Jean Starobinski, critico, filologo e storico della cultura tra i più acuti del XX secolo, ha lasciato un’impronta indelebile negli studi umanistici grazie alla sua straordinaria capacità di analizzare testi, simboli e dinamiche culturali con un approccio rigoroso e interdisciplinare. Il suo saggio "A piene: dono fastoso e dono perverso", pubblicato nel 1994, affronta un tema apparentemente semplice, ma che in realtà è carico di implicazioni sociali, filosofiche, religiose e psicologiche: il dono.
Starobinski parte da una constatazione universale: il dono è un gesto profondamente radicato nella storia dell’umanità, presente in tutte le culture, epoche e contesti. Dall’offerta rituale agli dèi nelle religioni antiche fino alla beneficenza moderna, dalle pratiche del mecenatismo rinascimentale alle dinamiche del mercato contemporaneo, il dono si presenta come un atto di generosità, ma nasconde sempre una dimensione ambigua, un doppio volto che lo rende al tempo stesso un atto di libertà e un meccanismo di vincolo e subordinazione.
Il titolo stesso del saggio gioca su questa ambivalenza: a piene mani suggerisce un gesto di generosità senza limiti, di abbondanza e prodigalità, mentre dono perverso allude alla capacità del dono di celare un’intenzione nascosta, di trasformarsi in un obbligo, in un debito, in una forma sottile di dominio. Attraverso un’analisi che spazia dalla filosofia alla letteratura, dall’antropologia alla teologia, Starobinski mostra come il dono non sia mai completamente disinteressato, ma implichi sempre un rapporto di forza, una relazione che può essere tanto armoniosa quanto conflittuale.
Il dono nella società: la triade dare, ricevere, restituire
Uno dei punti di partenza fondamentali del saggio è il celebre Saggio sul dono di Marcel Mauss, pubblicato nel 1925, in cui il sociologo francese dimostrava come nelle società tradizionali il dono fosse regolato da una dinamica precisa e strutturata in tre fasi: dare, ricevere, restituire. Il dono, lungi dall’essere un atto gratuito e spontaneo, crea una relazione vincolante tra chi dona e chi riceve, una relazione che può essere di solidarietà, ma anche di dipendenza e obbligo.
Starobinski riprende questo modello per mostrarne le implicazioni nella storia della cultura occidentale. Se nelle società arcaiche il dono era una pratica rituale che regolava i rapporti tra individui e comunità, nelle epoche successive è diventato uno strumento di potere e affermazione sociale. Pensiamo alla pratica del potlatch, diffusa tra le popolazioni indigene della costa nord-occidentale del Pacifico: qui il dono non era solo un gesto di generosità, ma una vera e propria competizione tra i capi tribali, che cercavano di superarsi l’un l’altro nella capacità di donare (e persino di distruggere) ricchezze, al fine di affermare il proprio prestigio e la propria superiorità sugli altri.
Questo meccanismo si ritrova anche in ambito politico: nella Roma imperiale, per esempio, gli imperatori praticavano la largitio, distribuendo doni al popolo (grano, denaro, feste e spettacoli) per consolidare il proprio consenso e ribadire la loro autorità. Ma anche nel Medioevo e nel Rinascimento il dono era un elemento chiave della società: i sovrani e la Chiesa elargivano doni e benefici non solo per magnanimità, ma per sottolineare la loro superiorità e mantenere le gerarchie sociali ben definite. Il mecenatismo rinascimentale, per esempio, era un sistema in cui il dono serviva tanto a finanziare la produzione artistica quanto a vincolare gli artisti ai loro committenti.
Starobinski dimostra come il dono possa essere, quindi, un atto di libertà ma anche di costrizione. Se da un lato può creare legami di solidarietà, dall’altro può trasformarsi in uno strumento di potere e controllo.
Dono e potere: la generosità come strumento di dominio
Uno degli aspetti più affascinanti dell’analisi di Starobinski riguarda il modo in cui il dono è stato usato nel corso della storia per esercitare il potere. Il dono, infatti, non è mai completamente disinteressato: chi dona si aspetta sempre qualcosa in cambio, che sia gratitudine, riconoscenza, fedeltà o sottomissione.
Un caso emblematico è quello degli aiuti internazionali: spesso presentati come gesti di solidarietà tra nazioni, questi doni nascondono in realtà strategie politiche ben precise. Un paese che riceve aiuti economici o militari si trova inevitabilmente in una posizione di dipendenza nei confronti del donatore, che può esercitare su di esso un’influenza politica ed economica. Questo dimostra come il dono possa diventare una forma di soft power, una strategia sottile di dominio che si esercita attraverso la generosità piuttosto che con la coercizione.
Lo stesso meccanismo si ritrova nel mondo del mecenatismo culturale. Le grandi fondazioni e istituzioni che finanziano progetti artistici, accademici o scientifici non lo fanno solo per amore della cultura, ma spesso per affermare la propria influenza ideologica, ottenere vantaggi fiscali o consolidare la propria immagine pubblica. Il dono, dunque, è sempre inserito in una logica di scambio, anche quando appare completamente gratuito.
Il dono nell’arte e nella letteratura: creazione e sacrificio
L’arte e la letteratura sono ambiti in cui il dono assume una dimensione particolarmente intensa e drammatica. L’artista è colui che dona la propria opera al mondo, spesso senza ricevere nulla in cambio. Tuttavia, questo dono può essere rifiutato, frainteso o addirittura trasformarsi in una maledizione.
Pensiamo a Vincent Van Gogh, che ha lasciato in eredità un immenso patrimonio artistico senza ottenere in vita il minimo riconoscimento. O a poeti come Baudelaire e Rimbaud, il cui talento è stato un dono tanto straordinario quanto doloroso, un dono che li ha condannati all’emarginazione e all’incomprensione.
Anche la letteratura è piena di esempi di doni ambigui e pericolosi: nel Faust di Goethe, Mefistofele offre a Faust giovinezza e conoscenza, ma a un prezzo altissimo. Nel Re Lear di Shakespeare, il re decide di dividere il regno tra le figlie come un dono, ma questo gesto si rivela un tragico errore, che lo porterà alla rovina.
Starobinski ci mostra come il dono, anche quando nasce da un impulso di generosità e creazione, porti sempre con sé una tensione: chi dona si espone, si mette in gioco, si assume un rischio. E il dono, in quanto tale, può essere accettato, rifiutato o addirittura tradito.
Un’opera fondamentale per comprendere il paradosso del dono
"A piene mani: dono fastoso e dono perverso" è un saggio affascinante che costringe il lettore a ripensare il significato di un gesto che consideriamo naturale e spontaneo. Con una prosa elegante e un approccio multidisciplinare, Starobinski svela le insidie e le ambivalenze del dono, dimostrando come dietro la generosità si nascondano sempre dinamiche complesse di potere, vincolo e aspettativa.
Un libro imprescindibile per chiunque voglia approfondire il rapporto tra dono, società e cultura, e un’ulteriore dimostrazione della straordinaria capacità di Starobinski di illuminare le zone d’ombra della condizione umana con lucidità e raffinatezza.
Il dono come fondamento della civiltà
Jean Starobinski, con la sua consueta lucidità e vastità di riferimenti culturali, in "A piene mani: dono fastoso e dono perverso" costruisce un’analisi profonda e sfaccettata del dono, mostrando come questo gesto apparentemente semplice sia in realtà una delle strutture fondamentali della civiltà umana. Il dono è presente ovunque: nella religione, nell’arte, nella politica, nelle relazioni sociali, eppure non è mai un atto unidirezionale. È sempre un atto che lega due persone, due gruppi, due comunità, spesso in modi inaspettati e talvolta pericolosi.
Se nel mondo antico il dono era regolato da precise norme sociali, come il do ut des latino o l’etica dell’ospitalità greca, nel mondo moderno il significato del dono si è frammentato. Da un lato, il dono sopravvive nelle istituzioni filantropiche, nel volontariato, nelle forme di aiuto umanitario; dall’altro, è stato in parte inglobato dalle dinamiche capitalistiche, trasformandosi in uno strumento di marketing e fidelizzazione. L’ambiguità del dono è proprio questa: si muove tra gratuità e obbligo, tra generosità e manipolazione.
Il dono nella tradizione religiosa: tra sacrificio e grazia
Starobinski dedica ampio spazio al ruolo del dono nelle religioni, in particolare nel cristianesimo, nel giudaismo e nelle culture sacrali antiche. Uno degli aspetti più evidenti è la connessione tra dono e sacrificio: nell’Antico Testamento, il sacrificio animale è un’offerta a Dio, un dono che stabilisce un patto tra l’uomo e il divino. Anche nel mondo greco e romano, il sacrificio aveva la funzione di placare le divinità, di assicurarsi il loro favore, dimostrando che il dono religioso non è mai davvero gratuito, ma implica sempre un ritorno.
Il cristianesimo introduce un’idea nuova di dono: la grazia divina è gratuita e non può essere comprata né meritata. Tuttavia, come nota Starobinski, questa apparente gratuità genera un paradosso: se Dio dona la salvezza senza condizioni, chi la riceve si sente in debito, obbligato a vivere secondo un modello di purezza e santità. È il dilemma della teologia protestante: la salvezza è un dono, ma il credente è comunque spinto a dimostrarsi degno di essa.
Questo tema ha profonde implicazioni nella letteratura. In "I fratelli Karamazov", Dostoevskij esplora il peso psicologico del dono divino attraverso la figura di Ivan, che rifiuta un mondo costruito sulla sofferenza e sulla grazia incomprensibile di Dio. Anche in "Il grande inquisitore", il dono della libertà dato da Cristo all’umanità si trasforma in una maledizione, perché gli uomini non sanno cosa farne e preferirebbero esserne privati.
Il dono nell’economia e nella politica: tra mecenatismo e potere
Un altro aspetto cruciale che Starobinski esplora è la funzione politica ed economica del dono. Come aveva già evidenziato Marcel Mauss nel suo "Saggio sul dono", nelle società tradizionali il dono è regolato dalla triade dare, ricevere, restituire. Questo ciclo garantisce la coesione sociale, ma introduce anche una gerarchia: chi dona per primo assume una posizione di potere, perché chi riceve deve ricambiare e quindi entra in una forma di dipendenza.
Nel mondo politico, questa logica è onnipresente. Nell’antica Roma, gli imperatori distribuivano denaro e grano alla plebe con la pratica della largitio, rafforzando così il loro consenso. Nel Rinascimento, il mecenatismo non era solo una forma di sostegno alle arti, ma un modo per costruire alleanze, vincolare gli artisti ai potenti, consolidare il proprio status sociale. Michelangelo, Leonardo, Raffaello, tutti hanno lavorato sotto il patrocinio di papi e principi, e sebbene il loro talento fosse indiscusso, il loro destino era legato ai loro benefattori.
Nell’epoca moderna, il dono è diventato una strategia economica. Le aziende regalano campioni gratuiti per fidelizzare i clienti, le grandi fondazioni finanziano eventi culturali per rafforzare la loro immagine pubblica, le potenze globali offrono aiuti economici a paesi più deboli per esercitare influenza politica. Il dono, dunque, è sempre un’arma a doppio taglio: può essere uno strumento di solidarietà, ma anche un mezzo di controllo e subordinazione.
Il dono e la psicoanalisi: la generosità come forma di potere
Starobinski si sofferma anche sulla dimensione psicologica del dono, analizzandone le implicazioni attraverso la lente della psicoanalisi. Freud, in "Totem e tabù", suggeriva che il dono avesse radici profonde nella psiche umana, legandolo al senso di colpa e al desiderio di riparazione. Quando doniamo, spesso lo facciamo per placare un senso di colpa inconscio, per espiare un’ingiustizia, per bilanciare una relazione affettiva.
Jacques Lacan, invece, vedeva nel dono un atto profondamente ambiguo: chi dona esercita sempre un potere sull’altro, perché chi riceve si trova nella posizione di dover accettare o rifiutare, di dover rispondere. Il dono, quindi, non è mai innocente: può essere un gesto d’amore, ma anche un atto di manipolazione.
Nella letteratura, questa dinamica emerge in numerosi romanzi. In "Papà Goriot" di Balzac, il protagonista sacrifica tutto per le figlie, ma il suo dono si trasforma in una maledizione, perché le figlie si allontanano da lui, incapaci di sopportare il peso della sua dedizione. In "La leggenda del santo bevitore" di Joseph Roth, il protagonista riceve un dono inaspettato, ma il suo senso di colpa e la sua incapacità di accettarlo lo condurranno alla rovina.
Il dono e il tempo: un ciclo infinito
Starobinski conclude il suo saggio con una riflessione sul tempo del dono. Il dono non è mai un atto istantaneo, ma un processo che si sviluppa nel tempo: chi dona si aspetta un ritorno, chi riceve deve decidere quando e come ricambiare. Questo crea un legame che può durare anni, decenni, persino secoli.
Nella cultura giapponese, la pratica del dono è regolata da un rigido codice temporale: se si riceve un regalo, è obbligatorio ricambiare entro un certo periodo, con un dono di valore simile. Nella cultura occidentale, il dono di un’idea, di una scoperta, di un’opera d’arte può essere ricambiato anche a distanza di secoli, attraverso il riconoscimento, l’interpretazione, la celebrazione.
Il dono, insomma, è un nodo che lega passato, presente e futuro. È un atto che sembra gratuito, ma che costruisce relazioni, vincoli, aspettative. In "A piene mani: dono fastoso e dono perverso", Starobinski ci offre una riflessione magistrale su questo paradosso, dimostrando che il dono è uno dei motori nascosti della storia, della cultura e della psiche umana. Un libro imprescindibile per chiunque voglia comprendere le dinamiche sottili e affascinanti che regolano il nostro mondo.
Il dono nell’arte e nella letteratura: creazione, appropriazione e riconoscenza
Uno degli aspetti più affascinanti che Jean Starobinski esplora in "A piene mani: dono fastoso e dono perverso" è la relazione tra dono e arte. L’atto creativo può essere considerato un dono? Gli artisti donano la loro opera al mondo o, al contrario, la impongono, aspettandosi riconoscenza e gloria? La risposta, come sempre in Starobinski, è ambigua e sfaccettata.
Nel mondo classico, la creazione artistica era spesso associata al concetto di dono divino: il poeta era un tramite tra gli dèi e gli uomini, ispirato dalle Muse. Nell’Odissea, Demodoco, il poeta cieco, canta le gesta degli eroi senza alcuna pretesa di ricompensa, come se il suo talento fosse un’offerta spontanea. Ma questa idea romantica dell’artista come “dono per l’umanità” è stata spesso sovvertita: già Platone, nella "Repubblica", vedeva la poesia come un potenziale pericolo, qualcosa che poteva essere usato per sedurre e manipolare.
Starobinski sottolinea come la gratuità dell’arte sia sempre illusoria. Anche i grandi mecenati del Rinascimento non finanziavano artisti per pura generosità: il loro investimento serviva a costruire prestigio e immortalare il proprio nome. Michelangelo e Leonardo da Vinci lavoravano su commissione, e la loro libertà creativa era spesso subordinata ai desideri dei committenti. Lo stesso si può dire di Shakespeare, che scriveva per il teatro commerciale, o di Balzac, che produceva incessantemente romanzi per sfuggire ai creditori.
Eppure, esistono esempi di arte che si configura davvero come dono: pensiamo a Vincent van Gogh, che donava i suoi dipinti al fratello Theo senza mai aspettarsi un ritorno economico, o a Emily Dickinson, che scriveva poesie destinate a rimanere nascoste nei cassetti, senza alcuna volontà di pubblicarle. Anche in questi casi, però, il dono non è del tutto disinteressato: Van Gogh dipingeva con la speranza di essere riconosciuto, e Dickinson, pur nella sua solitudine, desiderava che la sua opera fosse letta un giorno.
Un altro aspetto interessante che Starobinski indaga è il ruolo della dedica nelle opere letterarie. Nei secoli passati, dedicare un libro a un principe o a un mecenate non era solo un gesto di omaggio, ma un vero e proprio scambio: l’autore offriva il suo lavoro in cambio di protezione, fama o sostegno economico. Ancora oggi, le dediche mantengono un valore simbolico: quando uno scrittore dedica un libro a qualcuno, sta compiendo un atto di riconoscenza, ma anche di legame, creando una sorta di vincolo affettivo e culturale.
Il dono e l’amore: seduzione, obbligo, possesso
Se c’è un ambito in cui il dono diventa un’arma potente, è quello dell’amore. Starobinski dedica pagine illuminanti alla dinamica del dono nelle relazioni affettive, mostrando come l’atto di donare possa essere tanto un gesto di generosità quanto uno strumento di potere e controllo.
Nella letteratura amorosa, il dono è spesso un simbolo di seduzione. In "Madame Bovary", Charles regala gioielli a Emma nella speranza di conquistare il suo cuore, ma il suo dono non fa altro che sottolineare la sua inadeguatezza rispetto agli amanti più passionali. In "Le relazioni pericolose", la marchesa di Merteuil e il visconte di Valmont usano il dono come strumento di manipolazione: lettere, fiori, promesse vengono usate non per dare, ma per intrappolare l’altro in un gioco di potere.
Ma il dono amoroso non è sempre una strategia di conquista: può anche essere un’ossessione, un mezzo per possedere l’altro. In "L’amante di Lady Chatterley", il protagonista, Clifford, incapace di dare amore fisico alla moglie, cerca di compensare con doni materiali, quasi a voler comprare la sua fedeltà. Anche in "Il grande Gatsby", Gatsby inonda Daisy di regali, nel tentativo disperato di riconquistarla, dimostrando come il dono possa diventare una forma di compensazione per un amore impossibile.
Starobinski mette in evidenza anche il lato oscuro del dono amoroso: il ricatto affettivo. Quando un partner offre qualcosa con l’aspettativa implicita di ricevere in cambio amore o fedeltà, il dono si trasforma in una gabbia. Questo è il caso estremo della dote nelle società tradizionali: ciò che dovrebbe essere un dono per la sposa diventa invece un obbligo, un pegno che la vincola al marito.
Il dono nella società contemporanea: tra consumo e resistenza
Uno degli aspetti più originali del saggio di Starobinski è la sua analisi del dono nella società moderna, dominata dal capitalismo e dalla logica dello scambio. Se nelle culture tradizionali il dono serviva a creare legami comunitari, oggi sembra essere stato sostituito dal consumo: ciò che un tempo era gratuito è stato mercificato, e la gratuità stessa è diventata sospetta.
Pensiamo al modo in cui le aziende usano il dono come strategia di marketing: campioni gratuiti, offerte speciali, cashback, regali aziendali. Nulla è davvero gratuito: ogni dono commerciale ha lo scopo di fidelizzare il cliente, di spingerlo a comprare di più. Anche nel mondo digitale, il concetto di gratuità è ambiguo: le piattaforme online ci offrono servizi “gratuiti”, ma in cambio ottengono i nostri dati, trasformando la nostra attenzione in merce di scambio.
Ma esistono ancora forme di dono autentico? Starobinski guarda con interesse al fenomeno del dono collettivo, che si manifesta in movimenti come il software open source, Wikipedia, o il volontariato sociale. In questi contesti, il dono non è più un atto individuale, ma un processo condiviso, in cui la comunità crea e distribuisce valore senza aspettarsi un ritorno immediato.
Un esempio interessante è il crowdfunding: persone che donano denaro per progetti artistici, scientifici o sociali senza alcuna garanzia di successo. In un’epoca in cui tutto è mercificato, il crowdfunding rappresenta una forma di dono spontaneo, un tentativo di sovvertire la logica del profitto per sostenere la creatività e l’innovazione.
Conclusione: il dono come specchio della società
Jean Starobinski, con la sua straordinaria capacità di intrecciare filosofia, letteratura, antropologia e psicoanalisi, ci mostra come il dono sia molto più di un semplice gesto di generosità. È uno strumento di potere, un vincolo sociale, un’arma di seduzione, un atto di fede, una forma di resistenza contro la logica del mercato.
In "A piene mani: dono fastoso e dono perverso", il dono emerge come una forza ambivalente: può unire le persone, ma anche dividerle; può creare legami sinceri, ma anche manipolare e controllare. E soprattutto, il dono non è mai solo un gesto isolato: è sempre parte di un sistema più grande, che riflette le tensioni e i valori di una società.
Alla fine della lettura, ci rendiamo conto che ogni volta che doniamo qualcosa – un regalo, il nostro tempo, un’opera d’arte – stiamo partecipando a un gioco millenario di dare e ricevere, di libertà e obbligo, di generosità e potere. Un gioco che definisce chi siamo e come ci rapportiamo agli altri.