sabato 28 giugno 2025

Tipologie del visibile: l’arte di guardare oltre l’evidenza

Alla Fondazione Prada di Milano, fino al 14 luglio, si dispiega una mostra che sfida i nostri modi abituali di vedere: Typologien non si presenta come un’esposizione tradizionale, ma come una meditazione visiva, un laboratorio di percezione che interroga la struttura stessa del nostro rapporto con le immagini e con le forme del mondo. Qui, il concetto di “tipologia” viene decostruito e rigenerato: non più semplice metodo di classificazione, ma chiave poetica per attraversare il reale.

Sin dall’ingresso, lo spettatore è invitato a lasciar cadere ogni pretesa di neutralità. Non si tratta più di osservare da lontano, ma di entrare in una relazione intima con ciò che appare: volti, corpi, oggetti, frammenti vegetali o minerali, posture animali. L’occhio non è più strumento di dominio, ma luogo vulnerabile in cui le cose del mondo vengono a depositarsi come visioni. Lo spazio espositivo, essenziale ma calibrato con estrema cura, diventa un paesaggio mentale dove la serialità, invece di anestetizzare, produce stupore.

In questo scenario, ogni immagine non è soltanto documento o prova, ma soglia. Il dettaglio – ripetuto, variato, isolato – non conduce a una conoscenza definitiva, ma a una sospensione. Si assiste a una sorta di sacralizzazione del frammento: la foglia che si piega, il muso che si tende, l’oggetto che si torce sotto la luce diventano istanti di rivelazione. Qui la tipologia non mira al controllo del molteplice, ma al suo disvelamento. E nel susseguirsi delle immagini, la mente non si organizza: si perde, si espande, si interroga.

Non c’è un percorso da seguire, ma una trama da percepire. La mostra si sviluppa come una partitura visiva in cui le categorie – umano, vegetale, animale, inorganico – non separano ma intrecciano. L’effetto è sinestetico: le immagini sembrano avere temperatura, suono, odore. E l’osservazione, se accettata nella sua pienezza, non conduce alla conoscenza ma alla coscienza: una coscienza mobile, scossa, attraversata dal paradosso costante tra ciò che appare oggettivo e la sua inevitabile, irriducibile soggettività.

Typologien è dunque un’esplorazione dei modi in cui guardiamo e, insieme, un’educazione alla meraviglia. In un’epoca in cui tutto è visibile e nulla sembra più degno di uno sguardo prolungato, questa mostra ci invita a rallentare, a sostare, a guardare di nuovo. Ci chiede, in fondo, di disimparare per un momento la fretta del vedere, e di concederci – senza difese – all’intensità dell’apparire.

Il tempo in contumacia

Quando il tempo venne dichiarato in contumacia, le cose cominciarono a sfaldarsi in un silenzio pieno di lamento. Non c’era più ieri, né un domani al quale affidarsi come a un lenzuolo fresco. Rimanevano solo porzioni di presente, sbriciolate come cialde troppo friabili, amare in bocca, dolci solo a memoria.

All’inizio non lo notarono in molti. I più continuarono a vivere con l’automatismo degli orologi da polso, ma già le lancette si ostinavano a fermarsi su ore spurie: le tre meno otto, le undici e sedici e mezza, mezzogiorni lunghi tre sere. Nei villaggi, gli asinelli avevano cominciato a piangere. Non ragliavano: piangevano. Lacrime lente, oblique, che rigavano i musi come solchi nel terreno arato da un dio distratto. Le vecchie li accarezzavano con gesti antichi, chiamandoli per nome come si fa con i figli morti, o mai nati.

Il vento portava voci in disuso. "Le genti paniche", diceva qualcuno, "sono tornate". E davvero si vedevano, al crepuscolo, sagome danzanti nelle radure, corpi nudi e impauriti che ridevano con ferocia, poi si dissolvevano come polline. Qualcuno provò a seguirle, a chiedere spiegazioni, ma tornò muto o non tornò affatto.

Le ultime ragazze si raccoglievano al bordo delle fontane, con le unghie sporche di terra e gli occhi così fissi da sembrare statue. Nessuno le aveva cresciute. Nessuno sapeva da dove venissero. Alcune portavano bracciali fatti di ossa sottili, altre scrivevano parole sulle pietre. “Aspetta”, diceva una. “Resta”, diceva un’altra. Come se ancora si potesse, come se il tempo, sebbene accusato e condannato, stesse solo dormendo sotto i cardi in fiore.

O come se stesse sognando noi.