Non tornerò, Zacinto, alla tua culla,
ove il mio primo respiro si confonde
col fiato delle stelle e della zolla.
Là, dove il vento cinge le tue sponde
di carezze lievi e profumi eterni,
giacqui bambino, e il mare mi risponde.
Zacinto mia, nei tuoi silenzi alterni,
tra il canto delle onde e il grido lieve
dei gabbiani che danzano sui termini,
ho conosciuto il mondo, e nella breve
vita che il sole imprime sulle cose,
ho visto in te il divino che si beve.
Tu, madre e dea, che Venere compose
dalla tua spuma come un sogno ardente,
fosti principio, e il tempo in te si pose.
Lei, nata tra i tuoi flutti e la corrente,
aprì le sue pupille al tuo splendore,
e il mondo intero s’inchinò all’evento.
Dal mare emerse, come un lampo d’amore,
la sua figura, e il suo primo sorriso
mutò le isole in giardini e ardore.
E il tuo grembo, Zacinto, paradiso
che il cielo e l’acqua benedicon sempre,
dove ogni ramo è d’oro e ogni viso
riflette l’eterno che il fato tempera,
serba la gloria d’un’origine pura,
che nulla in terra potrà mai smentire.
Ma io, tuo figlio, preda d’una sciagura,
non tornerò al tuo abbraccio luminoso;
m’ha strappato il fato alla tua cintura.
Là dove il mare quieto e generoso
mormora miti e l’eternità canta,
ora s’alza un silenzio doloroso.
Come un’ombra errante, che mai si pianta,
io percorro rive fredde e indifferenti,
ove la terra né mi chiama né incanta.
Altro poeta, tra i flutti impellenti,
levò la voce, e il suo ritorno ai lidi
nativi rese eterno nei suoi accenti.
Ulisse, che alle onde crudeli e infidi
venti oppose il cuore e il suo destino,
giunse infine al suolo che l’avea tradito.
Lui, baciando la pietra del divino
luogo natio, trovò pace e radice,
mentre io, Zacinto, al nulla sono chino.
A me il ritorno è negato, e il capriccio
della sorte m’ha lasciato in un esilio
che non conosce confini né auspici.
E là dove il tuo cielo, chiaro e vermiglio,
accoglie ogni tramonto con dolcezza,
sarò polvere dispersa dal consiglio
di una terra straniera, senza brezza
che mi rammenti il tuo abbraccio caldo;
sarà un sepolcro senza carezza.
Ma tu, Zacinto, resto saldo
nella memoria che i miei versi intrecciano,
ché nulla può scalfire il tuo smalto.
Il mio nome svanirà tra le braccia
del tempo, come foglia che si frange,
mentre il tuo sarà eterno e senza macchia.
Eppure, io ti vedo: tra le spiagge
dei sogni, la tua immagine s’accende,
e il mio cuore, anche lontano, ti abbraccia.
Non più toccherò i rami che si stende
nel vento lieve della tua dimora,
ma ogni mio canto a te ritorna e pende.
E quando il fato chiuderà quest’ora
che chiamiamo vita, e il mio corpo giaccia,
la tua memoria vivrà ancora.
Se il tuo destino è eterno, il mio si scaccia
nel nulla, dove il vento porta via
il ricordo, come il giorno in cui si schiaccia.
Zacinto mia, terra di poesia,
a te dono l’unico filo che mi resta:
il mio canto, che dal buio ti ravvia.