"Porcile", film realizzato da Pier Paolo Pasolini nel 1969, rappresenta una delle sue opere più controverse, provocatorie e allegoriche, un manifesto cinematografico che mescola denuncia sociale, filosofia e un’esplorazione disturbante delle pulsioni umane e della violenza strutturale che attraversa la storia. In questo film, Pasolini mette in scena due racconti apparentemente scollegati, ma in realtà profondamente legati da una medesima visione critica del potere, della società e della condizione umana. La narrazione, frammentata e volutamente disorientante, alterna due linee temporali e spaziali radicalmente diverse: una storia ambientata in un Medioevo selvaggio e barbarico, l’altra nella Germania industrializzata del dopoguerra. Attraverso queste due trame, Pasolini propone una riflessione senza compromessi sulla natura distruttiva del potere e sull’alienazione dell’individuo, mostrando come queste dinamiche abbiano radici profonde che trascendono le epoche.
La prima vicenda si svolge in un Medioevo arcaico, un mondo dominato dalla natura selvaggia e dalle sue leggi implacabili. Qui seguiamo un giovane, interpretato da Pierre Clémenti, che abbandona la società umana per vivere ai margini, spinto da un bisogno primordiale di libertà che lo conduce verso una progressiva discesa nella brutalità. Il protagonista diventa un eremita, un ribelle che rifiuta ogni forma di legge o moralità imposta, ma il suo distacco dalla civiltà non lo conduce alla pace, bensì alla violenza: per sopravvivere, finisce per diventare un cannibale. Il cannibalismo, in questa narrazione, non è solo un atto di disperazione, ma assume una valenza simbolica, rappresentando la trasgressione definitiva, l’atto che lo pone completamente al di fuori dell’ordine umano.
Pasolini filma questa storia con uno stile quasi privo di dialoghi, affidandosi a immagini potenti e crude per comunicare l’essenza della vicenda. Il paesaggio, selvaggio e desolato, diventa un protagonista a sé stante, riflettendo la lotta interiore del giovane e il suo isolamento dal mondo. La sua fine, inevitabile e brutale, arriva quando viene catturato e giustiziato per i suoi crimini. Il giovane viene condannato a morte non tanto per il cannibalismo in sé, ma perché rappresenta una minaccia all’ordine costituito, un simbolo di ciò che la società teme e rifiuta. In questa parabola medievale, Pasolini esplora il conflitto eterno tra l’individuo e il potere, tra la libertà assoluta e le leggi che governano la convivenza umana.
In netto contrasto con l’arcaicità della prima storia, la seconda vicenda si svolge nella Germania industriale del dopoguerra, un contesto freddo e razionale dove il capitalismo e la tecnologia hanno preso il posto della natura selvaggia. Il protagonista di questa storia è Julian, interpretato da Jean-Pierre Léaud, un giovane profondamente alienato e incapace di trovare un senso o uno scopo nella vita. Julian è il figlio di Herr Klotz, un potente industriale che incarna perfettamente i valori della borghesia capitalista: avidità, ipocrisia e un cinismo spietato che lo porta a perseguire il potere a ogni costo. Julian, tuttavia, non condivide i valori del padre e si ritrova intrappolato in un mondo che non comprende e che lo respinge. La sua ribellione, a differenza di quella violenta del giovane medievale, è passiva e silenziosa, espressa attraverso un rapporto morboso e simbolico con i maiali del porcile di famiglia.
Questa relazione, mai del tutto esplicitata nel film ma carica di allusioni, diventa una metafora della condizione di Julian, un uomo che si sente più vicino agli animali, con la loro innocenza istintiva, che agli esseri umani, corrotti dalla società. Julian non riesce a integrarsi né a ribellarsi apertamente: è un individuo schiacciato dalla sua incapacità di adattarsi. La sua fine, disturbante e grottesca, arriva quando viene letteralmente divorato dai maiali, un’immagine che Pasolini utilizza per simboleggiare la distruzione dell’individuo non conforme da parte di un sistema che non tollera la diversità.
Sebbene le due trame sembrino a prima vista scollegate, Pasolini costruisce un legame profondo tra di esse attraverso il tema della ribellione e della repressione. Il giovane medievale e Julian sono due facce della stessa medaglia: entrambi si oppongono, in modi diversi, alle norme imposte dalla società, ma nessuno dei due riesce a sfuggire alla violenza del potere. La brutalità primitiva del Medioevo e l’alienazione fredda della modernità non sono opposti, ma due espressioni dello stesso fenomeno: il dominio delle istituzioni e delle convenzioni sull’individuo.
Il porcile, che dà il titolo al film, diventa così un simbolo centrale. È un luogo fisico, ma anche metaforico: rappresenta la sporcizia morale della società, la mescolanza di istinti bassi e ipocrisia che caratterizza sia il Medioevo che la modernità. Nel Medioevo, la violenza è esplicita, viscerale; nella Germania industriale, è nascosta dietro una facciata di ordine e progresso, ma non meno devastante. Pasolini denuncia la continuità di questa dinamica, mostrando come il potere, in tutte le sue forme, distrugga l’individuo che tenta di sfidarlo.
Dal punto di vista stilistico, "Porcile" è un’opera volutamente frammentata e difficile da classificare. Pasolini utilizza un linguaggio cinematografico che mescola simbolismo, allegoria e realismo brutale, creando un’opera che sfida lo spettatore a decifrare il suo significato. I dialoghi, spesso filosofici e astratti, contrastano con le immagini crude e disturbanti, creando un effetto di straniamento che riflette l’alienazione dei protagonisti. La recitazione è volutamente stilizzata, quasi teatrale, e il montaggio spezzato sottolinea la natura frammentaria della narrazione.
Quando "Porcile" uscì, fu accolto con reazioni contrastanti. Molti critici lo accusarono di essere oscuro, ermetico e troppo intellettuale, ma altri ne colsero la profondità e la radicalità. Ancora oggi, il film resta una delle opere più complesse e controverse di Pasolini, un esempio del suo coraggio artistico e della sua capacità di utilizzare il cinema come strumento di denuncia e riflessione. "Porcile" non è un film che cerca di piacere o di intrattenere; è un’opera che sfida, provoca e costringe lo spettatore a confrontarsi con le verità più scomode della condizione umana e della società.