Il saggio di Umberto Galimberti, pubblicato da Feltrinelli nel 2007, affronta il tema del nichilismo, un concetto che l’autore definisce come "l'ospite inquietante" della nostra epoca. Galimberti lo osserva come una forza che, pur essendo inizialmente filosofica, ha finito per insinuarsi nella vita quotidiana, in particolare tra i giovani, creando vuoti di senso e una pericolosa indifferenza.
Galimberti ritrae un quadro spietato della società contemporanea, dove i giovani sembrano sempre più disorientati, privi di obiettivi e coinvolti in dinamiche di consumo e spettacolo che svuotano la loro esistenza. La scuola, la famiglia e le istituzioni, secondo l’autore, non riescono più a offrire punti di riferimento stabili, lasciandoli in balìa di un mondo privo di orizzonti.
Un aspetto interessante del libro è l'accusa alla società adulta, che non solo ha abbandonato i giovani, ma ha creato un ambiente in cui il nichilismo prospera: il culto della performance, l’individualismo esasperato e la mercificazione di ogni aspetto della vita. Per Galimberti, questo è un tradimento profondo, perché impedisce ai giovani di costruirsi un’identità autentica e li spinge a rifugiarsi nell’apatia o in forme di ribellione autodistruttiva.
Il libro è scritto con uno stile che alterna rigore filosofico e toni accessibili, rendendo il saggio fruibile anche ai non esperti. Tuttavia, l'approccio di Galimberti è a volte critico al punto da risultare pessimista: le sue analisi possono lasciare il lettore con una sensazione di impotenza, senza offrire soluzioni concrete.
"L'ospite inquietante" è un’opera che mette a nudo una crisi culturale profonda, costringendo il lettore a riflettere sul ruolo che la società gioca nel plasmare le nuove generazioni. Sebbene possa risultare provocatorio o persino scoraggiante, il libro è una lettura essenziale per chiunque voglia comprendere le dinamiche che stanno modellando il futuro dei giovani e, con esso, della nostra civiltà.
Un saggio da leggere con spirito critico, ma anche con la consapevolezza che, per combattere il nichilismo, occorre prima riconoscerlo.
Un’aggiunta significativa potrebbe riguardare il nichilismo attivo, una nozione che Galimberti sfiora ma non sviluppa pienamente. Se il nichilismo passivo è caratterizzato dalla rassegnazione e dall’apatia, il suo opposto rappresenta la possibilità di una reazione creativa: una distruzione costruttiva di vecchi valori per generarne di nuovi. Questo concetto, di matrice nietzschiana, potrebbe offrire una speranza implicita, anche se Galimberti sembra più concentrato sulla diagnosi che sulla terapia.
Inoltre, si potrebbe sottolineare come il libro anticipi problematiche che oggi sono ancora più evidenti: la dipendenza dalla tecnologia e dai social media, che amplificano il senso di alienazione. Sebbene Galimberti scriva prima dell’esplosione di TikTok o Instagram come li conosciamo oggi, il suo ragionamento sembra premonitore.
Infine, potrebbe essere interessante un confronto con altre opere dello stesso autore, come Psiche e techne, dove Galimberti approfondisce il rapporto tra uomo e tecnologia, o con studiosi che hanno trattato il nichilismo da angolazioni diverse, come L’uomo senza qualità di Musil o le analisi di Bauman sulla società liquida. Questo arricchirebbe il contesto, mostrando quanto il tema del nichilismo sia pervasivo e ramificato.
Aggiungere un focus sulle eventuali soluzioni – sebbene vaghe – che Galimberti accenna, come il recupero di una dimensione comunitaria e del dialogo intergenerazionale, potrebbe infondere alla recensione un tono meno cupo, equilibrando la severità della sua analisi con un barlume di possibilità.