giovedì 14 novembre 2024

paradiso


Paradiso. È dove sei adesso, o almeno così ti piace pensare. Lo stesso posto, la stessa stanza grigia, la stessa luce anemica che filtra dalle finestre sporche. Ma c’è qualcosa che ti illudi possa essere migliore, un’immagine che si insinua nella mente, come il riflesso di una promessa vuota. Un miraggio che non smette di sfuggirti.

Vedo quest’uomo: curvo, quasi raggomitolato, perso in chissà quale pensiero, una trance muta. Mormora qualcosa, un rantolo sommesso, come un gemito che non sa dove andare. È dolore? O semplice abbandono? E chi lo sa più. Mi chiedo se per caso il linguaggio non sia che un’infezione. La lingua, un virus che ci penetra e ci svuota. Pensi che le parole siano vie d’uscita, ma sono catene. Parli, ti illudi di essere capito – e invece ogni sillaba è solo un altro passo verso il silenzio.

E con l’amico è la stessa storia. Gli dico che lo cercavo, che lo volevo, ma le parole sono aria, e il suo sorriso è quasi di pietà. “Parli con me o stai solo recitando uno dei tuoi drammi?” mi chiede, come se avesse già capito tutto. E allora capisco che anche nelle confessioni, nei momenti in cui dovrei essere nudo, sono maschere. Parlo e già mi rendo conto che sto mentendo, recitando, perduto in un monologo che non smette di ripetersi. Il linguaggio, un miraggio. Un inganno che sembra promettere verità, ma ti lascia solo con il riflesso di te stesso.

Poi c’è l’amore. Amare qualcuno, dici, ma l’amore non è che un’altra trappola. Parole e gesti, atti ripetitivi che puzzano di rimorso: scrivere una lettera che non verrà letta, dare la colpa, vendere tutto e scappare – ecco, sembra amore, no? E forse chiamarti all’alba e confessare gli errori passati è l’unico modo che mi resta per dire che mi dispiace. Un altro atto, una disperazione soffocata dalla routine del perdono.

Paradiso? Ah, non è che l’illusione di chi non sa dove guardare. Lo immagini come un’isola, un posto perfetto che spunta dal mare. Ma se davvero ci fosse, non vedresti altro che un branco di ombre affamate, volti spettrali che gridano disperati: “Guardami!” Un’isola di gente che si osserva ossessivamente, implorando attenzione, ma non è che un’ossessione cieca. La loro stessa presenza li rende invisibili, prigionieri dei loro stessi desideri.

Questo è il linguaggio, il vero paradiso infernale. Un’illusione di vicinanza che invece crea solo distanza. Tentiamo, parliamo, ci esponiamo, e in ogni parola scaviamo più a fondo la nostra solitudine. Il linguaggio, un inganno, un veleno che non fa altro che ripetere una menzogna: siamo insieme. Ma alla fine, non siamo altro che voci che si perdono nel buio.