"Cruising" (1980) è un thriller psicologico diretto da William Friedkin e interpretato da Al Pacino, che esplora il mondo del cruising gay sadomaso di New York alla fine degli anni ’70 attraverso gli occhi di un giovane poliziotto sotto copertura. Il film, ispirato a un romanzo di Gerald Walker e a veri casi di cronaca, suscitò polemiche ancora prima della sua uscita, a causa della sua rappresentazione del mondo omosessuale, considerata da molti stereotipata e pericolosa.
Oggi "Cruising" è un cult movie, non solo per la sua estetica e per l’atmosfera tesa e ambigua, ma anche per il suo status di documento storico di un'epoca in cui la sessualità gay si viveva in modo clandestino e libero al tempo stesso, poco prima che l'AIDS cambiasse radicalmente la percezione della comunità LGBTQ+.
Le origini del film: tra romanzo e cronaca nera
Il film prende ispirazione dall’omonimo romanzo "Cruising" (1970) di Gerald Walker, che racconta la storia di un poliziotto incaricato di infiltrarsi in una sottocultura gay newyorkese per indagare su una serie di omicidi. Tuttavia, il regista William Friedkin modificò radicalmente la storia, rendendola molto più inquietante e ambigua.
Oltre al romanzo, Friedkin si ispirò a veri episodi di cronaca nera avvenuti a New York negli anni ’70, quando alcuni uomini gay furono ritrovati uccisi dopo incontri sessuali anonimi. Uno dei casi più noti fu quello di Paul Bateson, un tecnico radiologo che aveva lavorato con Friedkin ne "L'esorcista". Bateson fu arrestato per l’omicidio di un giornalista e sospettato di aver commesso altri crimini contro uomini omosessuali, anche se non furono mai provati.
Friedkin, sempre attratto dalle storie di criminalità urbana e dalle zone più oscure della società, decise di esplorare il tema in un film che avrebbe mostrato un lato della vita gay raramente rappresentato sul grande schermo. Tuttavia, il suo approccio documentaristico e la scelta di focalizzarsi esclusivamente su ambienti legati al sesso estremo scatenarono polemiche sin dall’inizio.
Trama: un'indagine che diventa un viaggio nell'ignoto
Steve Burns (Al Pacino) è un giovane poliziotto di bell’aspetto e dall’aria ingenua, che viene scelto dal capitano Edelson (Paul Sorvino) per un’operazione sotto copertura. Qualcuno sta uccidendo uomini gay che frequentano i bar S&M del Meatpacking District, e la polizia ha bisogno di un agente che possa infiltrarsi in quell’ambiente per attirare il killer.
Burns accetta il caso, attratto dalla possibilità di ottenere una promozione, ma presto si rende conto che la missione sarà più complessa del previsto. Deve cambiare il suo modo di vestirsi, adottare un linguaggio e un atteggiamento credibili, e soprattutto passare inosservato tra uomini che vivono liberamente la loro sessualità in un contesto di dominazione e sottomissione.
Frequentando locali come il Mineshaft e il Ramrod, il giovane agente si trova immerso in un universo di pelle, catene e desideri proibiti, tra uomini mascolini e misteriosi che lo scrutano con interesse o sospetto. Inizialmente si mantiene distaccato, ma lentamente qualcosa inizia a cambiare in lui.
Mentre le indagini proseguono, Burns diventa sempre più inquieto. Il suo rapporto con la fidanzata Nancy (Karen Allen) si fa teso: lui è assente, distante, quasi incapace di riconoscersi. Il confine tra il suo ruolo di poliziotto sotto copertura e la sua vera identità diventa sempre più sfumato. Si insinua il dubbio: è solo il peso della missione a logorarlo, o sta scoprendo qualcosa di se stesso che non vuole ammettere?
Quando finalmente la polizia individua un sospetto, Stuart Richards (Richard Cox), uno studente solitario e represso, la tensione raggiunge l’apice. Ma il film non offre certezze: è lui il vero assassino? E se lo fosse, i crimini sono davvero finiti?
Il finale, volutamente ambiguo, lascia lo spettatore con molte domande senza risposta. Un’ultima scena insinua che la violenza potrebbe non essere stata fermata e che il confine tra preda e predatore, tra poliziotto e criminale, tra eterosessualità e omosessualità, sia molto più sottile di quanto sembri.
Le proteste e le critiche della comunità LGBTQ+
Sin dall’inizio delle riprese, il film fu contestato dalla comunità gay newyorkese. Molti temevano che "Cruising" rafforzasse stereotipi negativi, dipingendo il mondo omosessuale come un luogo di perversione, violenza e morte.
Attivisti LGBTQ+ organizzarono proteste nei pressi dei set, cercando di sabotare le riprese con fischietti e riflessi di luce che interferivano con le inquadrature. Alcuni manifestanti denunciarono che il film rappresentava solo una fetta estrema della comunità, ignorando la realtà di tante persone gay che vivevano relazioni normali, lavoravano e combattevano per i propri diritti.
Il film venne censurato in diverse nazioni, e Friedkin fu costretto a eliminare molte scene per evitare un divieto totale. La MPAA chiese numerosi tagli, rendendo il montaggio finale ancora più criptico e disturbante.
L'interpretazione enigmatica di Al Pacino
Uno degli aspetti più affascinanti del film è la performance di Al Pacino. Il suo Steve Burns è un personaggio sfuggente, enigmatico, mai completamente decifrabile. I suoi silenzi, i suoi sguardi, la sua gestualità suggeriscono una tensione interiore che va oltre la semplice paura per il pericolo.
Pacino non ha mai parlato molto del film, e alcuni sostengono che non fosse del tutto soddisfatto del risultato finale. Tuttavia, la sua interpretazione aggiunge un ulteriore livello di ambiguità alla storia, contribuendo al fascino inquietante del film.
La rivalutazione del film e la sua eredità
Con il passare degli anni, "Cruising" è stato progressivamente rivalutato. Se all’epoca fu percepito come omofobo e irresponsabile, oggi viene anche considerato un’opera audace, capace di esplorare il desiderio represso e l’identità sessuale in modo disturbante e provocatorio.
Molti registi successivi si sono ispirati a "Cruising": Gaspar Noé ne ha ripreso l’estetica in "Irreversible", Nicolas Winding Refn ha citato le atmosfere notturne e violente in "Drive", e persino Brian De Palma ha inserito elementi simili in "Vestito per uccidere".
Oggi il film viene visto anche come un documento storico: mostra una New York pre-AIDS, quando il sesso gay era vissuto in modo libero e sfrenato, prima che l’epidemia cambiasse tutto.
"Cruising" resta un film scomodo, ambiguo e disturbante. Non offre risposte facili, ma lascia lo spettatore con un senso di inquietudine e domande irrisolte. È un thriller, un viaggio psicologico e una riflessione sul desiderio, sulla paura e sull’identità. Un film che, a più di quarant’anni dalla sua uscita, continua a far discutere e a inquietare chi lo guarda.
I retroscena del film:
I retroscena del film (tutto ciò che non si dice, non si racconta o si preferisce dimenticare, ma che spesso rivela più della pellicola stessa)
Il film "Cruising" nasce da un contesto già di per sé intriso di polemiche e ambiguità. Tratto dall’omonimo romanzo del 1970 di Gerald Walker, giornalista del "New York Times", il libro prende ispirazione da una serie di omicidi realmente avvenuti nella comunità leather gay di New York, un mondo clandestino e sconosciuto alla maggior parte del pubblico mainstream. Walker, con il suo romanzo, non si limitava a raccontare una storia di crimine, ma esplorava anche le sfumature di identità e desiderio che si agitavano dietro le porte delle dark room.
L’idea di adattarlo per il cinema attirò inizialmente il produttore Philip D'Antoni, noto per il successo di Il braccio violento della legge. Fu lui il primo a tentare di coinvolgere un giovane Steven Spielberg, che all'epoca si stava facendo strada a Hollywood, ma nessuno studio si dimostrò interessato. Il soggetto era troppo rischioso, il pubblico troppo impreparato. L’industria cinematografica, ancora scossa dagli effetti della censura e dalla pressione delle associazioni conservatrici, non voleva investire in un film che trattasse apertamente il sottobosco gay della New York degli anni ‘70.
Fu allora che entrò in scena il produttore Jerry Weintraub, che propose il progetto a William Friedkin. Friedkin, reduce dal successo planetario de L'esorcista, era un regista noto per il suo interesse verso storie crude e ai limiti del sistema. Ma inizialmente non si mostrò interessato: forse percepiva il pericolo di un tema così divisivo, forse temeva la reazione della comunità gay o, più probabilmente, intuiva che il film sarebbe stato difficile da controllare sotto il profilo produttivo e narrativo. Tuttavia, alla fine accettò la sfida, affascinato dal lato oscuro della vicenda e dalla possibilità di esplorare un mondo mai visto prima sul grande schermo.
Una volta salito a bordo, Friedkin aveva le idee chiare: per il ruolo del protagonista, il giovane poliziotto infiltrato nel circuito dei locali gay sadomaso per indagare sugli omicidi, voleva Richard Gere. L'attore, emergente ma già noto, aveva il physique du rôle ideale: un mix di sensualità, ambiguità e un fascino androgino perfetto per incarnare un personaggio che si muove su un confine labile tra eterosessualità e attrazione repressa. Ma la produzione aveva un'altra strategia: voleva un nome di peso, un volto che potesse attirare un pubblico più ampio. E la scelta cadde su Al Pacino.
Pacino, già consacrato dal successo de "Il padrino', "Serpico" e "Quel pomeriggio di un giorno da cani", era un attore intenso, meticoloso, abituato a calarsi in personaggi complessi. Ma la sua visione del ruolo entrò presto in contrasto con quella di Friedkin. Sul set, il rapporto tra i due fu difficile: Pacino trovava il film confuso, non capiva fino in fondo le motivazioni del suo personaggio e, soprattutto, si sentiva fuori posto in quell’universo sotterraneo e febbricitante che il regista voleva ricostruire con autenticità quasi documentaristica.
A rendere il clima ancora più teso contribuì la reazione della comunità gay newyorkese, che si sollevò contro la produzione fin dall'inizio. Temendo che il film dipingesse il mondo omosessuale come perverso e violento, attivisti e membri della comunità leather organizzarono proteste, boicottaggi e perfino incursioni sul set. Le riprese furono interrotte più volte da manifestanti che cercavano di sabotare le scene con fischietti e megafoni. Friedkin, da un lato, cercava di rassicurarli, sostenendo che il film non fosse omofobo, ma dall’altro difendeva la sua visione artistica, convinto che il ritratto di quel mondo fosse necessario e onesto.
Alla fine, quando il film fu montato e pronto per l’uscita, Al Pacino si dichiarò insoddisfatto del risultato finale. Forse si era reso conto che la narrazione ambigua lasciava troppo spazio a interpretazioni pericolose, o forse semplicemente non si riconosceva in un film che gli era sfuggito di mano. Fatto sta che si rifiutò categoricamente di partecipare alla promozione. Niente interviste, niente conferenze stampa, niente apparizioni pubbliche. Nei decenni successivi, "Cruising" rimase uno dei pochi film della sua carriera di cui evitò di parlare, quasi fosse un capitolo imbarazzante da dimenticare.
Eppure, nonostante le critiche e le controversie, il tempo ha dato al film uno status di culto. "Cruising" è diventato un'opera simbolo: disturbante, imperfetta, ma coraggiosa. Un film che ha segnato un’epoca e che, ancora oggi, continua a suscitare discussioni, a interrogare il pubblico e a rimanere un unicum nel panorama del cinema americano.
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