giovedì 20 aprile 2023

ecco, incominciare così

[e in un libro di polvere leggo
ciò che dovrà restare anche di me mentre scendo la scala

Roberto Sanesi, in “l’improvviso di Milano, Guanda 1969]

Ecco. Incominciare così. Per dare l’avvio. Piace ai lettori. Bestia incontrollabile nei suoi appetiti, il lettore, è lì, pronto ad applaudire con buona grazia ed ha apprezzato, con educazione, la superiore classe del perdente, io, e s’è dichiarato, improvvisamente, dalla parte del perdente: siamo al tifo incandescente del Circo Massimo. Pollice su o pollice giù.

Non mi sto divertendo molto in tutto ciò e anch’io sto come applaudendo – ma al lettore, che se le beve, tutte! –, è il primo incontro scritto di una riunione fra me e loro. I miei lettori. Con loro comunico pochissimo, e non sono esattamente pentitissimo d’aver aspettato anni, decenni, prima di decidermi a venire qui ad incontrarli. Mi sto anche chiedendo come farò a scavalcare le loro facce inebetite dal mio atteggiamento e a calare dei distinguo centrali, ben mirati, giù nel costosissimo labirinto del dire, nel parterre da borderline dello scrittorucolo che io sono. E, più ancora, come farò ad arrivare ai loro cuori spersi mentre viene dichiarato vincitore qualunque altro si prenda la briga di scrivere?!

“Quasi getto la spugna”. Quasi. Formula deliziosa, questa, per le loro facce da lettori eccitati e soddisfatti di questo rituale di ogni perdente “adesso smetto” e poi “non smetto”. Quanto mi rendono estasiato i movimenti dei loro cervelli mentre pensano “non ce la fa più” e poi “ce la fa ancora”.

Però sono cambiati, nel tempo, i ritmi e le battute e non mi stanno più dietro, nemmeno mi raggiungono più. I miei lettori. Il mio rammarico aumenta. Devo avere davvero perso qualcosa senza accorgermene.

Tutti i miei incontri precedenti, quelli reali, coi miei lettori, vanno avanti senza storia. Senza un barlume di ricordo da parte loro. Ci vuole solo un piccolo atto di coraggio: mettersi lì ad aspettare, vedere cosa accade. Se mai qualcosa mi accadesse.

Il lettore, animale abitudinario, impassibile assistente, non ha voglia di urlare o strepitare nemmeno qui. In silenzio legge. Non risponde. Il mio lettore dal piacere plumbeo, dall’invocazione non fulminante e pur sempre in ritardo, dopo, come un irridente avanzamento del “nulla io dissi” o “nulla io compresi” rivolto a me, ai miei punti deboli.

Questo incontro non era programmato. Men che meno ora. Ma ne perdurava la richiesta. Mia e di loro. I miei lettori. Ma nessuno s’alzava dallo sgabello, né io né loro. I miei lettori. Ciascuno stava lì, ad aspettare il passo dell’altro. Di solito, il mio passo col quale, in punta di piedi, ho cercato di massacrare il mio lettore a uno a uno. Chi mi legge, e son pochi ma me li faccio bastare, lo sa. Non faccio sconti. Né a me né a loro.

Sconsolatamente e giudiziosamente, spesso, mi rifugio nel silenzio. Perché ne ho bisogno. Perché i miei lettori, quando ci sono, ne hanno bisogno. E, mentalmente, gliene sono grato di questo non chiedermi più una presenza costante. Come era all’inizio di questo mio ritorno alla scrittura.

Loro ci sono. Lo so. Stanno zitti ma ci sono. Pochi. S’incuneano in uno stato da stupro ogni volta che li richiamo scrivendo. Lo so da me. C’è poco da dire, in quel che scrivo, non ci sono posti protteti nei quali ripararsi. Per i loro occhi, quasi sicuramente, non è una bomba a orologeria ciò che scrivo. Lo è soltanto per me in maniera incomprensibile.