martedì 1 luglio 2025

La digressione come mondo: poetica dell’eccesso nel romanzo di Gian Marco Griffi

All'interno del panorama della narrativa italiana contemporanea, "Digressione" di Gian Marco Griffi si impone come un monumento eccentricamente anacronistico e, al tempo stesso, radicalmente nuovo: un'opera che sovverte le coordinate stesse del romanzo per rifondarne l'essenza attraverso una sfida di proporzioni quasi eroiche. Con oltre mille pagine e una struttura volutamente dispersiva, rizomatica, multiforme, Griffi porta alle estreme conseguenze una poetica della digressione che non si limita a infrangere la linearità del racconto, ma ne problematizza le fondamenta ontologiche, assumendo la narrazione come atto filosofico, performativo, epistemologico. "Digressione" non è un libro che si può semplicemente leggere: è un libro che si abita, che si attraversa, che si sopporta e che, in cambio di un'apertura radicale al caos, restituisce una visione molteplice del mondo.

L'incipit, a prima vista ordinario, mostra già i segnali del dislocamento a venire: una scena scolastica di bullismo in cui il giovane Arturo Saragat colpisce il compagno Tommaso con un libro. La scelta di un cognome come "Saragat" introduce un elemento storico-politico che, anziché essere sviluppato secondo coordinate cronologiche prevedibili, viene invece frammentato e riplasmato in una narrazione alternativa in cui Benito Mussolini viene esiliato a Pantelleria e dove circolano sette di dentisti-sicari con inclinazioni teosofiche. Il libro stesso con cui Arturo colpisce Tommaso, intitolato "Historia poetica", diventa il talismano di un sapere laterale, di una conoscenza esoterica che fornisce la chiave – sempre parziale e mai definitiva – per accedere ai molteplici livelli della narrazione. La struttura del testo non si dipana in capitoli o sezioni logicamente ordinati, ma si apre in rivoli narrativi laterali che si ampliano fino a diventare veri e propri mondi autonomi. Ciascuna digressione, pur nella sua apparente marginalità, assume il valore di un universo parallelo, di un frammento di realtà che, pur non riconducibile al tronco principale della vicenda, contribuisce a costruire un orizzonte narrativo in cui la molteplicità è principio e fine, forma e contenuto.

La forza di Griffi sta proprio nella capacità di giustificare ogni deviazione come necessaria. Nulla è gratuito in "Digressione", nemmeno ciò che appare più surreale, più grottesco, più comicamente scorretto. Il mondo costruito dall'autore è un universo iper-dettagliato, dove ogni voce, ogni oggetto, ogni deviazione sintattica diventa un atto di resistenza alla logica riduzionista della narrazione mainstream. La lingua stessa del romanzo è plasmata da questa visione: Griffi adotta un registro barocco, esuberante, intarsiante, in cui il lessico tecnico convive con la digressione popolare, e in cui la prosa sembra voler afferrare la complessità del reale più attraverso la proliferazione dei significati che non attraverso la loro riduzione. La frase tende a espandersi, a contrarsi, a mutare direzione improvvisamente, seguendo una logica centrifuga più affine alla musica dodecafonica che alla prosa classica. Eppure, in questo magma verbale, il lettore esperto percepisce una coerenza profonda, quasi una musica nascosta, che guida la navigazione come una costellazione interiore.

L'intertestualità è un altro degli elementi portanti dell'opera. Le allusioni, i richiami, le citazioni – talora esplicite, talora mimetiche – compongono un vasto tessuto semiotico che rinvia non solo alla letteratura mondiale (Borges, Calvino, Perec, Pynchon, Wallace), ma anche alla filosofia, alla scienza, alla teologia eretica, alla cronaca italiana più derisoria e scomposta. La macchina narrativa si nutre di tutto: trattati di cartografia, manuali di odontoiatria, leggende medievali, atlanti celesti, registri scolastici, verbali della polizia segreta. Ogni elemento è assorbito, metabolizzato e rilanciato in una forma che è insieme parodia e omaggio, decostruzione e rifondazione. In tal senso, "Digressione" si presenta come una sorta di iper-testo in senso pre-digitale, una narrazione reticolare che anticipa la logica del web e dei social prima ancora che li tematizzi.

Non si può però leggere l'opera solo come esercizio postmoderno o divertissement linguistico. In essa pulsa una tensione etica profonda. Le tematiche della colpa, della responsabilità, della fragilità, della pietas per i perdenti e per gli obliati della storia attraversano sotterraneamente il testo, emergendo con forza nei momenti meno attesi. In questo senso, la digressione non è solo una tecnica, ma una forma di compassione, una modalità dell'ascolto, un gesto di apertura verso ciò che non rientra nel quadro previsto. Griffi sembra suggerire che solo nel deviare possiamo realmente incontrare l'altro, e che la linearità della narrazione tradizionale è anche una forma di violenza epistemica che taglia fuori, esclude, rimuove. "Digressione" si configura allora come una letteratura della cura: non perché voglia consolare, ma perché accetta l'incoerenza, la dispersione, la molteplicità come dimensioni essenziali dell'umano.

La ricezione critica, com'è noto, ha oscillato tra l'entusiasmo e la perplessità. Molti recensori, da La Porta a Cennamo, hanno elogiato il coraggio e la vastità dell'impresa, riconoscendo a Griffi il merito di avere restituito alla narrativa italiana una dimensione di complessità e ambizione che sembrava essersi smarrita. Altri, più cauti, hanno sollevato dubbi sulla leggibilità dell'opera, sul rischio di autoreferenzialità, sulla difficoltà di accedere a un testo così densamente strutturato. Eppure, a ben vedere, proprio questa radicalità – questo rifiuto di essere leggibile nel senso corrente del termine – è ciò che fa di "Digressione" un evento letterario autentico: un'opera che non si limita a raccontare un mondo, ma che ne costruisce uno, ponendosi come macchina conoscitiva, come dispositivo critico e, in definitiva, come esperienza.

In un'epoca di narrazioni semplificate, algoritmiche, orientate al consumo rapido e alla gratificazione immediata, il romanzo di Griffi rappresenta un atto di resistenza simbolica. Leggerlo significa accettare di perdersi, rinunciare al controllo, navigare a vista. Ma proprio in questa perdita, in questa erranza, si apre la possibilità di un nuovo sguardo, di una nuova etica dell'attenzione e della parola. "Digressione" non è un libro da leggere in cerca di senso, ma – come suggeriva Derrida – un libro che ci interroga su cosa significhi leggere, comprendere, ricordare. Un'opera che si addentra nella foresta del linguaggio senza pretendere di tracciarne una mappa definitiva. E che, proprio per questo, riesce a parlare con intensità e verità al nostro tempo disorientato.