giovedì 28 agosto 2025

Edward Carpenter, o della disobbedienza amorosa. Sesso, classe e utopia tra corpo vissuto e rivoluzione silenziosa


“L’umanità ha fame di affetti liberi, di una tenerezza che non chieda permesso,
di una nudità che non sia umiliazione ma promessa.”


Nel tempo dell’industrializzazione feroce e dell’ipocrisia vittoriana, fra i vapori tossici di Sheffield e le liturgie severe di un’Inghilterra ancora irrigidita nei suoi codici morali e sociali, Edward Carpenter compiva — senza proclami, senza retoriche — una delle più singolari rivoluzioni della modernità: una rivoluzione che non passava per le barricate, ma per i corpi. Non per le istituzioni, ma per gli abbracci. Non per i manifesti politici, ma per le vite condivise. Era una rivoluzione fatta di gesti lenti, di orti, di sandali, di pagine scritte a mano e di carezze proibite. Una rivoluzione amorosa, sessuale, spirituale. Una rivoluzione che aveva il profumo della terra, del sudore, della tenerezza.


L’anomalia incarnata: nascere borghesi, diventare liberi

Edward Carpenter nasce nel 1844 a Hove, nel Sussex, in un’Inghilterra che ancora si specchiava compiaciuta nei suoi imperi coloniali e nei suoi codici penali. Terzo figlio di un banchiere, riceve un’educazione conforme: studia a Brighton e poi a Cambridge, dove si specializza in matematica. Ma sotto la superficie, qualcosa fermenta. Non è un genio ribelle, né un ribaltatore teatrale dell’ordine. È qualcosa di più inquietante: un uomo in ascolto. E ciò che sente, dentro e fuori di sé, è che l’intero sistema su cui si regge la sua società — lo sfruttamento del lavoro, la repressione dei desideri, l’odio verso la differenza — è non solo violento, ma falso. Irreale. Disumano.

Dopo aver preso gli ordini minori come ecclesiastico anglicano, si avvicina progressivamente al pensiero di Walt Whitman, il grande cantore americano del corpo, del maschile, del desiderio fraterno. È proprio da questa attrazione spirituale e sensuale che nasce un carteggio intensissimo, che dura anni e trasforma Carpenter. Whitman diventa per lui un faro: non tanto un maestro da emulare, quanto una chiamata a inventare un nuovo modo di vivere. Da quel momento in poi, tutto cambia. Carpenter lascia l’istituzione religiosa, rifiuta ogni carriera accademica, si immerge nello studio del sanscrito, del pensiero indiano, della Bhagavadgītā. E poi, ancora più decisivo: lascia la città. Sceglie la campagna. La vita comunitaria. Il lavoro manuale.


“Viviamo in ciò che amiamo”: Sheffield, la terra, il desiderio

È a Millthorpe, nei pressi di Sheffield, che Carpenter trova la forma concreta del suo pensiero. Qui si costruisce con le proprie mani una casa semplice, coltiva la terra, ospita amici, viandanti, artisti. Qui può finalmente amare. È qui che incontra George Merrill, un giovane operaio cresciuto nei quartieri più poveri della città, con il quale inizia una relazione che durerà tutta la vita. Nessun contratto, nessuna necessità di ufficialità. Ma un’intimità quotidiana, una vita vissuta come coppia, come famiglia, in pieno disprezzo delle norme sociali.

Ciò che colpisce nella figura di Merrill non è solo la sua biografia, ma il fatto che Carpenter non lo consideri mai “inferiore”, né da istruire né da salvare. Merrill diventa partecipe pieno dell’utopia vissuta. La loro unione — un borghese erudito e un lavoratore non alfabetizzato — sfida non solo l’idea vittoriana dell’amore, ma l’intero sistema classista inglese. Come scriverà Carpenter ne Il sesso intermedio:

“È evidente quanto spesso gli Uraniani di buona educazione siano attratti da tipi più rozzi… e spesso nascono in questo modo alleanze molto durature che […] hanno un’influenza decisiva sulle istituzioni sociali, sui costumi e sulle tendenze politiche.”

Qui emerge chiaramente il cuore della sua filosofia: l’eros omosessuale come strumento di sovversione, di mescolanza, di rottura dei confini tra caste e classi. In questo senso, Carpenter anticipa sia i movimenti libertari queer sia l’ecofemminismo, sia le comunità alternative del secondo Novecento, dai pacifisti americani agli squatter di Christiania.


Scrivere la libertà: una filosofia a piedi nudi

La sua opera è vasta, ma non sistematica. Carpenter non fu mai un accademico, né un teorico nel senso canonico del termine. La sua filosofia nasce dal vivere, non dall’astrarre. Towards Democracy (1883), il suo primo capolavoro, è un poema mistico e politico che canta l’interdipendenza tra gli esseri viventi. È un Vangelo laico. Love’s Coming of Age (1896), invece, esplora la sessualità non come peccato o diritto, ma come possibilità di liberazione personale e sociale.

Con The Intermediate Sex (1908), Carpenter dà uno dei primi contributi fondamentali alla storia della sessualità moderna. Anticipando Kinsey e Foucault, teorizza l’esistenza di “tipi intermedi” tra uomo e donna, e denuncia la costruzione culturale delle identità sessuali. Ma sempre con uno stile semplice, accessibile, radicalmente non elitario.

Ne Civilisation: Its Cause and Cure (1889) affronta invece la malattia delle società moderne: la sovrastruttura della città, della proprietà, della competizione, del patriarcato. La civiltà, scrive Carpenter, non è un’evoluzione, ma una malattia. La cura? Tornare alla semplicità, all’interiorità, alla sensualità del quotidiano. La cura è l’Eros.


Una genealogia silenziosa: da Forster a Gandhi, da Mieli a Butler

Carpenter non creò una scuola. Non fondò movimenti. Ma esercitò un’influenza trasversale e potente. E.M. Forster, che lo frequentò a lungo, si ispirò a lui per Maurice, uno dei primi romanzi omosessuali in lingua inglese. D.H. Lawrence ne recuperò l’intensità mistica e sessuale nei suoi scritti più visionari. Mahatma Gandhi lo visitò nel 1908: ne rimase profondamente colpito. Si dice che Carpenter sia stato una delle fonti principali dell’idea gandhiana di Swaraj (autogoverno), fondato sull’etica individuale e la comunità spirituale.

Negli anni Settanta, Mario Mieli ne riprese — con rabbia e ironia — le intuizioni erotico-politiche, reinterpretandole in chiave marxista. Judith Butler, pur senza citarlo direttamente, sembra proseguire la sua genealogia, quando afferma che il genere è performativo e l’identità sessuale un campo di lotta.


Un pensiero ancora pericoloso

Carpenter è stato dimenticato proprio per la sua pericolosità. Troppo mistico per i marxisti, troppo socialista per i religiosi, troppo omosessuale per gli eterosessuali, troppo spirituale per i materialisti. È un autore che sfugge, che non si lascia ingabbiare. Forse è per questo che oggi lo si riscopre con lentezza, con rispetto, con quel senso di stupore che si prova davanti a qualcosa di profondamente familiare ma dimenticato: come un profumo, un ricordo, un’utopia sepolta.

La sua visione non si limita alla liberazione degli individui, ma riguarda la trasformazione dell’intera struttura del vivere. Il suo sogno non era solo quello di poter amare liberamente, ma che quell’amore generasse una nuova economia dell’affetto, una nuova politica dei corpi, una nuova etica della coesistenza.

In Carpenter, la tenerezza è già insurrezione.


Epilogo: un’eredità che germoglia

Edward Carpenter muore nel 1929, sette anni dopo la scomparsa di George Merrill. Nessuna lapide celebrativa, nessun mausoleo. Ma nelle comunità queer, nei giardini autogestiti, nei collettivi transfemministi, nei testi performativi, nelle danze nudi sotto la luna, la sua voce — dolce, vibrante, gentile e radicale — continua a risuonare.

Le sue parole, oggi, non ci chiedono di seguirlo, ma di immaginarlo ancora. Di ritrovarlo tra le pieghe della realtà, nelle pratiche piccole, negli amori non normati, nei gesti che rifiutano la gerarchia. Carpenter ci insegna che la rivoluzione è un bacio dato in silenzio. Un tè offerto senza aspettativa. Un desiderio vissuto come scelta di mondo.

E allora non basta conoscerlo. Bisogna vivere con lui.
Leggerlo, sì. Ma soprattutto abitarlo.

Come una casa aperta, come un campo da coltivare, come un amore da difendere.