#ElHorno fu oggetto, fin da subito, di un processo di occultamento dovuto alla sua stessa esistenza. La colpa non fu tanto del romanzo in sé quanto della vita disagiata, eremita e autocombustiva dell’autore stesso. Un’opera letteraria che gli editori cercavano di evitare accuratamente, dunque. Per dieci anni, quasi.
Bo Summer’s scrisse gran parte del marasma dell’opera mentre viveva lontano dalla sua città natale, appunti su fogli volanti, persi e ritrovati, biglietti del tram, blocchetti per annotazioni recuperati in ogni angolo, tra la fine degli Anni80 e la fine degli Anni90 del secolo scorso, dieci anni di riscritture continue, manipolazioni forsennate, incanti, incantamenti e biascicati blaterii. Tutto questo mentre molti dei suoi ex amici erano finalmente diventati famosi nell’ambiente letterario nazional-popolare: chi romanziere, chi direttore stimato di collane editoriali, chi traduttore d’opere omnie d’autori classici.
Altrettanti altri dieci anni ci vollero per trovare un editore che acconsentisse a dargli luce. Finalmente. Nel buco nero dell’infinito di internet. Là sigillato, ormai.
La narrazione, ambientata in una città fantasmagorica ed immaginifica che mai l’aveva accolto, che presenta le memorie e le allucinazioni dissociate di Skeeen, il narratore-protagonista, in preda ai sintomi di astinenza dall’eroe-romantico Godz, piacque forse per il suono rocambolescamente picaresco delle invenzioni lessicali, o forse per la meravigliata descrizione del libero amore. O fors’anche per le trafficate descrizioni di un ambiente popolato da devianti (famelici e animaleschi), parzialmente ricondizionati ad una presunta normalizzazione e simpatici, convinti della loro stessa deità.
Quindi Bo s’è scoperto essere lo scienziato che presta le proprie povere competenze linguistiche alla creazione di sistemi di controllo della sessualità più efficienti della violenza creativa perché il confine tra la realtà e l’allucinazione cade definitivamente quando e dove si vuole, se si vuole, e alla fine non si distinguono più i piani inventati da quelli reali. Tutto il processo della creazione artistica come una sorta di droga organica che si nutre della nostra psiche fino a portarci alla follia.
Crudeli scene da cinico, raccontate col ghigno: la scrittura di Bo Summer’s, in realtà, è un’estensione necessaria della sua vita, votata a descrivere campi inesplorati della psiche umana e a distruggere ogni tabù col suo magma letterario.
Qualuno tenterà l’impresa eccezionale e impossibile di trarne un pezzo teatrale, mischiando elementi biografici della vita dell’autore con personaggi e situazioni tratte dal libro, per raccontare l’inenarrabile con simboli: le macchine da sesso si trasformeranno in esseri parlanti, in mostri stupratori di maschie divinità oppure orride creature che, al premere, secerneranno liquidi, da escrescenze tubiformi, gemendo di piacere.
Scritto in buona parte con una tecnica di estremizzazione del concetto, di destrutturazione verbale, caratterizzato dal montaggio e rimontaggio di un testo in modo apparentemente caotico e visionario, con un tecnica mutuata dal cut-up, fino a generare un effetto allucinatorio che costringe il lettore a ricollegare in modo sensato frasi e parole, se non addirittura capitoli interi o tutta la storia stessa, affronta temi quali la morte, l’AIDS, il fetish, il contagio, il controllo dei sensi, senza che vi sia una apparente trama, solo qualche personaggio-simbolo ricorrente (il crudele mostro che s’aggira nei sotterranei del locale. La cantante postpunk che appare misticamente ad ogni fist subìto) che ci guida in un caleidoscopico mondo di orrore e violenza e amamento così alienato e ripugnante da risultare ancora oggi insuperato. Scusate l’ho scritto. Che se non lo scrivo io, chi altri?
La serie di scene che compongono l’opera può leggersi in qualsiasi ordine entrando da qualsiasi interstizio e scivolando nei meandri della paranoia, della degradazione e della perversione, per raggiungere alla fine il nulla orgasmico ed eiaculativo. L’apoteosi..
Tra esperienze visionarie predomina un’immaginazione allucinata, un universo irreale e distorto, una zona di mezzo, in cui il sesso e la dipendenza fisica dall’altro diventano metafore di satira sociale: tutta l’umanità è vittima di qualche forma di dipendenza, ed è diretta da controllori che manipolano l’algebra dei bisogni fisici e animaleschi per accrescere il loro potere controllandoli, pensando al matrimonio riparatore a salvezza di noi tutti. Una salvezza salvifica che non salva tutte quante le nostre insalvabili sessualità.
Una volontà civile dell’autore nel denunciare i soprusi del potere, la lobby medica sulle medicine, i moralisti sessuali e i danni della pace dei sensi, lo induce a scrivere un libro caustico col fine di demolire visivamente l’artificiosa apparenza di un mondo incatenato e reso schiavo, di cui lui vuole mostrare l’abissale degenerazione nella sublimazione del sesso.
Per via di questa originale forma stilistica, #ElHorno è stato recepito, di volta in volta, sia come un’espressione geniale sia come romanzo-spazzatura, perché scritto senza rispettare gli standard di prosa narrativa, con l’interruzione dei passaggi, disponendo i capitoli non seguendo altro ordine se non quello del flusso di un ordine alfabetico.
È sicuramente un libro importante per Bo Summer’s. E non solo. Un viatico per l’inferno a disposizione di tutti noi mostri scriventi che ci nutriamo di liquefazioni verbali che trascinano in una dimensione così allucinata e spaventosa che può sentire soltanto il rumore dei propri schemi mentali mentre vengono frantumati da una scrittura frenetica in cui, spesso, la punteggiatura è eliminata per lasciar sfogo ad un flusso ininterrotto di parole annichilenti.
Scrittura caotica, raccolta di pagine prive di una struttura precisa, schermo sul quale si susseguono le immagini di un mondo infernale. Questa febbrile descrizione della realtà. Un romanzo sconfinato che avrebbe fatto perdere la testa a tutti, se solo se ne fossero accorti, un semplice ritratto, una visione apocalittica di come l’umanità agirebbe se fosse completamente separata dall’eternità.
Se solo se ne fossero accorti, gli editori italiani ci avrebbero visto qualcosa, oltre ai loro sfatti orticelli ben coltivati.
Un’editoria afasica che non rivolge mai lo sguardo verso l’alto, verso l’ognidove se non per esalare l’ultimo rantolo di una vita massacrata dalle macchine di tortura fisica e mentale che il loro stesso sistema editoriale ha posto intorno a noi.