venerdì 30 giugno 2023

leggere secondo me (intervista di Marinella Zetti)


LEGGERE, SECONDO FABIO GALLI

 

fabio-galli
Fabio Galli, ma nel web è più noto come Bo Summer’s, è un lettore molto particolare. Segue un percorso personale ed è appassionato di scrittura sperimentale. Recentemente ha aperto a Mortara Biblio di Bo una libreria che riflette perfettamente le sue scelte.

 

D. Quando vuoi rilassarti preferisci: guardare la televisione, andare al cinema o leggere un libro?
R. Aggiungerei, se posso, ascoltare musica. Normalmente, quando leggo, ascolto musica. E questo è al primo posto. Preferisco il teatro al cinema e questo è al secondo posto. La televisione spesso è accesa su programmi con cartoni animati per bambini che seguo a tratti e questo, nella mia classifica arriva all'ultimo posto, ma nel mezzo ci sono altre cose che mi rilassano, non le dico perché non sono in elenco e poco rilevanti.

D. Dove leggi abitualmente: in poltrona, a letto, alla scrivania? Se potessi scegliere, quale sarebbe il tuo luogo ideale per la lettura?
R. Leggo dove mi capita e non ho mai immaginato d'avere un luogo ideale per la lettura. Ecco: non riesco a leggere quando sono in mezzo alla gente, perché mi distraggo guardandomi attorno.

D. Nel suo famoso Decalogo, al terzo posto, Daniel Pennac sancisce il diritto del lettore a “non finire il libro”: tu hai seguito questo consiglio? Se sì, con quale libro e perché?
R. A parte quello che dice Pennac, non ricordo di aver mai terminato un libro. Nemmeno d'averlo iniziato. Apro il libro come un oracolo, a caso, non partendo quasi mai dall'inizio. Spesso l'incipit è l'inganno per il lettore. Ne leggo più di uno alla volta, contemporaneamente, cominciando da dove capita e non seguendone la struttura lineare durante la lettura. Non bado molto alla trama, mi ci perdo. Mi interessa la scrittura, lo stile, il fiato delle frasi, il respiro delle parole. Potrei leggermi anche l'elenco telefonico, se fosse ben scritto.

D. Qual è il libro -o i libri- che più hai amato? E quello o quelli che si sono rivelati una delusione?
R. Dato che amo la scrittura e non ciò che mi racconta un libro, se devo parlare di narrativa, poiché mi par di capire sia questo il tema, preferisco le trame articolate di Anna Maria Ortese ma anche la scrittura baroccheggiante di Jean Genet, alcune impennate linguistiche di Aldo Busi ma ciò che mi ha avvicinato maggiormente alla voglia di provare a scrivere in prosa -vengo dalla frequentazione della scrittura poetica- è stata la scrittura di William Burroughs.

D. Cosa cerchi in un libro? Cosa attira di più la tua attenzione: la copertina, il titolo, l’autore, la bandella con la storia?
R. Della copertina, nulla m'importa. So che alcuni baldi Editori che si stanno rinnovando la facciata – sto buono, non nomino, ho già troppi guai – puntano molto sulle copertine. Sinceramente non me ne importa proprio nulla. Scelgo i libri in base a un mio percorso di lettura. Non so nemmeno quale ci sia in classifica, tra i libri più venduti. So per certo che il mio non c'è.

D. Quale argomento ti appassiona e, secondo te, viene poco considerato dagli editori italiani?
R. Non interessandomi le storie, non c'è un argomento che mi appassioni. Su cosa effettivamente gli Editori italiani non prendono in considerazione e invece continuano a proporre, dovremmo tenere una conferenza. Ogni Editore ormai è specializzato in qualcosa. Parlo di piccola, media e grande editoria, ovviamente. Non prendono in considerazione la scrittura sperimentale, che non è un argomento, lo so da me ma è una cosa che mi tocca da vicino. Poi, un piccolo grande Editore che ha avuto il coraggio di rischiare con la mia scrittura, l'ho trovato quindi tutto è possibile.

D. E per finire cosa pensi degli e-book? Credi che potranno sostituire i libri cartacei?
R. Due cose completamente differenti. L'uno mai sostituirà l'altro. Due modi differenti di leggere. Io amo la polvere dei libri ma è una cosa mia. C'è chi preferisce gli e-book per il prezzo o perché non occupano spazio. Se può bastare per sceglierli, si accomodino. So di alcuni “lettori forti”, quelli che comprano molti libri, che acquistano e-book prima di avvicinarsi al cartaceo per vedere se ne vale la pena. Non dimentichiamo i formati pdf che ormai spopolano e sono spesso completamente gratuiti. Anche molti e-book lo sono. Bene, non diamo più nessun valore al prodotto culturale: solo musica fluida (scaricata da internet), concerti (possibilmente gratuiti), spettacoli teatrali (non a pagamento), libri (senza costo). Se nulla deve valere più nulla, che nulla valga niente. Io opterei per le fotocopie a questo punto. Passiamoci tutti delle gran fotocopie e risparmiamo sulla cultura.
Via, libero scambio in libero Mondo, alé. Scusa lo sfogo. Sono uscito dal seminato. Torniamo nei ranghi.

D. Li utilizzi? Secondo te, quali sono i loro pregi e i loro difetti?
R. Non li utilizzo, anche se ho pubblicato un e-book -in realtà anche una raccolta di racconti in formato pdf in collaborazione con un altro autore- nemmeno so come siano fatti. O meglio, lo so ma non voglio saperlo.

Chi è Fabio Galli
Poeta, narratore, nato a Vigevano, Fabio Galli è stato redattore della rivista Poesia (Crocetti Editore) e ha lavorato come redattore esterno per il gruppo Elemond (tutto questo nel secolo passato). Giornalista (ma poco poco).
Con lo pseudonimo di Bo Summer's, attualmente collabora, in qualità di blogger, al quotidiano digitale GaiaItalia.com, dove alla sezione cultura ha una sua rubrica nella quale prosegue il suo lavoro di ricerca sulla scrittura. Recentemente l'autore ha pubblicato, in formato e-book, due libri: "Storie", una raccolta di racconti di Bo Summer's e Soufiane El Khayat, e il romanzo sperimentale "#ElHorno", alla stesura del quale ha lavorato per dieci anni, frutto di una lunga ricerca stilistica caratterizzata dalla destrutturazione del testo attraverso l'utilizzo della tecnica del cut-up, cara a Tristan Tzara e mutuata in seguito da William Burroughs.
Come Fabio Galli Ha pubblicato: Poesie su Antologia "Trame della parola" a cura di Antonio Spagnuolo, edizioni Tracce, 1985;"Impura", edizioni Tracce, collana I campi magnetici, 1986 "Di una lettura di The Waste Land", breve saggio sul poema di T.S. Eliot apparso su "Post Scriptum", aprile 1988, ripubblicato da gaiaitalia.com; "Caròla", Crocetti editore, 1992 "Balli e canti", Pulcinoelefante editore, 1993; "Melancholia" - versione da Paul Verlaine, sezione d'apertura dei Poèmes Saturniens - edizioni L'Obliquo, 1992 (con serigrafia fuori testo di Bonomo Faita), ripubblicata da gaiaitalia.com con un testo introduttivo sulla traduzione; "Prima, nella storia, ancora", Bandecchi e Vivaldi editore, 1995 "A Marino per Moretti", quaderno collettivo, Casa Moretti, 2000.

 

 

 


Nel nome del plagio, Aldo Braibanti. Un ricordo


Aldo Braibanti

1968. Con Aldo Braibanti finì alla sbarra l’omosessualità. Venne condannato a nove anni di reclusione, poi ridotti a quattro, e rinchiuso a Regina Coeli, mentre il suo compagno finiva in manicomio.

In carcere ci restò per due lunghi due anni. Vi uscì il 5 dicembre 1969. Accusato di essere un “ladro d’anime”, un “diabolico invasore di spiriti”, la “reincarnazione del demonio”, divenne il capro espiatorio di un’Italia ancorata al passato, terrorizzata dai forti cambiamenti sociali che stavano all’orizzonte, desiderosa di reprimere col pugno di ferro qualunque turbativa all’ordine morale e sessuale pre-costituito. Erano gli anni in cui l’essere apertamente gay suonava scandaloso, intollerabile. Si rischiavano i rigori della legge [come era accaduto anche a Pasolini].

Il reato di plagio, inserito in età fascista nel codice penale e mai applicato prima, presente in nessun codice penale del mondo, e mai più applicato dopo, sarebbe stato cancellato dal nostro ordinamento solo nel 1981.

L’unico, nella storia della Repubblica, a essere condannato per il reato di plagio, inteso come la riduzione in proprio potere «e in totale stato di soggezione» di un’altra persona, come recitava la legge ereditata dal Codice Rocco dell’Italia fascista. Venne incarcerato e processato in quanto omosessuale, non c’è altra spiegazione, e il giudizio cui fu sottoposto rimane come il segno di un’epoca, che in ogni caso fu dichiarato incostituzionale solo nel 1981.

Studente universitario a Firenze, partigiano dal 1940 con Giustizia e Libertà e poi nel Pci, fu arrestato due volte e torturato [ironia della sorte: questo gli valse come sconto di pena nell’assurdo processo]. Era un dirigente di primo piano del Pci, ma presto abbandonò la politica attiva, radunando intorno a sé, tra Roma a Castell’Arquato, intellettuali e artisti, da Sylvano Bussotti all’allora giovanissimo Marco Bellocchio, con cui lavorò alla fondazione dei memorabili «Quaderni Piacentini», la rivista di punta nella cultura del ‘68.

Studioso di filosofia, poeta, artista, si definiva un libero pensatore; durante il processo era per i media «il professore», ma non ha mai insegnato. Fu un animatore culturale, questo sì, con un passato politico importante.

Studiava le formiche e si dedicava ai collages, scriveva opere teatrali e sceneggiature, si misurò col cinema sperimentale. Intellettuale discreto e multiforme, era noto in una cerchia relativamente ristretta.

La sua fu una vicenda particolare e complessa, proiettata sulla gogna pubblica da un assurdo intrico di famiglia che non riguardava lui, ma il compagno Giovanni Sanfratello il cui padre sporse denuncia a Braibanti nel ‘64, alla Procura di Roma, accusandolo, come già detto, di plagio. Era l’unica via giudiziaria possibile per poter “recuparare” il figlio, dato che Giovanni aveva 24 anni, e dunque essendo maggiorenne poteva fare, almeno in teoria, quel che gli pareva.

I due vivevano insieme da tempo, dopo essersi incontrati nel laboratorio artistico «Torre Farnese» che Braibanti aveva nel suo paese del Piacentino. In rotta con la famiglia molto tradizionalista, il ragazzo si era trasferito a Roma col suo amore, apertamente e senza nascondersi. Oggi sarebbero una coppia gay come tante, probabilmente presa a bastonate all’uscita di un bar, allora, invece, fu avviata una lunga inchiesta, mentre il povero Giovanni Sanfratello veniva letteralmente prelevato dai famigliari e rinchiuso per due anni in manicomio. Fu una vicenda terribilmente grottesca. Ne sarebbe uscito, dopo una terapia a base di elettochoc, con il divieto di leggere libri che non avessero meno di cent’anni.

Intanto l’inchiesta procedeva. Nel ‘67 Braibanti venne arrestato, e il 14 luglio 1968 arrivò la sentenza: nove anni di carcere per «plagio», ridotti a sette per i meriti partigiani, e a due un anno dopo, in Corte d’Appello. Giovanni Sanfratello aveva tentato in ogni modo, durante i processi, di scagionare l’amico, ma ovviamente non era stato preso in considerazione. Era un «plagiato», dunque non credibile. Pare un film. Un’ottima trama. Ma si sa che la realtà supera la finzione.
In sua difesa insorse un movimento d’opinione per la cancellazione di un reato assurdo capeggiato da Moravia, Eco, Pasolini e Pannella: l’omosessualità dichiarata nel ’68 era qualcosa di molto imbarazzante perché era la rivoluzione. E quella rivoluzione fu la macchia, lo fu durante il processo, e lo restò per molti anni ancora, quando tornato libero Aldo Braibanti, vittima esemplare di un’Italia ferocemente bigotta, si rifugiò nel suo torrione e riprese il lavoro di sempre.
Scomparso pochi giorni fa, a 92 anni.Non inseguiva il successo. Nel 2006 gli venne concesso il piccolo assegno mensile previsto dalla «legge Bacchelli» per il sostengo di personalità di alto profilo culturale in condizioni di estremo bisogno. Se di un risarcimento si trattava, arrivò tardi. Come spesso accade.

In molti ne hanno scritto in questi giorni, e meglio di me. Io non lo avrei fatto se non mi fosse stato amorevolmente chiesto. Io non ho molto da dire su questa vicenda, si racconta da sola. Ho voluto semplicemente narrarla per i pochi che non sanno. A futura memoria.

 

 

 

 

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giovedì 29 giugno 2023

Divine: The Filthiest Person Alive


Divine

“Come sarebbe a dire che non c’è spazzatura nel Mondo? sono nato per essere a buon mercato! svenduto intrepidamente! Odio il Mondo che è marcia merda!”

Seriamente. Dispiace farvi notare che questo dove alloggio stanotte è lo stesso albergo in cui morì Divine, la sboccata. The Regency Hotel. In culo a tutti voi! Vi ho fregati! Io sto qui!

È come se la sua presenza aleggiasse ancora in questo ormai fetido posto. Il suo grasso e pesante e ingombrante corpo, come Marilyn ma elevata con un argano all’ennesima potenza. È lei stessa come rinata icona hollywoodiana, fatta cattiveria in persona, con la sua figura possente, fisicamente pesante, un pressante ostacolo al Mondo stesso che non morirà molto presto. Non riuscirà ad ammazzarlo, questo Mondo di sperma malato, non farà in tempo a sparargli con la sua Colt rosa.

È come vuota, la stanza, adesso, senza la sua sconcia presenza. Mi sorrido beffardo allo specchio del cesso, col bozzo sul cranio che mi sono procurato sbattendo contro la porta entrando in camera. È pura follia essere qui. Uno sforzo mentale immenso. Ma ormai ci sono e vi trascino per i capelli con me in questa farneticazione.

Quindi io ho guidato fino al passo carraio di questo hotel che mi ha aiutato a conservare un po’ del suo ricordo. E a raccontarvelo. Questo è l’hotel. Questo è l’ingresso. E questo è l’hotel. E questo è lo scrivere per scrivere. L’infinitamente riscrivere pezzi che si alternano alla realtà. Lo stendere parole e incanti nell’inutile gioco dell’affabulazione.

E insomma, tre giorni dopo che Divine è morta, il suo corpo è stato trasportato a Baltimora per il funerale. Pure io ho accompagnato il corpo di Divine, e all’arrivo, ho salutato Frances, madre di Divine. Notò l’orecchino di diamante che portavo all’orecchio e che tanto sarebbe piaciuto a Divine stessa, per sua stessa ammissione. Amava i diamanti perché sono i migliori amici delle donne.

La sua curiosità è come quella di un adolescente, Divine usa se stessa per gettare all’aria le carte della società e del buon senso, quasi a voler decorare la propria stanza con fiori rubati dal cimitero. Un mostro postpunk. In molti dicono che era una star, una drag queen. Questo non è vero.

Lei era la Star spettacolare, la Jayne Mansfield svaccata sotto la forma di “zio Otto”. Questo era uno dei motivi per cui ha accettato di farlo, quel personaggio. Voleva recitare come un uomo.

Su Divine la madre, Frances Milstead, ha pubblicato un libro intitolato Mio Figlio Divine. Se vi piace Divine, è necessario averlo. È molto toccante, pieno di fotografie glamrock. Una roba strafiga. Benedite, o Dei, l’arte corrotta e l’immondizia di Divine.

Circa un anno dopo la morte di Divine, il mio amico, quello coi capelli verdi, adesso non ricordo il nome ma poi magari mi torna in mente, è andato a vedere John Waters dal vivo, stava tenendo una lezione, una cosa che non ho capito bene che cosa fosse. Ha parlato per poco più di un’ora. Mi ha spiegato che cosa aveva detto ma non mi ricordo molto, se non che ha imparato a non vestirsi di bianco. O una stupidata del genere. Mah, mi ricordo una roba così, ma forse ricordo male. O queste sono le parole esatte che riportò il mio amico. In seguito, avevano aspettato tutti in fila per incontrarlo.

Di fronte a Waters c’erano queste drag mostruose che avevano deciso di fare un provino per John. Voglio dire, queste femmine avevano script e tutto, cioè, mossette, capelli cotonati, abiti sgargianti… e quei terribilissimi monologhi.

È stato orribile, racconta il mio amico. Infine, John le interruppe bruscamente. [Mi piaceva che il mio amico mi raccontasse tutto. Poi quei capelli verdi gli donavano un tocco di non so che permettendogli di inventare la narrazione oltre ogni limite.] Dopo di che urlò “fucked off”, e firmò il mio manifesto di Hairspray che il verdecrinuto aveva portato con sé. Caro.

Divine è stato esposto nel suo “cofanetto” con addosso un abito Tommy Nutter, camicia dal collo nero, e un gioiello progettato da Andrew Logan. Una figata. Le sue mani sono state poste sul suo stomaco. Prima che la bara venisse chiusa, qualcuno [non son sicuro se Bernard J, ma forse sì] volle mettere il contratto di lavoro originale nel box con lui. Naturalmente, questo è quello che dice il mio amico che stava lì vicino a guardare. Io non c’ero. Forse che sì, forse che no. Sarà, non sarà, suona dubbia per me ’sta cosa.

Divine si specializzò in ruoli estremamente camp, quando non era deliberatamente trash, che fecero di lui una icona gaymolto prima che diventasse famosa anche fra il pubblico generale.

Divine, pseudonimo di Harris Glenn Milstead. Nato a Towson il 19 ottobre1945, stato del Maryland, da Bernard e Diana Frances Milstead.

A dodici anni si trasferì con la famiglia a Lutherville, un quartiere di Baltimora. Il suo futuro regista, “scopa secca” John Waters, viveva poco distante, nella stessa strada ed è stato un suo amico d’infanzia.Divine

Il 7 marzo del 1988, all’età di soli 43 anni non ancora compiuti, Mr Milstead morì per cardiomiopatia ipertroficaa Los Angeles, in California. Le cause furono attribuite alla sua obesità [cosa che mai mi convinse].

Divine era noto per essere sempre puntuale. Così si lavora e così si comporta ogni vera attrice.

Quando non si presentò la mattina seguente per il suo turno, cominciarono a preoccuparsi.

Il suo manager Bernard Jay andò in albergo a mezzogiorno per controllare, usò la sua chiave di accesso per entrare. Lo trovò. Morto, nudo, e coperto con una coperta. Morì nel sonno di insufficienza cardiaca. Dicono. Aveva 42 anni. 43 non ancora compiuti.

[Si prega di perdonare il mio uso del genere indefinito (cioè lui / lei indifferentemente) ma non posso fare altrimenti.]

È seppellito a Towson, sua città natale.

Era soprannominato “Divine” dal regista e amico d’infanzia, John Waters. Hanno fatto film meravigliosi insieme, in particolare Female Trouble [uno dei miei preferiti] e Pink Flamingos.

È stato proprio Fenicotteri Rosache l’ha fatta diventare una celebrità, perché ha mangiato merda di cane per davvero. La scena più iconoclasta e punk che sia mai stata girata in un film. È stato scioccante per molti, e divenne la cosa che lo lanciò nelle leggende. Perché le leggende sono fatte di sterco che ingrassa il terreno delle merdose fantasie.

Ho avuto con la Star Divine un rapporto molto strano nel tempo. Per me era diventata una grande cantante Hi-NRG subito dopo i primi film di Waters grazie ai quali aveva avuto notorietà. Ho sentito la sua musica, e sono stato agganciato. Di pietra. Come soltanto mi era successo anni prima per Sylvester.

Mai veramente mi era interessato a seguirlo come attore/attrice. Poi ho visto Female Truoble da un amico, una copia sgangherata, piratissima e di recupero che non so nemmeno come facesse a possedere. E badaboooom.

Ho visto Divine in concerto molte volte. La prima volta che la vidi fu al Ballroom Nettarina a Ann Arbor, Michigan. Si presentò splendidamente in ritardo, ma un grande spettacolo. La volta dopo era al Liedernacht a Detroit. Insomma, per farla breve, durante lo show, le ho consegnato la mia copia diI’m So Beautiful, e lo ha firmato per me [elegantemente, in diagonale, sull’angolo, proprio in cima]. Poi, più tardi, quella stessa sera, Divine ha gettato il suo asciugamano madido di sudore a me, proprio a me. Ce l’ho ancora. Tesoro. Dopo di che, l’ho vista al Limelight di Chicago. Apertamente Divine mi piaceva. Il suo modo di stare in scena. Mi ha scelto fra il pubblico, e ho ballato sul palco con lei, e lei mi ha spinto in petto. Ha anche firmato il mio poster. Cioè il suo poster, mi sto incasinando.

Lui era in città per girare il suo primo episodio di Married… With Children. La notte prima era dovuta andare sul set, ha cenato con gli amici. In seguito, è tornato in albergo. Prima di entrare in camera numero 261 si sporge dal balcone e canta “Arrivederci Roma” per gli amici.

Questo accadeva alle 06:00.

Il carro funebre di Divine ha una scorta di polizia.

La maggior parte delle cose di Divine finirono poi per essere vendute all’asta da Christies, per coprire i debiti. Pure da morti, si risarciscono i debitori. Non c’è pace. No.

Non denaro devoluto in beneficenza a suo nome, ma che le persone le comprassero tanti fiori. Perché li amava così tanto. Elton John ha inviato tantissimi fiori, come hanno fatto Tab Hunter e Whoopi Goldberg – insieme con un biglietto che dice tipo: “Guarda che cosa può fare una buona recensione”.

Negli anni80 i dischi dance di Milstead (prodotti, composti e suonati da Bobby Orlando), furono famosi in America, Europa ed Australia. A quelli prodotti da Orlando fecero seguito pezzi di produzione inglese (Stock, Aitken e Waterman), tra cui il celeberrimo You Think You’re A Man, che salì in testa alle classifiche inglesi ed europee.

Pensi d’essere un uomo, ma sei soltanto un ragazzo, sei soltanto un giocattolo per la mia soddisfazione.

Nel 1988, Divine era praticamente entrato nel biz del Cinema. Hairspray era appena uscito. È stato veramente il primo film main stream di John Waters. Ed è stato super. Aveva ancora il fascino dei suoi vecchi film. Le recensioni erano fantastiche e, sulla scia di questo, a Divine venne offerto un ruolo semi-ricorrente nella serie Sposati… con figli, una serie televisiva FOX in prima serata.

Polyester, il primo film di Divine in odorama con Tab Hunter. Odori inclusi di rose, scoreggia, colla, pizza, benzina, puzzola, cuoio, scarpe sporche e deodorante.

E quanti froci freaky l’hanno amata questa qua? Molti oggi non sanno nemmeno chi fosse.

La notte in cui Divine è morto ho fatto tutto quello che poteva essere appropriato a renderle onore. Sono andato in un cinemino con il mio amico, la TicoTico che di giorno faceva la guardia giurata e la notte andava a battere in calze a rete nelle aree parcheggio dell’autostrada per farsi i camionisti, quelli più grassi. È stato come un doppio disegno, un’inversione di marcia. Non volevo pensare alla morte. Insomma, davano Faster Pussycat Uccidi! Uccidi! interpretato da Tura Satana e un’altra roba subito dopo dal titolo tipo La valle delle bambole o qualcosa del genere, non ricordo bene. Quando siamo arrivati ​​a casa tardi quella sera, c’erano circa 4 messaggi di cordoglio sulla mia segreteria telefonica. Il giorno dopo ce ne sono stati molti di più. Io non rispondevo alle chiamate. No mi andava. Mi piace aver visto quei film il giorno in cui Divine morì.

Comunque ora sono qui, ll’hotel. Siamo entrati dall’ingresso principale e fatto il nostro giro dentro alla zona piscina. Puzzo intensissimo di cloro. Odioso.

Alzo gli occhi a quel balcone dove Divine ha cantato la canzone per le ultime persone che l’hanno visto in vita. Diobò mi piglia la tristezza. E racconto lo stesso. La mente è la stanza dei souvenir, che sono piuttosto scarsi, a basso costo. Il cesso dove vado a vomitare è un relitto. Sbatto con il cranio contro la porta. E vomito ancora. La mia missione è stata quella porta. Sbatterci contro.

Ho avuto, in ogni caso, il modo di vedere il numero della porta che Divine toccò e carezzò prima di morire.

Il 7 marzo, 1988, Divine era a Los Angeles, soggiornava al Regency Hotel, situato al 7940 di Hollywood Boulevard. Si è trasformato in un condominio ora, si può vivere lì.

In realtà il Regency Hotel è andato. Non esiste più. Il luogo in cui Divine ha respirato il suo ultimo respiro, è stato raso al suolo. Nel luogo in cui morì Divine, ora, è tutto andato, tranne forse il segno molto cool che è rimasto nella mia testa di cazzo che ha sbattuto su quella porta che nemmeno esiste più. Non c’è più quella stanza, zio Bo! Sta solo nel tuo cervello malato! Ma viaggiare indietro nel tempo.. mi rende felice, mi fa star bene e ancora mi fa sentire vivo. Se possibile.

Poi le ruote del mio cervello, si sa, come sempre cominciano la loro filatura di narrazione emozionale. L’affabulazione dello stolto e del mentecatto. Del mendico di trame e misfatti e d’orrori amorosi. Come sia morta davvero Divine, sono anni che me lo chiedo.

Ebbene, signore e signori, ho reso omaggio a Divine. Ottimo lavoro, Bo.

Gli Dei vi benedicano, se mi leggete e gli stessi Dei benedicano Divine.

 

 

 

 

 

 

 

 

(1 luglio 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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mercoledì 28 giugno 2023

Mario Mieli, la critica frocia e l’elogio della merda


Mario Mieli

Nasceva oggi, 21 maggio del 1952, a Milano, Mario Mieli. È stato filosofo, scrittore, teorico degli studi di genere, attivista del movimento omosessuale del quale è considerato uno dei fondatori.

Con l’esaurirsi delle gioiose utopie dei collettivi, l’ultima fase della vita di Mieli coincide, con una presa di distanza critica dall’evoluzione del movimento omosessuale, nel quale non si riconosce più. Una crescente attenzione alle tematiche ecologiste e antiatomiche, il fascino oscuro dell’alchimia, con i suo risvolti coprofagi, e infine il suicidio, il 12 marzo 1983, un vero e proprio capolavoro di estremo narcisismo oppure, se preferite, un magistrale esempio di masochismo che può sublimare, se usato come gesto politico, l’istinto di morte della Norma eterosessuale.

Alla Norma, Mieli oppose, tutta e completamente, l’assunzione e la pratica di ogni possibile perversione, per restituire agli individui l’unica condizione originaria di transessualità, la trasversalità vera e propria del sesso inteso come libera e plurale espressione delle tendenze dell’erotismo. A dimostrazione, e ne conveniamo quasi tutti, almeno da queste parti, in questo sito che si preoccupa di pubblicarmi caramente, che le perversioni sono tappe inevitabili, lungo il buon cammino dell’Eros, dell’emancipazione, per la rottura di ogni tabù. Così bisognerebbe leggere quella che, a tutt’oggi, è la più discussa delle provocazioni di Mario Mieli: la trasformazione alchemica della rivendicazione del piacere del buco del culo in elogio della coprofagia, che è sia provocazione d’estasi, declinata in forma di performance teatrale, sia momento privato di esplorazione del desiderio. Freud?, Sade?, Paracelso?, ’sta Grancippa?, tutte quante riletture alchemiche, psicanalitiche e socioantropologiche che si sovrappongono, tra l’inutilità di sofismi e leggi di esemplificazione, nell’uguaglianza tra merda e oro, una corrispondenza nettissima e letale per la Società, anche odierna, del nesso oscuro tra Eros e quotidianità. Nel 1961 Piero Manzoni sigillò le proprie feci in 90 barattoli di conserva. Con lo stesso risultato di incomprensione a tutt’oggi. Devo aggiungere altro?

E, ancora il riconoscimento della sessualità indistinta, fetale e vitale del bambino che è, secondo Mieli, l’espressione più pura della transessualità profonda cui ciascuno di noi è votato. Confusa spesso con “pedofilia”, ma il gioco diventa facile a questo punto. La tesi sostiene che il bambino è l’essere sessuale più libero, fino a quando il suo puro desiderio non viene incasellato dalla Norma eterosessuale, che, al contrario, inibisce le potenzialità moltiplicabili all’infinito dell’Eros. Discorso, sì, eversivo e scomodo. Ma non me ne stupisco affatto, dato che di questo, spesso, blatero ancora inascoltato, o quasi.

Oggi più che mai, in questa medievale e oscurantista società attanagliata dal tabù che potrebbe andare ad investire, senza appello di sorta e senza possibilità di fuga, il binomio sessualità-infanzia, raggiunge davvero la presenza di una ossessione patologica che andrebbe a trasformare il timore della pedofilia in una vera e propria caccia a quelle streghe di frocie da bruciare.

L’avvertimento di Mieli è quello di tenere bene a mente la inevitabile, originaria e prorompente sessualità infantile, per non imbrigliarla nelle coercizioni fatali della Norma, che genera orribilmente repressioneomofobiaviolenzadiscriminazionefemminicidio. La mancanza di Mieli ci ha lasciati spalancati interrogativi di ordine etico sul ruolo castrante del sistema educativo rappresentato dalla famiglia, in primis, e sulle potenzialità ancora ignote di un Eros che, se lasciato libero di esprimersi, può fondare una società diversa da quella in cui viviamo. Sicuramente più libera. Ma inequivocabilmente incontrollabile e catalogabile.

Quello della coprofagia, in Mieli, è da intendersi come gioco erotico e come pratica di piacere, come gesto iniziatico, iniziale, infantile e alchemico, come colpo di teatro e come proposta rivoluzionaria. Ma è stato usato, questo semplice concetto, in ben altro modo dai suoi detrattori, venne utilizzato contro di lui e venne “catalogato” come l’hobby sessuale di mangiare i propri escrementi. Famosa la sua esibizione pubblica durante la quale si produsse in questi atti (anche con gli escrementi del suo cane). Il poeta gay Dario Bellezza (morto di AIDS) ironizzò così: “A Mario è rimasto altro che mangiar la merda, per far parlare di sé”, ma questo era il classico gioco da Signora di Dario, che ben conoscevo e che di per sé era già “uomo di scandalo”, ironia, appunto, non erano certo queste le parole che potevano disturbare ciò che Mieli stava esemplificando. Il problema veniva dalla nostra cultura cattointegralista  che non accettava il fatto che ogni uomo si trova a dover fare i conti con il frocio e con la donna repressi dentro di lui, che Mieli invita ad accettare, accogliere e liberare.

Elogio della merda come chiave dorata che apre le porte dell’armonia, come estatico vessillo della liberazione, come fonte di purezza accessibile a chiunque, come comunione sublime per un’iniziazione vertiginosa, per una schizofrenia divergente dalla Norma. Un’esperienza magico-erotica che lo vede protagonista insieme al suo fidanzato: la celebrazione di un rito di “nozze alchemiche”, con la preparazione e l’assunzione di un pane “fatto in casa”, una comunione che vuole essere testimonianza e annuncio dell’avvento di un’armonia che vorremmo comprensibile e che, attraverso la liberazione dell’Eros, dovrebbe davvero costituire una nuova Era. Ma che ancora non è.

La parabola politica, critica ed esistenziale, è ritmata da momenti identificabili: i primi passi della sua militanza a Londra, nel movimento di liberazione omosessuale inglese, nel 1971 Mieli contribuisce alla nascita del F.U.O.R.I. [Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano], il primo significativo tentativo di dare vita ad un soggetto politico che raccogliesse i gay e si battesse per i loro diritti. Poi l’uscita dal F.U.O.R.I. (scusate il gioco di parole, ma un po’ di leggerezza, ogni tanto ci vuole), con l’avvicinamento al Partito Radicale nel 1974, la stagione dei collettivi omosessuali, sperimentazioni di una creativa mescolanza di elaborazione politica e vita en travesti, serio e faceto, autocoscienza e intervento sociale.

Una vera e propria critica del pensiero dominante. Tanto il pensiero etero (leggi la famiglia tradizionale), quanto quello omosessuale sono esattamente prodotto di una invasiva influenza della società sulla formazione della personalità e del desiderio. Avere, secondo Mieli, un trip nei confronti di un singolo pensiero sessuale è un limite, un sintomo di repressione, di rimozione della naturale disposizione transessuale. Una posizione, questa, che scandalizza ancora, anche in ambito gay, e che ha un risvolto di stringente attualità.

Il pensiero di Mieli conserva ancora fortemente la sua carica eversiva e ci conduce saldamente a interrogarci su quale debba essere la vera liberazione. Forse uno spazio di primaria importanza per una sessualità libera, fondamento di una società con la giusta educazione, ospitale e senza tabù?

Ogni uomo si trova a dover fare i conti con il frocio e con la donna repressi dentro di lui. È, questo riconoscimento, un passaggio essenziale, da orientare, oggi, esclusivamente, in senso politico, per un lavoro sulla propria identità. La transessualità di Mario Mieli, il suo omaggio alla femminilità (il nostro debito continuo, assoluto e il rapportarsi con l’elaborazione femminista è costante, difficilmente il contrario, ma molte donne di oggi, ancora, stentano a capire questo raffrontarsi tra universo maschile e femminile, e ancora si sentono prese di mira dalle nostre battute frocie, ne ho avuta riprova non molto tempo fa, con una puntualizzazione su un mio innocente twitt senza, forse, che quella persona abbia mai letto cosa diavolo scrivo davvero, mi feriscono ancora queste sciocchezze, vuol dire che, ancora, il pensiero gaio risulta incomprensibile) e la sua sessualizzazione della politica sono ancora lontane dalla consapevolezza del potere, sono fuori gioco, fuori tempo, fuori scala, fuori dal coro della Norma che tutt’ora è padrona delle nostre vite.

Mario Mieli ammutolisce omofobi militanti di sinistra.

Mario Mieli, a Londra, fatto di Lsd, si spoglia davanti a un poliziotto gridandogli “Fuck me”.

Mario Mieli, vestito da monaca, viene arrestato nel corso di una manifestazione gay a Piccadilly Circus.

Mario Mieli si esibisce in performance coprofaghe.

Mario Mieli interviene sul nostro quotidiano, anche di noi gay, con gesti clamorosi che sono epidemia di conflitti irrisolvibili.

Mario Mieli offre efficaci spunti di ragionamento nell’ambito della contemporanea riflessione sulla omogenitorialità e in generale sulle famiglie alternative, sulla molteplicità dei desideri del bambino. Ma allora una famiglia non eterosessuale, ancorché monosessuale, potrebbe educare un figlio senza castrarlo, ci chiediamo, inculcando in lui i valori di una sessualità più vicina al potenziale transessuale originario? Si può contribuire a rompere il circolo vizioso della normalizzazione senza passare per pedofili?

Il 1977 è l’anno della pubblicazione, per Einaudi, del saggio Elementi di critica omosessuale, un enorme apporto alla riflessione sull’omosessualità, un accostamento complesso tra psicologia, antropologia, letteratura, storia, marxismo. Una pietra ben salda, in anni recenti ripubblicato da Feltrinelli.

Un essere androgino, abbigliamento femminile, teatro d’avanguardia, teoria, militanza, droga, coprofagia. Il brillìo di una ricerca contro ogni ordine precostituito, l’Eros polimorfo e perverso. Ancora oggi, di fronte a ogni tentazione di conformazione omosex, una presenza assolutamente “scandalosa”. Un troll aristocratico che, eccesso di collane di perle e gioielli di famiglia, si staglia sullo sfondo dello strapotere della Chiesa. Nitroglicerina frocia. Può un uomo vestito da donna creare ancora oggi scompiglio? È una domanda inevitabile per chiunque provi a riflettere…

 

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domenica 25 giugno 2023

la storia de #ElHorno: l’autocelebrazione dell’invisibile


Fabio Galli 02

#ElHorno fu oggetto, fin da subito, di un processo di occultamento dovuto alla sue stessa esistenza. La colpa non fu tanto del romanzo in sé quanto della vita disagiata, eremita e autocombustiva dell’autore stesso. Un’opera letteraria che gli editori cercavano di evitare accuratamente, dunque. Per dieci anni, quasi.

Bo Summer’s scrisse gran parte del marasma dell’opera mentre viveva lontano dalla sua città natale, appunti su fogli volanti, persi e ritrovati, biglietti del tram, blocchetti per annotazioni recuperati in ogni angolo, tra la fine degli Anni80 e la fine degli Anni90 del secolo scorso, dieci anni di riscritture continue, manipolazioni forsennate, incanti, incantamenti e biascicati blaterii. Tutto questo mentre molti dei suoi ex amici erano finalmente diventati famosi nell’ambiente letterario nazional-popolare: chi romanziere, chi direttore stimato di collane editoriali, chi traduttore d’opere omnie d’autori classici. Come a dire: il Mondo dei Patacca.

Altrettanti altri dieci anni ci vollero per trovare un editore che acconsentisse a dargli luce. Finalmente. Nel buco nero dell’infinito di internet.

La narrazione, ambientata in una città fantasmagorica ed immaginifica che mai l’aveva accolto, che presenta le memorie e le allucinazioni dissociate di Skeeen, il narratore-protagonista, in preda ai sintomi di astinenza dall’eroe-romantico Godz, piacque forse per il suono rocambolescamente picaresco delle invenzioni lessicali, o forse per la meravigliata descrizione del libero amore. O fors’anche per le trafficate descrizioni di un ambiente popolato da devianti (famelici e animaleschi), parzialmente ricondizionati ad una presunta normalizzazione e simpatici, convinti della loro stessa deità.

Quindi Bo s’è scoperto essere lo scienziato che presta le proprie povere competenze linguistiche alla creazione di sistemi di controllo della sessualità più efficienti della violenza creativa perché il confine tra la realtà e l’allucinazione cade definitivamente quando e dove si vuole, se si vuole, e alla fine non si distinguono più i piani inventati da quelli reali. Tutto il processo della creazione artistica come una sorta di droga organica che si nutre della nostra psiche fino a portarci alla follia.

Crudeli scene da cinico, raccontate col ghigno: la scrittura di Bo Summer’s, in realtà, è un’estensione necessaria della sua vita, votata a descrivere campi inesplorati della psiche umana e a distruggere ogni tabù col suo magma letterario.

Qualuno tenterà l’impresa eccezionale e impossibile di trarne un pezzo teatrale, mischiando elementi biografici della vita dell’autore con personaggi e situazioni tratte dal libro, per raccontare l’inenarrabile con simboli: le macchine da sesso si trasformeranno in esseri parlanti, in mostri stupratori di maschie divinità oppure orride creature che, al premere dei capezzoli, secerneranno liquidi, da escrescenze tubiformi, gemendo di piacere.

Scritto in buona parte con una tecnica di estremizzazione del concetto, di destrutturazione verbale, caratterizzato dal montaggio e rimontaggio di un testo in modo apparentemente caotico e visionario, con un tecnica mutuata dal cut-up, fino a generare un effetto allucinatorio che costringe il lettore a ricollegare in modo sensato frasi e parole, se non addirittura capitoli interi o tutta la storia stessa, affronta temi quali la morte, l’AIDS, il fetish, il contagio, il controllo dei sensi, senza che vi sia una apparente trama, solo qualche personaggio-simbolo ricorrente (il crudele mostro che s’aggira nei sotterranei del locale. La cantante postpunk che appare misticamente ad ogni fist subìto) che ci guida in un caleidoscopico mondo di orrore e violenza e amamento così alienato e ripugnante da risultare ancora oggi insuperato. Scusate l’ho scritto. Che se non lo scrivo io, chi altri?

La serie di scene che compongono l’opera può leggersi in qualsiasi ordine entrando da qualsiasi interstizio e scivolando nei meandri della paranoia, della degradazione e della perversione, per raggiungere alla fine il nulla orgasmico ed eiaculativo. L’apoteosi..

Tra esperienze visionarie predomina un’immaginazione allucinata, un universo irreale e distorto, una zona di mezzo, in cui il sesso e la dipendenza fisica dall’altro diventano metafore di satira sociale: tutta l’umanità è vittima di qualche forma di dipendenza, ed è diretta da controllori che manipolano l’algebra dei bisogni fisici e animaleschi per accrescere il loro potere controllandoli, pensando al matrimonio riparatore a salvezza di noi tutti. Una salvezza salvifica che non salva tutte quante le nostre insalvabili sessualità.

Una volontà civile dell’autore nel denunciare i soprusi del potere, la lobby medica sulle medicine, i moralisti sessuali e i danni della pace dei sensi, lo induce a scrivere un libro caustico col fine di demolire visivamente l’artificiosa apparenza di un mondo incatenato e reso schiavo, di cui lui vuole mostrare l’abissale degenerazione nella sublimazione del sesso.

Per via di questa originale forma stilistica, #ElHorno è stato recepito, di volta in volta, sia come un’espressione geniale sia come romanzo-spazzatura, perché scritto senza rispettare gli standard di prosa narrativa, con l’interruzione dei passaggi, disponendo i capitoli non seguendo altro ordine se non quello del flusso di un ordine alfabetico.

È sicuramente un libro importante per Bo Summer’s. E non solo. Un viatico per l’inferno a disposizione di tutti noi mostri scriventi che ci nutriamo di liquefazioni verbali che trascinano in una dimensione così allucinata e spaventosa che può sentire soltanto il rumore dei propri schemi mentali mentre vengono frantumati da una scrittura frenetica in cui, spesso, la punteggiatura è eliminata per lasciar sfogo ad un flusso ininterrotto di parole annichilenti.

Scrittura caotica, raccolta di pagine prive di una struttura precisa, schermo sul quale si susseguono le immagini di un mondo infernale. Questa febbrile descrizione della realtà. Un romanzo sconfinato che avrebbe fatto perdere la testa a tutti, se solo se ne fossero accorti, un semplice ritratto, una visione apocalittica di come l’umanità agirebbe se fosse completamente separata dall’eternità.

Se solo se ne fossero accorti, gli editori italiani ci avrebbero visto qualcosa, oltre ai loro sfatti orticelli ben coltivati.

Un’editoria afasica che non rivolge mai lo sguardo verso l’alto, verso l’ognidove se non per esalare l’ultimo rantolo di una vita massacrata dalle macchine di tortura fisica e mentale che il loro stesso sistema editoriale ha posto intorno a noi.

Detto questo, per chi avesse capito, buon compleanno, vecchio Bo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(28 febbraio 2015)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Disequilibrio


Foto Bo Summers Post

Un pomeriggio, orario mediano, chatto di nascosto con un bravo scrittore in un social gremito di voci varie per ascoltare la risposta che andavo provocando “qui dentro, nessuno interessa a nessuno, un egodromo, questa è la verità e bisogna parlarsi dal vivo, occhi su occhi e bere e mangiare.. insieme.. ridere.. qui non funziona niente [riporto epurato il dialogo, valà]” insomma è stato come sentirmi dire di ricordarmi del mio passato, della coltivazione degli orti, che la scrittura in tempo di crisi è momento d’accatto d’amicizie e di favori, di amanti e bisogni fisiologici è sesso, cesso o vattelapesca.

Si sa che non sono un moderato e parlarne, dirvene scrivendo, produrrà altri frantumi nel labile vaso di porcellana cinese che contiene questo personaggio che ininterrottamente miete vittime, una capra sacrificale che non perdona con l’insofferenza dell’abbandonato, evidenziando con strida, ormai, una realtà dei fatti in cui il pubblicare è sempre stato un miraggio per fasce sempre più consistenti della popolazione di scriventi.

Di fronte a questo non è d’aiuto avere obiettivi, assumendo di fatto la dottrina che sostiene che non abbiamo bisogno della visibilità autorale. Una forte asimmetria e questo grande disequilibrio, portano con sé, insieme all’insofferenza personale e alla rottura del patto col lettore, anche la nefasta conseguenza di produrre inefficienza letteraria.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(26 aprile 2015)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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venerdì 23 giugno 2023

#PornoPerPiretro [ovvero il fallimento della città di Utopia, la libera sessualità]


Erotismo 00

Io, in realtà, non ho molto all’attivo. Pochissime cose, scritte e pubblicate, ai tempi prese in considerazione, che stanno in un dimenticatoio da purgatorio dantesco, nel secolo scorso. Son vecchie pagine che cerco di rianimare con la respirazione bocca-a-bocca [salvataggio complesso e davvero faticoso, di poca utilità, ritengo, per me e per chi, inconsapevole o volontariamente, le leggesse] e alle quali vado rocambolescamente ad aggiungere l’odierna e folle curatela dello sdoppiamento di un autore già di suo complesso e immaginifico. Bo Summer. Complessa la sua scrittura. Come complessi sono i temi. Temi complessi, ripeto, che riguardano la comunità queer – che hanno ricevuto un’ancor minore attenzione dei miei testi dell’epoca d’oro, quando timidamente pensavo che avrei potuto vivere scrivendo – pur essendo temi, questi ultimi, al centro del mio contemporaneo dibattito. E così ve lo ricordo io che noi ci siamo effettivamente dentro a questo Impero dei Sensi. Sprofondati in questa inutilità dello scrivere per scrivere. Seduti piatti col culo. A terra. Ora io ve lo dico, come fosse l’ultima cosa che scrivo.

Dove, davvero, conduce lo scrivere? verso la degenerazione stessa della sua storia? che, dalla voragine del nazifascismo, si è poi tramutata nel conformismo della società di massa? in questo nostro contemporaneo di social dove, chi ci segue, forse, è lo stesso nemico di una volta?

Ma veniamo subito alla questione, forse la più spinosa, all’argomento che è molto problematico per quella comunità che si va a descrivere in romanzi e racconti di Bo Summer, in quanto riflette la confusione all’interno della stessa riguardo a ciò che è lecito/illecito, ciò che è considerato psichiatricamente e psicologicamente sano o malato. All’interno della stessa gaia [e gioiosa e gaudente] comunità albergano le avversioni per le sessualità non codificate, per il diverso dall’uguale, l’eccezione che non è mai la regola. Appunto.

L’unico modo per “comprendere” [nel duplice senso che gli è proprio di capire e di includere] il dramma dello scrivente – ovvero il fallimento dell’Utopia della libera sessualità, il nostro stesso fallimento – è quello di osservarlo a una certa distanza, da un’ottica non soggettiva e allo stesso tempo universale, che possa abbracciare l’umano dibattersi [“le voci e i rumori della vita quotidiana”] attraverso un malinconico e disilluso sguardo cosmico. Estraniato.

Forza! Uscite! Non ripiegatevi sul vostro stesso ombelico. Abbiate la forza di un nuovo “fiat”.

È il racconto dell’arrivo di due viaggiatori, io e Bo, che avviene quasi come in un’atmosfera di totale desolazione, in cui, tra l’altro, essi perdono i bagagli del loro stesso sapere e vengono derubati dei vestiti del loro essere e violentati nel loro libero pensare, finché, dopo aver attraversato paesaggi sempre più inquietanti e desertici, da “fine del mondo”, a uno dei due, durante il suo ultimo sonno, viene sottratto il prezioso pacco che egli aveva sempre portato stretto al petto. Cosa contiene è chiaro a tutti, seppur non enunciato. Il furto non è che il preludio al fallimento dell’ultima Utopia. Della Città Di Sogno. Giunti, ormai in mutande, senza senno e sanguinanti nell’immaginaria località, i due scoprono che non c’è più niente, o meglio tutto è come già morto, finito, in quanto il loro viaggio è durato troppo a lungo, tanto da essere arrivati “irrimediabilmente tardi”. Il vecchio autore e il nuovo autore hanno viaggiato inutilmente. Nell’inutilità dell’ascolto distratto. Cioè hanno scritto per due secoli. Ma tutto era già stato fatto. Senza di loro.

Questa è la considerazione della propria scrittura. Una lettura, un documento prezioso. È questo mio un discorso davvero devastato, un resoconto retorico, decadente e estetizzante, merce del peggior neo-classicismo e del più bieco romanticismo: come qualcosa che si deve stoicamente sopportare. E supportare.

Un vero e proprio passaggio da un autore all’altro, come a relegarli in una strana condizione assimilabile a quella di un transgender o di un intersex, poiché la psicologia di un sesso non diventa mai, appieno, la psicologia dell’altro sesso e questo mette in discussione la nozione stessa di genere come costruzione sociale [cos’è che, al di là della combinazione cromosomica casuale, definisce l’essere uomo o l’essere donna?] e l’importanza della virilità e della femminilità poste in relazione con una sessualità eterosessuale od omosessuale. Così, questi due autori non si somigliano del tutto.

Un altro elemento molto importante della ricezione di questo autore, Bo Summer, all’interno della cultura queer è senz’altro #ElHorno, Se è vero che il romanzo è una grande allegoria socio-politico-sessuale, allo stesso modo è innegabile che per il tipo di immagini rappresentate, anche per il messaggio stesso del romazo, sia presente una fortissima componente sessuale e anche erotica, che inevitabilmente non è stata recepita da gran parte della comunità queer. #ElHorno è, a tutt’oggi, una delle opere d’arte più esplicite nel mettere in campo le più disparate pratiche sessuali, le differenze,  anche al limite della legalità e soprattutto è unico nel sottolineare il legame strettissimo tra corpo, sessualità e potere interno di una comunità, un tema che dovrebbe assumere una sempre maggior rilevanza all’interno del dibattito queer, anche perché si è cominciato, soprattutto negli ultimi anni, quando le comunità si sono ormai stabilizzate e uscite allo scoperto, a riflettere sui meccanismi di potere, controllo ed emarginazione che sono presenti nella stessa comunità queer, rompendo così l’illusione di una comunità di pari, dove tutti sono liberi e rispettati alla stessa maniera. Questa infatti non è altro che una falsa rappresentazione, poiché, per assurdo che possa sembrare in una comunità di non volontariamnte emarginati, le dinamiche di potere riproducono in scala le stesse gerarchie della società emarginante: maschilismo, patriarcalismo, emarginazione del diverso.

Già Pasolini aprì spazi di autenticità che nel corso del tempo si sforzò di mantenere o considerare aperti: dal villaggio friulano alle borgate romane, dal mondo medioevale ai territori incontaminati dell’Africa e dell’India, rivelano la propria illusorietà sotto la spinta di una irresistibile omologazione.

#ElHorno è importante anche per un altro motivo, perché è una rappresentazione visuale molto efficace di un tipo di immaginario erotico abbastanza comune all’interno della comunità queer, ma a tutt’oggi stigmatizzato e sul quale il dibattito è ancora fortemente concitato [all’estero, perché in Italia se ne parla ancora meno, come per tutte le cose riguardanti o percepite come riguardanti esclusivamente il sesso].

Tuoni e anche qualche fulmine.
L’aria sposta le nubi compatte con lentezza.
La pioggia sembra attenuarsi, ma poi subito riprende, ancora più forte.
Mi pare di dover aspettare in eterno.
Osservo i campi appena fuori: una terra viva circonda questo cimitero, viva e verdissima.
È singolare come questo pensiero, nella normalità delle cose, sfugga: attorno alla morte regna la vita.
La morte è il cuore della vita, il suo nucleo.
Essa alberga al suo interno e scopro che la sensazione di pace, che spesso si associa al concetto di ‘non esistenza’ fisica, non è poi tanto distante da noi, ma è addirittura ‘dentro’ di noi.

Troppo sesso narrato per accorgersi che, al”interno della narrazione, si finisce per giustificare in nome di un ideale estetico, quella stessa esclusione dei ceti subalterni dallo sviluppo storico, che ha costituito, da sempre, il punto di forza delle classi al potere, approdo al vagheggiamento di una società pre-sesso, un azzeramento della Chiesa restituita al suo ruolo tradizionale che non sia di guida politico-culturale del popolo e magari, con la chiusura dell’istruzione e l’abolizione della televisione, si facilitasse il ritorno a una perduta semplicità di vita.

Un coinvolgimento in un preciso luogo fisico, tutto il dolore del mondo, quanto un progetto incompiuto, stravolto già dal linguaggio, una sessualità quasi post-atomica, contagiata e contagiante.

Su questi binari si muove molto dell’immaginario erotico e non è incomprensibile perché per la comunità queer questo sia un argomento spinoso: nella mentalità di molti, soprattutto in Italia, gli omosessuali sono ancora considerati dei ‘deviati’ o dei ‘malati’, è dunque logico che una comunità abituata a difendersi continuamente cerchi di allontanare il più nettamente la possibile confusione con una malattia come l’AIDS [così tanto legata al sesso precario e occasionale, una malattia che ha così presa nella coscienza collettiva della comunità queer].

Spesso cerco e guardo, sperimento cose per cercare di trovare qualcosa che probabilmente non ho ancora capito… e, mi rendo conto che, per quanto lo si possa studiare o meglio “analizzare”, non sarà mai abbastanza come del resto testimoniano ancora alcuni articoli… non quelle robe sui gusti sessuali, in quanto a me non m’importano per nulla, anzi… chi si ferma solo a simili idiozie, vuole dire che non è in grado di apprezzare tutto il valore culturale fatto anche da Foucault ne la “Storia della sessualità”.

Ricordate la storia di quell’uomo senza dignità che, oramai è costretto a rubare ogni palmo d’amore nella sessualità più sfrenata e fremente? lo sfruttatore di affetti che per farsi mantenere in vita la divora agli altri, anche se per pochissimo?

Una storia che dipinge uno spaccato di vita attraverso le vicissitudini di un uomo vile.

La periferia di una città compressa nel suo proprio sviluppo, i “nuovi quartieri” coi locali gay che spazzano via quei microcosmi di abitazioni posticce… una città che non conosce ancora un termine alla sua espansione urbana; poi lo struggente e tragico finale che lui, Skeeen, in un certo senso, aveva quasi previsto… il tutto accompagnato da una musica sacra, disco a palla, a cui fa da contraltare l’ambiente grezzo dei locali… insomma, lavoro che non a caso è stato ignorato da ogni casa editrice.

Spero, con tutta la mia passione, non solo che il libro piaccia, quando uscirà, ma che mi si aiuti e mi s’incoraggi ad affrontare una simile impresa di discussione sulla sessualià con affetto, specialmente all’interno della comunità stessa.

Litorale, è l’alba, spiaggia deserta, prime luci del mattino, giace un corpo, senza vita, corpo devastato e sfigurato. Ho pianto, lo giuro, durante il tg. Si tratta dell’ultima sceneggiatura.

Senza scendere in un’analisi dettagliata che occuperebbe troppo spazio in questa sede, va anche ricordato che #ElHorno rappresenta molti elementi, segnali, al di là dell’elemento psicologico, come la presenza di legacci in pelle e museruole, l’umiliazione dei presenti costretti a rimanere nudi, il gioco di ruolo, l’inversione di genere fino a spingersi nel campo delle parafilie vere e proprie [la necrofilia, ancorché soltanto immaginata, la coprofagia, l’urofilia].

Ascolto il silenzio totale, fitto.

Porno per piretro è come dire una miccia odiosa e orgiastica. Un tremendo accumulo di organi sessuali.
Tutto questo conduce dritto dritto a #ElHorno, senza ritorno. Chi con affetto mi segue, lo sa. Conosce lo scandalo e la fuga, tratta il personaggio di Skeeen, la rappresentazione estrama di una sessualià, con una delicatezza incomparabile, talvolta trasformandolo in un personaggio persino troppo delicato, molto immaturo e quasi abulico di sesso, mentre dal testo risulta un personaggio molto più forte, dipingendone l’ambiguità nella sessualità [pur se le modalità con cui il protagonista si difende dalle accuse rivoltegli sembrano un po’ troppo spesso didascaliche e rendono il dialogo inverosimile].

Nota:
Utilizzo il termine ‘queer’ per semplice comodità, per definire l’insieme di individui che si riconoscono e si autodefiniscono all’interno della comunità non-eterosessuale. Sono d’ altro canto consapevole che questa terminologia in Italia è ancora dibattuta; il suo utilizzo in questa sede non ha uno scopo politico, ma solo di sintesi, non dover ripetere ogni volta né sigle ancor più controverse, come LGBT, LGBT+ ecc. né limitarsi alla categoria ‘cultura omosessuale’, che, secondo me, è fortemente restrittiva.
Per questo contributo mi sono concentrato soltanto su un aspetto dell’eredità queer sapendo benissimo che è molto più vasta e complessa; di conseguenza la prospettiva qua adottata è necessariamente parziale. Tuttavia ritengo innegabile che la tematica della sessualità queer e in un certo senso la prospettiva e l’esperienza queer (pur arrivando fino agli estremismi) abbia grandissima rilevanza e anzi ne costituisca un elemento importante. Vorrei che se ne aprisse un dibattito sincero senza esclusioni e falsi perbenismi.

 

 

 

 

 

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giovedì 22 giugno 2023

un saluto è un saluto


Fabio Galli 00

Col nickname “Bo Summer’s” ho raccontato un mondo a parte. Un minuscolo e miserrimo universo parallelo. Tutte le voci, le intenzioni, gli intendimenti, le parodie sono state come remixate in un piccolissimo e annoiatissimo teatro di volti rifratti, con la nenia romanzesca di un poetucolo minore, ormai scordato dal mondo letterario e mai entrato decisamente a farne parte veramente, che narrava, inascoltato quasi, ogni volta, con suono querulo e petulante, obbedendo esclusivamente e caparbiamente all’ispirazione della sua sessualità disinvolta e mai tradita e poi ancora s’arrabattava a confessare con affanno, quasi masochisticamente, al primo lettore che mai gli capitasse a tiro, il proprio sesso felicissimo, le proprie depravazioni risolte, le proprie trasognate avventure erotiche, a volte addirittura rocambolescamente realizzate, le livide striature del suo corpo e del suo animo divelti che sono come marchi d’una fin troppo assaporata e privilegiata cattiveria desiderata.

E poi ancora e ancora chiacchiere, quasi come miasmi frenetici e famelici avventori di un locale estremo che sempre più assomiglia ad un rutilante e perpetuo vortice dell’inutilità e del provvisorio, sguardi senza estetismi o bovarismi, trabocchi urticanti di parole non si sa se realmente ascoltate e veramente dette da qualcuno, e poi ancora quasi sogni d’incubo, allucinazioni verbali, risate chiassose, racconti esilaranti di sesso con sconosciuti e vero sesso XXX RATED, e in tutto questo carnaio d’approssimazioni ci sono le roboanti e imperdibili RECENSENDA e MEMORANDA, che paiono scritte da un seguace di un’irriverentissima religione aliena quasi dimenticata dall’intero universo e lasciata lì a marcire sepolta – per propria volontà, parrebbe – tra corpi seminudi, traslucidi, rivestiti di pelle o gomma, in una realtà che declina verso l’estrema finzione, nello sfumare tra la grazia e la sapienza di una tribù che persiste nella propria sopravvivenza in una fisicità da deserto delirante e assoluto fino all’estrema unzione.

Ma #ElHorno è stato l’evento che ha scatenato la narrazione. Con una scrittura e volte senza fiato, senza punteggiatura, come quando si inala eccessivo popper, si narra delle acrobazie mentali di Skeeen per giustificare una sessualità fuori dal pregiudizio. Una festa terribilmente Anni ’80, dove il timore e la credenza che l’AIDS siano una invenzione del nemico, danno il la alla più estrema concezione del sesso per il sesso. Tutto viene giustificato e incasellato, in questo libro, con teorie sessualmente scorrette che rasentano il barbaro tentativo di una sublimazione celeste. Combattere la morale contraddittoria che da un lato spinge alla vergogna e dell’altro mercifica il sesso e traspone i corpi come meglio crede, come più gli comoda, li banalizza rendendoli accettabili “con la nostra mostra invece proponiamo, come un antidoto, ironia, disubbidienza, piacere, desideri e un bel ’ffanculo a tutti”.

 

E ancora il concetto, tipico di quegli anni, all’inizio del contagio dell’AIDS: “questa malattia che è una invenzione dei media per attaccarci e non lasciarci la nostra libertà animale… e via, e via, i casi sono rari, non è come la descrivono la situazione in America, non è vero che la gente muore, io guardo prima una persona, si capisce se uno sta male o no”, dice e affonda. Si racconta della prima dichiarazione d’amore per Godz “adesso ho come la certezza che la vergogna non mi spingerà più a barcollare come contro la mia volontà, a stendermi per terra, con il viso nascosto nella neve, oppure osando a malapena guardare il cielo: Godz lo amo”. E se in una mente turpe nascesse un sentimento? Qui se ne sonda il concetto con una consapevolissima affabulazione soporifera ed ipnotica. Le continue visione dell’uomo appeso alla sling e la voceincorsivo di Nina Hagen che parla ad ogni fist che parte. È un atto d’amore e anche noi, quando cerchiamo d’imparare che cosa significhi amare, non finiamo per perderci nella riflessione che pensa intorno all’amore? non perdiamo tempo pensando di amare invece di amare? Un loop continuo, un fist infinito sulle nostre sling mentali? Ma sul nostro cammino cade lenta, costantemente, una luce che illumina il nostro amore. Dalla festa alla descrizione dello stupro. Passo breve, “come colpito da un flashback. Da credere che l’uomo è come circondato… e via, e via, più che picchiarlo sembra che voglia fargli sentire proprio il contatto del suo corpo, delle sue mani, dei suoi palmi caldi contro la pelle chiara del viso.

Bo Summer ha narrato la nascita del fetish, il voyeurismo, il trimmer, goldenshower… e di altre amenità.

 

Si è tentata una narrazione “forte”, stratificata, scritta solo per anime sensibili… ma la realtà spesso supera la fantasia. Diviene così una qualche logica, il vero, ciò che è possibile, le virgole di rosata luce che caricano il pianto, l’incantato discorrere, gli stessi fatti preoccupanti, la malattia incombente e l’incombente amore, il sesso estremo e l’estremo razionalizzare il pensamento del protagonista: le cose prendono forma, anche distrattamente ma prendono una forma: tutto serve per grazia o per volontà, smette d’essere sapienza, storia o profezia. Smette d’essere scrittura. E smette di scrivere.

 

In mezzo a tutto questo, sesso a dispersione, come un colpo al cuore, come se la malattia non esistesse, come se l’AIDS fosse solo una tremenda immaginazione, un fatto di scimmie e San Francisco. Pieni Anni ’80.

 

E poi ancora le frasi profetiche che nessuno ha letto: ma se mi lascio trascinare dallo zelo del fedele sguardo del mio raccontare, finisco con l’accusarmi di secondi fini, che non ho, per darmi l’apparenza dell’uomo sincero che certo non cerca di risparmiarsi le umiliazioni: non è quindi per il piacere di intrattenerti su me stesso che parlo, e neppure per esibire le belle nottate di una volta, il gran sipario della mia mestissima follia! Di questo solo beandomi placidamente. È proprio vero che, seppure illuminato dalla bellezza, io ho pronunciato un voto per il quale ero tenuto da quel momento ad osservare un mesto e dignitoso silenzio. Sono dunque una specie di tristo spergiuro?

 

E in tutto ciò sono cominciate le mie narrazioni visionarie.

 

Questo luogo dello scrivere, dal quale un pubblico deluso si è allontanato da molto tempo alzando le spalle. Già mi sento chiedere come negli anni si sia potuto dimenticare di trascrivere proprio quello che è più significativo o comunque più piccante in questo luogo, ovvero il brusio di nomi d’arte e di battaglia… ne avreste trovati tantissimi, se solo mi si fosse letto, uno spassosissimo elenco. Un nemmeno occultato omaggio a Jean Genet.

 

Mentre balli o ti aggiri, incontri sempre qualcuno che ti chiede “stai bene?”, a risposta affermativa tira un sospiro di sollievo, ti sorride o ti abbraccia e si ferma a chiacchierare un po’, non hai bisogno di essere uno strafigo per poter partecipare all’empatia generale, dopo un po’ tutte le endorfine si stimolano da sole al ritmo dei corpi che si palpano anche del tutto senza rendersene conto, gli americani l’hanno chiamata AIDS (Aquired Immune Deficiency Sindrome) ed è un flagello che sta sterminando morti da un capo all’altro del continente, rilevata per la prima volta in un gruppo di omosessuali di Los Angeles è stata battezzata cancer gay, in realtà il cancer gay è stato poi scoperto anche ad Haiti e poi è approdato in Europa e non solo fra i gay, ma ancora nessuno ci crede: “Hei!, creatura!!, non crederai alle notizie delle tele!”.

 

Tutto si dipana nel convincimento dell’enorme differenza e nell’aver trovato giusto motivo di esaltarsi per quanti sacrifici vengano poi consumati in nome della scrittura e quanto orrore e fretta e castigo poi e punizione nella felicità e negli incontri di luce ma non altro pare potrebbe giustificare tutti i comportamenti e le manie e le estenuanti ricerche.

 

Nel mezzo del vasto fiume delle cose, non far nulla, imparare a vedere ed ascoltare. Nel mezzo della strada vuota del non fare più nulla, una linea bianca va rimpicciolendo in fondo, sulla superficie livida e ghiacciata dell’asfalto di una vita dissoluta, zebrata da chiazze di neve di sperma.

 

“Scusa non potresti rimetterti quel copricapo da tartaro che avevi prima? Ma non l’ho più, è andato via, l’ho disfatto, non ti guardare sempre indietro, la vita cambia continuamente, guarda quanti altri bei copricapi ho”. Perché anche i poeti, a un certo punto della loro esistenza, scrivono narrazioni? Il corpo fatale di tutti quanti gli orgasmi è in tutte le storie diventa primario e disturbante. E ci siete anche voi, a modo vostro, naturalmente. Col vostro “chissenefrega”. Andarsene non è sfuggire: il desiderio sia luce nel corpo di tutti. Chi ricorda certe crudeltà espresse, qui troverà pane per i suoi denti, qualcosa che ormai non esiste più nelle attuali quotidianità. Il pane delle parole, appunto, il prezzo dato ai pensieri di cui si ha bisogno, di cui avete ancora necessità, anche a costo di strappi e colpi, viaggi imbarazzanti, descrizioni di bellezze sessuali su cui ci si può eccitare senza temere alcun pericolo. Il pericolo congenito degli eventi, intendo.

 

È come vivere in un paesaggio dell’emozione, una regione superiore dell’amore definitivo, proprio dove si scavano sepolcri eternamente vuoti, quando la metamorfosi fisica finale conferisce qualche tratto di nobiltà. Questa è la vera passione: scrivere, per sempre, anche inascoltati, non pubblicati. Ognuno può scrivere, bene o male, può scrivere: bella e nobilissima concezione della sessualità!, quindi perdere l’equilibrio, cadere faccia avanti e non poter fare altro, quindi taccio, adesso, taccio perché sono sfinito da un tale eccesso: queste parole, queste parole, tutte quante queste parole, senza vita, che sembrano perdere perfino il senso del loro suono spento.

 

Se è vero che la loquacità cresce fino alla più folle esaltazione davanti al consenso o alla contraddizione, essa resiste però molto onorevolmente anche di fronte all’indifferenza e alla noia.

 

Tanto io sono un uomo reale? O un’ombra? Oppure nulla, assolutamente nulla? Ho acquistato spessore per il solo fatto di avervi parlato a lungo? Mi immaginate dotato di altri organi oltre alla lingua? Vi è possibile identificarmi con il proprietario della mano destra che sta per toccarvi il capezzolo sinistro con la punta delle dita? Come saperlo? Non aspettatevi che denunci da solo chi sono io.Tutto vuoto intorno rimane lo scenario.

 

Della mia storia passata di scrivente, pochi sanno, pochi sapevano e pochi sapranno. Ma ora qualcosa di tutto questo mio scrivere passato e presente è ritornato come a dire: Signore e Signori sono ancora qui. È stato un buon tempo, questo, per questa mia narrazione che in tutto il periodo della sua stesura, che è durata 10 anni quasi, ha avuto non poche difficoltà e rifiuti. E qui chiude. Altre cose ho già in cantiere, troppo silenzio ho subito.

Uno grazie speciale a chi ha creduto che questa mia storia fosse possibile renderla pubblica con questa edizione e che mi ha ospitato nemmeno pensandoci un attimo, su di un portale che stimo, mettendoci la faccia, dandomi ancora voce.

Grazie alla pazienza di Max, e alla silenziosa presenza del Capo. Non mi hanno mai censurato un solo rigo. Mai. Probabilmente mi sono più censurato da solo di quanto non lo abbiano fatto loro.

Gaiaitalia.com mi ha dato una seconda occasione di esistere con Bo Summer, la terza non l’avrò.

Un grazie a chi mi ha letto ma anche a chi proprio non mi ha preso, nemmeno minimamente, in considerazione spiegandomi, sottilmente, che di talune cose si può fare tranquillamente senza e sopravvivere in un’orgia di voci più quotidiane.

 

Ricordo a tutti che, a nome di Bo Summer, non ho fatto soltanto narrativa ma ho cercato di fare critica costruttiva interna al movimento LGBT. Ma “chissenefrega”, appunto.

 

Un grazie a tutti. E a Ymo.

bo summer’s

 

 

 

 

Fabio Galli, curatore dell’opera omnia di Bo Summer, è stato redattore della rivista “Poesia” (Crocetti editore). Ha pubblicato: prima, nella storia, ancora, Bandecchi e Vivaldi editori, 1995;

Balli e Canti, edizioni Pulcinoelefante, 1993; Caròla, Crocetti editore, 1992; Impura, edizioni Tracce, collana I campi magnetici, 1986; Melancholia, versione da Paul Verlaine, edizioni l’Obliquo, 1992 (ripubblicata con una nota introduttiva da www.gaiaitalia.com qui e qui; Il saggio Di una lettura di The Waste Land, è apparso su Post scriptum, Aprile 1988 (ripubblicato da www.gaiaitalia.com qui.

 

Suoi versi sono apparsi, con vari pseudonimi, tra la metà degli anni’80 e gli anni’90, su riviste quali Alfabeta (con presentazione di Antonio Porta), Poesia (antologizzato da Milo De Angelis in “I poeti di trent’anni”), TracceVia LatteaOfferta Speciale.

Alcune poesie sono incluse nell’antologia Trame della parola (la nuova poesia degli anni ’80) a cura di Antonio Spagnuolo, edizioni Tracce, 1985 e nel volume A Marino per Moretti, casa Moretti, 2000.

 

A metà degli Anni ’90 è stato direttore responsabile della rivista “Mix, viaggiare attraverso altre culture”, C&A edizioni, Monza.

 

Di lui non si sa più nulla

 

(6 luglio 2014)

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