficoltà di ricostruire la vita di un uomo così sfuggente. Il libro ebbe un’enorme influenza e contribuì a risvegliare l’interesse per Rolfe nel mondo anglofono. La figura di Corvo divenne un’icona della marginalità artistica, un prototipo del genio incompreso. Symons, con finezza e ironia, mostra come l’impossibilità di definire Rolfe sia anche il suo più grande fascino.

L’eredità di Rolfe ha conosciuto ondate di revival, soprattutto negli anni Sessanta e Novanta. L’adattamento teatrale di "Hadrian the Seventh" realizzato da Peter Luke e interpretato da Alec McCowen nel 1968, fu un grande successo a Londra e a Broadway. Negli anni Novanta, Terry Hands ne mise in scena una nuova versione con Derek Jacobi. Questi adattamenti hanno riportato in vita l’universo grottesco e spirituale di Rolfe, attirando l’attenzione su un autore che continua a dividere. La sua scrittura resta ostica, barocca, provocatoria, ma sempre capace di esercitare un magnetismo irresistibile su lettori disposti ad abbandonare le coordinate narrative tradizionali.

Frederick Rolfe fu uno scrittore impossibile da catalogare: dandy cattolico, mistico egocentrico, visionario solitario. Le sue opere sono soglie di accesso a un mondo in cui l’identità è un’opera d’arte, la verità è una costruzione e la marginalità è un destino estetico. Nel panorama della letteratura inglese tra Otto e Novecento, Corvo è una cometa anarchica e abbagliante, che ha lasciato una scia di eccesso, mistero e seduzione. Il suo culto sopravvive, nonostante (o forse proprio grazie a) la sua irriducibile eccentricità. E in tempi in cui l’identità è al centro del dibattito culturale, leggere Rolfe significa confrontarsi con un antesignano delle forme più estreme di autofinzione e di resistenza artistica.