lunedì 14 aprile 2025

"Amarcord": Un viaggio senza fine nella memoria e nel tempo

“Amarcord” di Federico Fellini è un’opera monumentale che esplora in modo straordinario e complesso la memoria, il passato e la loro influenza sul presente, utilizzando una forma narrativa che si allontana dalle convenzioni tradizionali del cinema. Uscito nel 1973, il film segna un punto di svolta nella carriera del regista e nella storia del cinema italiano, presentando una fusione unica di realismo, fantasia, simbolismo e surrealismo. Fellini, infatti, non si limita a raccontare la propria infanzia e giovinezza, ma ci invita a un viaggio che va ben oltre la sua esperienza personale, rendendo “Amarcord” un’opera universale sulla natura della memoria e sulla difficoltà di comprendere appieno il passato, che rimane, nonostante gli sforzi, sempre parziale, frammentato e sfuggente.

Il titolo stesso, “Amarcord”, che in dialetto romagnolo significa "mi ricordo", ci pone immediatamente di fronte a un paradosso: la memoria come strumento di conoscenza, ma anche come un racconto che non è mai completamente attendibile, perché sempre contaminato da emozioni, desideri e aspettative. Fellini, infatti, non ci mostra un passato "storico" o oggettivo, ma una visione di ciò che il passato è diventato attraverso gli occhi del protagonista, che, come tutti noi, seleziona, distorce, trasforma i ricordi. È una memoria che non si conserva immutata, ma si reinventa ogni volta che la riviviamo, diventando un atto creativo, simile alla realizzazione di un’opera d'arte. L’approccio non è mai meramente nostalgico, bensì è una riflessione critica su come ogni individuo costruisce il proprio passato, talvolta con serenità, altre volte con difficoltà, ma sempre con una consapevolezza che implica anche un distacco e una certa ambiguità.

Il film è ambientato nella Rimini degli anni Trenta, ma quella che vediamo non è la Rimini “storica”: è la Rimini dei sogni, dei ricordi, delle visioni di un giovane Titta (il protagonista, che rappresenta in molti aspetti lo stesso Fellini). La città diventa il palcoscenico di una serie di eventi e personaggi che non sono semplicemente legati a un tempo e a un luogo definiti, ma che diventano simboli di una realtà più ampia, che trascende la dimensione geografica e temporale. La Rimini di “Amarcord” è una città sospesa tra l’infanzia e l’adolescenza, tra il ricordo e l’immaginazione. È un luogo che esiste in modo parallelo alla storia, fuori dal tempo, un mondo che non è mai del tutto reale e che, proprio per questo, assume una potenza simbolica straordinaria.

La memoria di Fellini è piena di contraddizioni: non è un rifugio sicuro in cui si torna per ritrovare la propria identità, ma un campo di battaglia, dove i ricordi si mescolano con le aspirazioni, i desideri e le paure. Il film scivola incessantemente dal comico al tragico, dal grottesco al sublime, un’abilità che Fellini ha sempre saputo manipolare con maestria. C’è una tensione costante tra la leggerezza e la gravità del vissuto, che emerge in ogni scena, in ogni dettaglio. Le situazioni più ordinarie possono diventare assurde e tragicomiche, mentre altri momenti, apparentemente banali, acquisiscono una profondità e una bellezza straordinarie. Questo contrasto riflette la complessità della memoria stessa, che non è mai un’esperienza monolitica, ma è fatta di sfumature, di opposizioni che si intrecciano tra di loro.

Uno degli aspetti che emerge con maggiore forza in “Amarcord” è il modo in cui Fellini ritrae la società del suo tempo. Sebbene il fascismo non venga mai esplicitamente trattato come il tema centrale del film, la sua presenza aleggia continuamente nella vita quotidiana dei personaggi. Le immagini del regime, del Duce, dei riti collettivi, si mescolano alla quotidianità di una Rimini provinciale, per creare un’atmosfera di tensione sotterranea. La popolazione di “Amarcord” non è consapevole in modo diretto del regime, ma vive con esso, come una forza che pervade ogni aspetto della loro vita, dalle feste popolari alla scuola, dalla famiglia al lavoro. Tuttavia, Fellini non adotta un approccio puramente polemico; piuttosto, fa emergere la percezione del fascismo come un’entità a tratti ridicola, che perde di potenza proprio quando la si osserva dall’angolo della memoria. L'inserimento del regime in questo contesto non è mai didascalico, ma serve a sottolineare l'ineluttabile incontro tra il passato e il presente, tra la realtà e il sogno, tra ciò che vogliamo ricordare e ciò che, in realtà, ci tormenta.

Titta, il protagonista, è un adolescente che attraversa quella fase della vita in cui ogni cosa sembra possibile, ma anche in cui le prime consapevolezze tragiche cominciano a farsi sentire. La sua è una continua ricerca dell’identità, un viaggio che non si conclude mai, un’avventura che lo porta a confrontarsi con il mondo degli adulti e delle loro contraddizioni. Titta è al contempo innocente e curioso, ma anche inquieto e confuso. La sua sessualità è un tema che viene trattato con leggerezza, ma anche con una certa consapevolezza della difficoltà di orientarsi in un mondo che offre poche certezze. La sua crescita è paragonata a quella di un paese, un paese che si sta preparando a entrare nel futuro, ma che non può fare a meno di guardarsi indietro. Il passaggio dall’adolescenza all’età adulta è, infatti, il cuore pulsante del film, ma questo passaggio è anche il riconoscimento che il futuro è inevitabilmente condizionato dal peso del passato.

Nel film, le figure adulte sembrano non possedere la stessa libertà che Titta sperimenta, ma sono prigioniere di ruoli e convenzioni sociali. I loro comportamenti, spesso, sembrano dettati dalla necessità di aderire a una visione di sé imposta dalla società, e non da una vera e propria ricerca di autenticità. In questo contesto, la figura della madre di Titta assume un significato particolare: è lei che tiene in vita la tradizione, che alimenta la memoria, ma è anche un simbolo di un mondo che non vuole cambiare, un mondo che resiste al passaggio del tempo, persino quando il tempo sembra volerla sopraffare. La madre è un personaggio che incarna l’idea di una memoria statica, che non muta e non si trasforma, ma che rimane radicata in un passato che rifiuta di cedere il passo al nuovo.

Il film, inoltre, esplora anche l'importanza del paesaggio e degli spazi: le piazze, le strade, i luoghi di ritrovo sono sempre presenti come sfondi che, tuttavia, non sono mai neutrali. Questi spazi sono il riflesso di ciò che accade dentro di noi, diventano essi stessi protagonisti del racconto, come se fossero il palcoscenico su cui si svolge l’infinito dramma del ricordo. La Rimini di Fellini non è un luogo geografico preciso, ma è l’Italia di tutti, la provincia italiana che raccoglie le contraddizioni di un popolo, che lotta tra il bisogno di rimanere ancorato alla propria tradizione e la spinta verso il futuro, verso qualcosa che non si conosce ancora, ma che si intuisce essere inevitabile.

“Amarcord” diventa così un film che trascende il singolo individuo e che rappresenta la memoria collettiva di un intero paese, un paese che, nel momento in cui si confronta con il proprio passato, scopre non solo ciò che è stato, ma anche ciò che è ancora vivo in esso. La bellezza di “Amarcord” non sta solo nella sua capacità di raccontare una storia personale, ma nell’abilità di Fellini di trasformare quella storia in una riflessione universale sul tempo, sulla memoria, e sulla natura dell’esistenza umana. La memoria, infatti, è un viaggio che non finisce mai, e ogni ricordo è un frammento di un mosaico che non sarà mai completato, ma che ci permette di comprendere meglio chi siamo e da dove veniamo. Fellini ci invita a fare i conti con il nostro passato, a comprenderlo, a riderne, a piangerlo, a viverlo, come se fosse qualcosa che non ci lascia mai, ma che ci accompagna per sempre.