Brindiamo, dunque, a questa eterna discesa, a quelle battaglie che non hanno mai avuto bisogno di clangore, perché il loro teatro è l'abisso stesso della nostra anima. Brindiamo al vuoto che ci accoglie, alle voragini che si spalancano sotto ogni passo, dove ogni nostra caduta è una lenta, agognata liberazione. Non c’è salvezza, né redenzione, solo il languore di un’esistenza in cui la luce è sempre un ricordo distante, sfumato come il volto di un amante che non tornerà mai.
Beviamo, o compagni di tenebra, a questo tormento silente che ci divora senza mai concederci la misericordia della fine. Ogni battaglia è stata combattuta in segreto, tra le pieghe delle nostre menti stanche, tra il sussurro di pensieri cupi che ci seducono, promettendoci un riposo che non arriva mai. Le nostre anime, come fantasmi inquieti, vagano in un limbo senza forma, sospese tra il desiderio di sparire e l’impossibilità di sfuggire a se stesse.
Brindiamo a questa condanna, alla dolce agonia che ci avvolge come un sudario. Brindiamo al silenzio, che è più feroce di qualsiasi urlo, e alla solitudine che ci accompagna come un'ombra, inseparabile. Ogni battaglia che abbiamo combattuto, ogni vittoria segreta, non è stata altro che un passo verso il vuoto, una lenta erosione dell'essere. Eppure, resistiamo, come statue crepate, scolpite nella pietra della sofferenza. Brindiamo a questo nulla che ci seduce, a questo abisso che ci chiama per nome, perché è solo nell'oscurità che troviamo la vera essenza di ciò che siamo: frammenti di un sogno spezzato, destinati a dissolversi nell’eterno oblio.
Beviamo, allora, al nostro lento annullamento, alla gloria di esistere per il solo scopo di sprofondare, ancora e ancora, finché il mondo dimenticherà persino il suono dei nostri nomi.