Come far poesia? cancellando il linguaggio della poesia? molto difficile scrivere poesia: presuppone una sintesi di pensiero sulla realtà che rischia di sfociare in qualcosa di già sentito. La poesia non si pone domande e non presuppone nulla che non sia ciò che deve essere detto. Nominato. E nominare in poesia significa ricreare il mondo. Rinominarlo. Ridargli forma.
Se deve essere detto e viene detto allora è poesia.
Chi decide che “deve essere detto”? Il poetante crede sempre che ciò che dice debba essere detto e siccome la risposta non può essere la poesia stessa, ma una riflessione antipoetica-teorica su di essa, la domanda sul dire (cosa?) esclude la possibile risposta, quindi la poesia.
Ciò che deve essere detto si stabilisce fra me che lo dico e tu che lo senti come se fossi tu a dirlo. Il poetante è colui che si illude che l'altro da sé stia sorridendo perché sente come suo quello che gli viene detto, quando invece è un sorriso di scherno.
Ma la mia domanda è retorica. Io non mi chiedo cosa sia la poesia ma “perché la poesia?” e ne indico una delle molte vie per praticarla. Quanto al “tu” che lo sente come se.. stuoli, torme di lettori ingenui incensano pessimi poetanti perché “sentono come se fossero loro a dire”.
Schiller ha scritto un illuminante saggio: Della poesia ingenua e sentimentale. Lì c'è la risposta, “slogamento” del linguaggio (Joyce, Dedalus).
Cancellare il linguaggio della poesia significa ciò che fa avvertire una sequenza di parole e pause come veri poetici? Quindi rime e assonanze, posizione degli accenti, a capo, lunghezza sillabica della riga, figure retoriche, ecc. oppure di cosa trattiamo?
Metrica, prosodia e retorica non sono esclusive della poesia (anche le canzonette e la comunicazione ordinaria si servono di quegli elementi) già molti anni fa Contini disse che Orelli faceva poesia rifiutandone il linguaggio. Ipertrofia dell'io, alta temperatura liturgica, lirica e canora, distanza siderale da ogni movenza prosastica, parole e oggetti privilegiati, ritenuti “poetici”. Trovo comunque nelle parole di Contini un non se che di ineffabile che lascia spazio a considerazioni di gusto personale (quando un “io” è ipertrofico? Quando la temperatura è “alta”? Ecc.) e in ogni caso le condivido.
Il lirismo è il lirismo: tutti sanno cosa sia. Le movenze prosastiche: idem. L'“io” ipertrofico se è ipertrofico. Azzerare l'io è la direzione contraria (quella da me auspicata).
Come fare poesia il linguaggio della poesia?