sabato 4 gennaio 2025

monologo (Forse il tempo si misura in parole)

Forse il tempo si misura in parole, nelle parole che si dicono e in quelle che non si dicono, e non v’è dubbio che tra i detti e i non detti si estenda un abisso simile al fondo oscuro dell’oceano, un luogo che pare immobile e invece vibra di un’energia silenziosa e devastante, perché ogni parola pronunciata è come una pietra lanciata in uno stagno, un cerchio che si espande, un’eco che risuona e si perde, ma ogni parola taciuta è un macigno che cade nel cuore e vi resta, un peso che cresce con il tempo, diventando un monumento al rimpianto, una cattedrale di ombre e sospiri in cui ognuno di noi vaga smarrito, cercando risposte che non verranno mai, perché il tempo, se davvero si misura in parole, allora non è né lineare né ciclico, ma fratturato, spezzato da silenzi che urlano e da discorsi che si rincorrono senza mai trovare un compimento, come quei sogni dove corri verso qualcosa che si allontana sempre di più, e così ci convinciamo che parlare significhi possedere il tempo, piegarlo alla nostra volontà, ma le parole dette si dissolvono nell’aria come fumo, e il tempo le divora, mentre quelle non dette restano, aggrappate alla carne, ai pensieri, alle viscere, e si fanno veleno, rimpianto, malattia, e allora ci accorgiamo che il tempo non è che un gioco crudele, un despota invisibile che si diverte a misurare la nostra vita in frasi, in confessioni mai fatte, in sguardi che avrebbero potuto essere colmi di verità e invece erano muti per paura o per orgoglio, e in tutto questo caos di suoni e silenzi, il tempo non si arresta mai, ci costringe a camminare, a trascinarci tra parole che si intrecciano come rami spinosi e silenzi che si fanno sabbie mobili, e più tentiamo di sfuggirgli, più ci troviamo intrappolati, come insetti in una ragnatela, prigionieri di noi stessi, perché alla fine il tempo non è altro che il riflesso di ciò che non abbiamo avuto il coraggio di dire, di quelle parole che avrebbero potuto salvare, cambiare, distruggere, e invece giacciono sepolte sotto il peso della nostra vigliaccheria, ed è qui che il tempo ci mostra il suo volto più spietato, perché non si misura con gli orologi o con le stagioni, ma con l’infinita distanza tra ciò che è stato detto e ciò che è rimasto sospeso, tra il fruscio delle foglie di un autunno che non tornerà e il battito del cuore che si spezza ogni volta che ci chiediamo cosa sarebbe successo se avessimo avuto la forza di parlare, di riempire quel vuoto con una sola, fragile, insignificante parola.