L’occhio che incornicia la scultura "Scriba Seduto", risalente al periodo compreso tra il 2600 e il 2350 a.C., non è solo un dettaglio straordinario da un punto di vista tecnico ed estetico, ma rappresenta anche un potente simbolo della concezione mesopotamica della visione, della conoscenza e del divino. L’occhio, in questa scultura, non è semplicemente il mezzo attraverso cui la figura umana osserva il mondo, ma è il veicolo attraverso cui l’individuo riesce a percepire e interpretare la realtà con un’intensità che va oltre la percezione sensoriale ordinaria. La scelta di enfatizzare questo organo all'interno di una scultura che rappresenta uno scriba, una figura centrale nella società mesopotamica, è una dichiarazione non solo della sua funzione pratica, ma anche della sua natura simbolica: la visione, come simbolo di saggezza e conoscenza, è la via che permette a chi la possiede di interpretare il mondo con occhi divini, trasmettendo agli altri la verità nascosta sotto la superficie apparente della realtà.
Nella Mesopotamia antica, la figura dello scriba era di primaria importanza. Gli scribi non erano semplicemente trascrittori di testi; erano i custodi della conoscenza, gli intermediari tra l'umanità e gli dèi. La loro abilità nel decifrare e trasmettere attraverso la scrittura i voleri divini li rendeva figure sacre, quasi mistiche, in grado di leggere il futuro, registrare la storia e, in molti casi, stabilire le leggi che regolavano la vita sociale. La scrittura era considerata un dono degli dèi e chi ne era capace veniva visto come una figura quasi sacerdotale, il cui compito non era solo pratico, ma intriso di significato spirituale e filosofico. In questo contesto, l’occhio, parte fondamentale del volto dello scriba, diventa il simbolo di una visione superiore, capace di percepire non solo il visibile, ma anche le verità più profonde che si nascondono dietro l’apparenza.
L’iride dell’occhio è realizzata in magnesite bianca, una pietra che già di per sé possiede una lucentezza affascinante. Questo materiale, noto per la sua durezza e per la sua brillantezza, veniva utilizzato in Mesopotamia per creare oggetti di pregio, grazie alla sua capacità di riflettere la luce in modo particolare. La sua lucentezza, combinata con le venature rosse che attraversano l’iride, conferisce all’occhio una qualità unica, che va oltre la semplice rappresentazione anatomica. Le venature rosse, che attraversano la superficie bianca della magnesite, non sono solo un elemento decorativo, ma portano con sé un significato profondo, simbolizzando la vita, la passione e la connessione con il divino. Il rosso, colore che in molte culture è associato al sangue, alla vitalità e alla forza, in questo caso si fonde con il bianco, il colore della purezza e della luce, creando una tensione simbolica tra il mondo materiale e quello spirituale. Le venature rosse nell’occhio possono essere lette come un richiamo alla forza vitale che attraversa l’essere umano, ma anche come un simbolo della divinità che si fa presente nella quotidianità, un tema centrale nelle religioni mesopotamiche, dove la divinità permeava ogni aspetto della vita.
Il contrasto tra il bianco della magnesite e il rosso delle venature ci invita a riflettere sulla dualità della condizione umana, che è sempre un equilibrio tra forze opposte: la materia e lo spirito, la carne e l’anima, la morte e la vita. La presenza di queste venature rosse, in un materiale che normalmente si presenta come bianco e puro, sembra voler suggerire che la saggezza non risiede solo nella purezza o nella razionalità, ma anche nella capacità di affrontare e comprendere le forze più oscure e caotiche dell’esistenza umana. La conoscenza che questo occhio simboleggia non è mai separata dalla passione, dalla lotta e dalla tensione tra il divino e l’umano. L’iride, con le sue venature rosse, diventa così un simbolo della visione che è in grado di affrontare la complessità e la difficoltà della vita, senza ignorare i conflitti e le sfide che la caratterizzano.
La pupilla, realizzata in cristallo di roccia lucido, è un altro elemento di grande impatto visivo e simbolico. Il cristallo di roccia, scelto per la sua trasparenza e lucentezza, simboleggia la chiarezza mentale, la purezza della percezione e la capacità di vedere senza pregiudizi. In molte culture antiche, il cristallo di roccia era considerato un materiale sacro, capace di purificare l’anima e di rivelare la verità nascosta. La sua lucentezza non è solo una qualità estetica, ma un simbolo di quella capacità di vedere attraverso le apparenze, di scoprire ciò che è nascosto e di percepire la realtà nella sua forma più pura. La trasparenza del cristallo di roccia suggerisce che chi possiede una visione profonda e saggezza è in grado di percepire senza distorsioni, di vedere il mondo nella sua interezza, senza essere influenzato dalle superficialità o dalle apparenze. La pupilla, con la sua lucentezza, diventa così il punto focale di questa visione superiore, il mezzo attraverso il quale lo scriba, e chi osserva l’opera, è in grado di accedere alla verità.
La tecnica usata per applicare il pigmento sul retro del vetro, che serviva a creare un effetto di profondità, è anch’essa significativa. Questo pigmento non era semplicemente decorativo, ma rappresentava un elemento essenziale per dare vita e movimento all’occhio. La presenza del pigmento sul retro dell’occhio suggerisce che l’osservatore non dovrebbe limitarsi a guardare l’occhio in superficie, ma dovrebbe scrutare più a fondo, cercando di penetrare nei suoi strati più profondi. La visione, quindi, non è un atto passivo, ma un atto attivo di introspezione e ricerca. L’occhio, rappresentato in questo modo, invita a una riflessione sulla percezione stessa: la realtà non è mai ciò che appare, ma qualcosa che deve essere indagato, compreso e rivelato.
La scelta di creare un occhio tridimensionale, con effetti di profondità e luce che sembrano cambiare a seconda dell’angolo di osservazione, contribuisce a rafforzare l’idea che la visione e la conoscenza siano processi dinamici e in continuo cambiamento. Non esiste una verità fissa e immutabile, ma una realtà che deve essere costantemente esplorata e rivelata. Questa visione fluida e dinamica della conoscenza è in linea con la concezione mesopotamica della scrittura e della saggezza. La scrittura, infatti, non era solo un mezzo per registrare fatti, ma un atto di interpretazione e comprensione del mondo, in cui le parole erano visti come portatrici di significato divino. Lo scriba, quindi, attraverso il suo occhio, rappresenta non solo il lettore delle parole scritte, ma anche il lettore del mondo, capace di scrutare le leggi universali e di decifrare i messaggi nascosti nella realtà.
L’occhio, quindi, non è un semplice strumento di percezione, ma un potente simbolo della capacità umana di penetrare la realtà più profonda, di scoprire le verità nascoste e di vedere il divino che permea ogni aspetto dell’esistenza. In questo contesto, l’occhio della scultura "Scriba Seduto" diventa un emblema della saggezza, della conoscenza e della spiritualità, una visione che trascende il visibile e che invita l’osservatore a guardare oltre la superficie del mondo, alla ricerca di una verità che è sempre più profonda e complessa di quanto sembri a prima vista.
In definitiva, la scultura "Scriba Seduto" e il suo occhio sono un invito a riflettere sul ruolo della conoscenza, della scrittura e della percezione nella nostra vita quotidiana. L’occhio non solo simboleggia la capacità di vedere, ma anche la responsabilità di interpretare e comprendere il mondo, in un processo continuo di ricerca e scoperta. Attraverso questo sguardo penetrante, lo scriba diventa non solo il custode della conoscenza, ma anche il suo veicolo, trasmettendo agli altri la verità che si nasconde dietro le apparenze.