Alice nelle città (1973) è una delle opere più complesse e affascinanti di Wim Wenders, regista che ha segnato in modo indelebile la storia del cinema con la sua capacità di esplorare la solitudine umana e la ricerca dell’identità attraverso un linguaggio visivo che non ha paura di lasciarsi attraversare dalla poesia e dalla riflessione filosofica. Questo film segna il passaggio decisivo dal neorealismo a una visione più astratta e meditativa del mondo, ma è anche un tentativo di sondare le dinamiche di un'epoca storica in rapido mutamento, quella degli anni '70, segnata dalle contraddizioni della modernità, dal confronto tra le culture e dalla crescente disillusione verso le promesse della civiltà occidentale. Il cinema di Wenders non si accontenta di raccontare una storia lineare, ma vuole esplorare l’anima dei suoi protagonisti, dei suoi paesaggi, degli spazi vuoti e silenziosi che sembrano sempre più dominare il mondo contemporaneo.
Girato con un budget modesto, su pellicola 16mm in bianco e nero, Alice nelle città rinuncia ai tecnicismi appariscenti e alla spettacolarizzazione della trama per concentrarsi su una forma di cinema che lascia spazio al pensiero, alla riflessione, alla pausa. In un periodo in cui il cinema stava già avviandosi verso un’esperienza sempre più sensoriale e coinvolgente, Wenders decide di porre al centro del suo racconto non l'azione, ma la ricerca. La ricerca dell’uomo rispetto al mondo, la ricerca di un'identità che si è smarrita nella modernità, la ricerca di un significato che sfugge nella frenesia della vita quotidiana. E, nel fare ciò, il regista sceglie una strada che, pur essendo sottile e pacata, è anche estremamente potente e coinvolgente.
La trama di Alice nelle città si sviluppa attorno a due personaggi principali: Philip Winter (interpretato da Rüdiger Vogler), un giornalista tedesco che arriva negli Stati Uniti per realizzare un reportage, e la piccola Alice (interpretata da Yella Rottländer), una bambina che, a causa di una separazione familiare, si trova a vivere da sola in un paese che non conosce. Il film racconta il viaggio di Philip e Alice, ma non è un viaggio fisico o geografico, bensì un viaggio emotivo e psicologico, un percorso di esplorazione reciproca che parte dalla solitudine e dalla disconnessione per arrivare, seppur non in modo lineare, alla possibilità di una riconciliazione con il mondo e con sé stessi. In questo viaggio, l'America diventa non solo una location esotica e lontana, ma una sorta di metafora della condizione interiore di Philip, un uomo perso tra le pieghe di una modernità che sembra aver perso ogni valore autentico. L’America che Wenders ci mostra non è quella dei grattacieli scintillanti e dei sogni dorati, ma quella dei sobborghi, delle periferie vuote, dei paesaggi sconfinati e solitari. È un mondo vasto, ma inospitale, che riflette la solitudine dei suoi abitanti.
Il rapporto tra Philip e Alice è al centro del film e, seppur si sviluppi lentamente e senza i tratti melodrammatici che caratterizzano molte storie di crescita, è estremamente denso di significati. La bambina rappresenta una sorta di innocenza persa, un ritorno alla semplicità che, paradossalmente, è più incisiva e salvifica di qualsiasi concetto adulto di salvezza. Alice è la chiave di volta per Philip: la sua presenza nella vita del protagonista non è tanto quella di una figura che aiuta o che protegge, ma piuttosto quella di una guida che, in un certo senso, gli mostra la possibilità di un nuovo inizio. La sua naturale curiosità, la sua visione del mondo ancora intatta, diventa il filtro attraverso cui Philip potrà rivedere la propria vita, le proprie scelte e la propria posizione nel mondo. Se la solitudine di Philip è una condizione di alienazione che lo rende incapace di comunicare con gli altri, Alice, con la sua innocenza e le sue domande, si fa strumento di una comunicazione che non è verbale, ma che si costruisce nei silenzi, negli sguardi e nei gesti minimi ma significativi.
Il ritmo del film, come già accennato, è volutamente lento, quasi sospeso. Non c'è la tensione tipica dei film che puntano a una conclusione rapida o a un'azione frenetica. La lentezza, anzi, diventa un mezzo per aprire le porte a una riflessione più profonda, che coinvolge tanto i personaggi quanto gli spettatori. Ogni scena è intrisa di una densità emotiva che non ha bisogno di essere esplicitata, ma che emerge naturalmente da quella che sembra una narrazione priva di eventi eclatanti. La decisione di Wenders di non seguire una struttura narrativa tradizionale, ma di affidarsi a una costruzione più libera e aperta, dà al film un respiro ampio, che permette a ogni singolo frammento della storia di acquisire un significato più complesso. La caratteristica principale di questo cinema non è la trama, ma l'esperienza che scaturisce dalle immagini, dalle inquadrature, dai paesaggi e dai silenzi.
Un elemento che rende Alice nelle città ancora più affascinante è la fotografia, che, pur non avendo la brillantezza e la vivacità di una pellicola a colori, riesce a restituire in modo straordinario la tensione emotiva che caratterizza i personaggi. Le immagini in bianco e nero, seppur essenziali, sono mai banali, anzi, hanno una carica poetica che riesce a tradurre l'interiorità dei protagonisti in un linguaggio visivo che colpisce dritto al cuore. Le strade desolate, le ampie piazze vuote, i paesaggi alienanti e le abitazioni anonime non sono solo lo sfondo di un film, ma veri e propri protagonisti che contribuiscono a definire lo stato d'animo dei personaggi. L’uso del bianco e nero consente a Wenders di concentrarsi sulle forme, sui contrasti e sulle texture, di dare visibilità a quelle ombre e a quegli spazi vuoti che, nel contesto della trama, assumono una funzione simbolica ben precisa: rappresentano la distanza tra Philip e il mondo che lo circonda, ma anche la distanza che separa gli individui l'uno dall'altro.
In parallelo, la colonna sonora gioca un ruolo altrettanto significativo nel contribuire all'atmosfera del film. Sebbene la musica non sia mai invadente, essa accompagna delicatamente il viaggio dei protagonisti, creando un ulteriore livello di profondità emotiva. La canzone Under the Broadwalk dei Drifters, che fa da filo conduttore all'intero film, è un brano che evoca nostalgia e speranza, ed è capace di condurre lo spettatore attraverso i silenzi e le pause, sotto il segno di un'innocenza che, purtroppo, è destinata a svanire nel corso della crescita. La colonna sonora non è mai esplicativa, ma sottolinea con discrezione le sfumature emozionali dei momenti, sempre con quella stessa grazia e discrezione che contraddistingue la regia di Wenders.
Il viaggio che Wenders ci propone in questo film non è quello di un eroe che si imbatte in grandi avventure, ma quello di un uomo che cerca il proprio posto in un mondo che sembra non offrire risposte. Alice nelle città è un viaggio verso la consapevolezza, la scoperta di sé, l’arte di guardare dentro di sé attraverso il filtro della realtà che ci circonda. Il viaggio fisico dei protagonisti, lungo le strade vuote e le città desolate degli Stati Uniti, è il simbolo di un viaggio più profondo, quello interiore, che è sempre più difficile da intraprendere in un mondo che sembra sempre più vuoto di significato. La bellezza di questo film sta proprio nel suo messaggio semplice ma potente: la vita non è fatta di mete da raggiungere, ma di piccoli momenti da vivere, di incontri che ci possono cambiare, di sguardi che ci rivelano l'altro e, attraverso l'altro, anche noi stessi. Wenders non offre risposte definitive, ma invita lo spettatore a riflettere sul proprio rapporto con la solitudine, sull'importanza dei piccoli gesti e, soprattutto, sulla possibilità di ritrovare un senso anche nei luoghi più desolati.
In definitiva, Alice nelle città è una riflessione sul viaggio come esperienza non solo geografica, ma esistenziale, un invito a percorrere le strade della propria vita con occhi nuovi, a scoprire i propri legami con gli altri e con il mondo, a cercare il senso che spesso si nasconde nelle pieghe di una quotidianità che, pur apparendo insignificante, è in realtà piena di possibilità. Un film che, seppur privo di un gran finale o di una conclusione definitiva, lascia nello spettatore un segno profondo,