“da qui si vede la terra”,
batte le ciglia “è la vita
umana, il tempo
passato sulla strada
nel deserto ne distrugge
la fede, anche se essa,
necessità delle migrazioni,
durasse lunghissimi anni,
non sarebbe che un istante
rispetto alla possibilità
di raggiungerla: la durata
della vita non conta” e
vivere per narrare la propria
gloria ma ha raggiunta
la terra? l’ha veduta?
non raggiunge, non vede, non perché
il tempo non basta, non perché
l’angelo della morte glielo sottrae:
perché la sua vita è umana,
senza meta, senza termine fisso:
le sue correnti non assumono flussi
[30.08.1985]
.. è impossibile, credo, ottenere risposta sulla giusta via ma l’inganno che la nostra condizione impone, ci dice che è possibile chiede, poiché il chedere stesso presume che la distanza (deserto) sia percorribile, che possa esserci meta.
Ma forse la domanda non è una domanda (ma ha raggiunta / la terra? l’ha veduta?) poiché risponde a se stessa sul nascere (da qui si vede la terra) o non potrà mai trovare risposta (la sua vita è umana. Senza meta).
Non ci sono distanze tra chi domanda e chi riponde.. non ci sono distanze da superare nel tempo. Come domandare e aspettare se la vita non ci permette nemmeno di camminare verso (non raggiunge.. / perché la sua vita è umana)?
Eppure si domanda. La necessità della domanda è pari all’impossibilità della risposta. Il domandare e il rispondere non appaiono più come elementi di una stessa dimensione. La quotidiana abitudine di assumerli come unico contesto, l’inerzia che si spinge a collocarli in logica successione, si spezza. C’è uno spazio bianco, un baratro invalcabile, temibile, che può essere superato a fatica, gettando un esile ponte verbale ma altre quel mancamento, tutto si svuota nuovamente.
Insomma, il domandare e il rispondere diventano due termini incommensurabili. Non si chiede perché sia possible una risposta e neppure si chiede perché si conferisca un senso, uno scopo, un potere al chiedere. Si domanda soltanto. La verità del deserto è quella del domandare assoluto. La maestria delle migrazioni si trasforma in sconcertante maestria del domandare, dell’infinita articolazione, della minima variazione, del microscopico spostamento del problema come tale, in quanto solo problema..
[16.09.1985]
(6 maggio 2016)
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