Dario Bellezza (1944–1996) è stato uno degli scrittori più controversi e intensi della letteratura italiana del secondo Novecento. Sebbene sia principalmente noto come poeta, la sua narrativa ha un posto di rilievo per il suo stile inquieto e ossessivamente introspettivo. Cresciuto artisticamente nella Roma degli anni '60 e '70, a contatto con figure come Pier Paolo Pasolini e Alberto Moravia, Bellezza ha saputo tradurre nella prosa quel senso di alienazione esistenziale e conflitto interiore che caratterizza tutta la sua opera.
Il suo romanzo d’esordio, L’innocenza (1971), è una confessione autobiografica mascherata, dove l’autore esplora il disagio della propria omosessualità in una società ostile e repressiva. Con uno stile crudo e visionario, Bellezza scrive di corpi emarginati e di amori che sembrano sempre in procinto di consumarsi nel dolore e nella perdita. La narrativa di Bellezza non concede nulla a letture facili o pacificatorie: è tragica e claustrofobica, ma anche pervasa da una febbre lirica che, più che descrivere, trasfigura la realtà.
Lettere da Sodoma (1972), il suo secondo romanzo, esplora ulteriormente i temi dell’emarginazione, del rifiuto e della condanna sociale, spesso attraverso personaggi che sembrano condannati al martirio esistenziale. In questo senso, la narrativa di Bellezza può essere vista come una lunga riflessione sull'auto-distruzione e la lotta contro un destino ineluttabile.
Il mondo narrativo di Bellezza è cupo e perverso, ma intriso di una disperata ricerca di autenticità e amore. I suoi personaggi vivono sempre al margine, sia socialmente che emotivamente, rendendo ogni loro gesto una sfida alla norma e, contemporaneamente, un atto di disperata solitudine.
Oltre a L'innocenza (1971) e Lettere da Sodoma (1972), Bellezza ha continuato a esplorare il mondo della prosa, lasciando una traccia significativa anche con altri testi.
Nel 1983 pubblica Il carnefice, un romanzo che amplia il suo universo letterario fatto di figure alienate e in cerca di senso in una società ostile. Il protagonista, come in gran parte delle sue opere, è un emarginato che si muove tra il desiderio di redenzione e un'inesorabile condanna autodistruttiva. Qui, l’esplorazione dell’inquietudine esistenziale si tinge di toni quasi mistici, pur mantenendo quella crudezza stilistica che caratterizza Bellezza.
Un'altra opera rilevante è Il rosaio e la margherita (1987), in cui l’autore continua a indagare la complessità dell’identità sessuale e del desiderio. Bellezza è sempre più interessato a sviscerare il rapporto tra corpo, amore e morte, temi che si intrecciano in una narrativa a tratti frammentaria, ma sempre intensamente lirica.
Negli anni '90, con La morte innamorata (1995), Bellezza ritorna su temi a lui cari come la sofferenza, l'eros e la decadenza, ma con una maggiore consapevolezza del tempo che passa e del destino imminente. Questo romanzo può essere letto come una sorta di testamento letterario, in cui l’autore si confronta direttamente con la propria mortalità.
Sebbene la poesia resti il cuore pulsante della sua produzione, Bellezza ha saputo trasferire nella narrativa la stessa urgenza espressiva, creando opere che, pur non avendo ricevuto la stessa attenzione delle sue liriche, meritano di essere riconsiderate per la loro profondità emotiva e stilistica.
In sintesi, la narrativa di Dario Bellezza si articola in una serie di opere che affrontano con disperata lucidità i grandi temi della vita, dell’amore e della morte, sempre con un'attenzione acuta per l’identità sessuale e la marginalità. Una produzione che, seppur meno prolifica rispetto alla poesia, è altrettanto cruciale per comprendere il suo universo letterario.
Dario Bellezza rimane un autore che ha saputo usare la narrativa come una forma di esorcismo personale, un modo per affrontare i demoni della sua condizione e della sua epoca, consegnando alla letteratura italiana opere scomode, potenti e profondamente intime.