martedì 4 febbraio 2025

Il colosso di Ramses II: la grandezza eterna del Faraone dormiente

In un angolo silenzioso e quasi sospeso nel tempo, si trova una delle più straordinarie testimonianze della grandezza dell’antico Egitto: la colossale statua di Ramses II. Distesa in posizione prona, non per volere artistico ma per necessità di conservazione, questa scultura monumentale incarna la forza, l’ambizione e la visione eterna di uno dei faraoni più celebri della storia egizia. Ramses II, conosciuto anche come Ramses il Grande, regnò per ben 66 anni, dal 1279 al 1213 a.C., durante la XIX dinastia, conducendo l’Egitto a un’epoca di straordinaria prosperità e splendore architettonico. Questa statua, originariamente eretta con orgoglio nei pressi del tempio di Ptah a Memphis, fu concepita per celebrare la grandezza del sovrano e rendere tangibile il suo dominio sul regno e sull’universo.

La statua, alta in origine oltre 10 metri (33 piedi), raffigurava il faraone in piedi, con il tradizionale copricapo nemes e l’ureo, il cobra sacro simbolo della dea Wadjet, che si ergeva fiero sulla fronte, pronto a proteggere il sovrano e a incenerire i suoi nemici con il soffio del fuoco divino. La postura eretta e imponente del faraone, con le braccia lungo i fianchi e il petto prominente, rappresentava l’essenza stessa della regalità egizia: forza, eternità e una connessione indissolubile con gli dèi. Ogni dettaglio della statua era frutto di una concezione artistica intrisa di significati profondi e religiosi, che riflettevano la visione cosmica dell’antico Egitto.

La statua fu riportata alla luce nel 1820 dall’esploratore ed egittologo italiano Giovanni Battista Caviglia, durante una campagna di scavi nei pressi di Memphis, l’antica capitale che per secoli aveva dominato la scena politica e spirituale del paese. Quando i primi frammenti iniziarono ad affiorare dalla sabbia, fu subito evidente che ci si trovava di fronte a un’opera di eccezionale valore artistico e storico. Il busto, seppur frammentato, conservava intatti i tratti distintivi del faraone: il volto sereno ma autoritario, con le labbra appena curve in un lieve sorriso enigmatico, ricordava il celebre stile scultoreo che caratterizza i ritratti ufficiali di Ramses II.

Tuttavia, la statua non fu ritrovata integra. Grandi porzioni delle gambe e dei piedi erano mancanti, forse distrutte o riutilizzate nel corso dei secoli per costruzioni successive. Al momento della scoperta, la statua giaceva a pezzi, quasi come se il tempo e l’erosione avessero cercato di piegare, senza riuscirci, l’immagine immortale del grande faraone. Le difficoltà logistiche e tecniche legate alla sua ricostruzione resero impossibile l’erezione della statua in posizione verticale. Fu così deciso di collocarla in orizzontale, all’interno di un museo all’aperto vicino a Memphis, dove giace tutt’oggi, permettendo ai visitatori di ammirarla da vicino e cogliere l’incredibile finezza artistica che la caratterizza.

Questa statua non è soltanto un capolavoro scultoreo, ma anche una testimonianza tangibile del desiderio di Ramses II di eternizzare il proprio nome e il proprio potere. Durante il suo lungo regno, Ramses II si distinse per la realizzazione di innumerevoli monumenti, templi e statue, molti dei quali dedicati alla sua stessa figura. Tra i più celebri si annoverano i templi di Abu Simbel, con i loro colossi scolpiti direttamente nella roccia, e i giganteschi piloni dei templi di Karnak e Luxor. L’attività edilizia di Ramses II fu così vasta che il suo nome compare in quasi ogni angolo del paese, dalle piramidi del delta del Nilo fino alle remote terre nubiane.

La statua di Memphis, in particolare, riflette l’abilità straordinaria degli artigiani egizi, capaci di lavorare la pietra calcarea con una precisione che sfida il passare dei millenni. Osservando il volto di Ramses II, si può notare l’accuratezza con cui furono scolpiti i lineamenti: il naso diritto, le labbra carnose e leggermente sollevate, gli occhi profondi che sembrano scrutare l’orizzonte con una quieta consapevolezza. Questi dettagli, apparentemente semplici, racchiudono in realtà un significato più profondo, incarnando l’ideale del faraone come custode dell’ordine cosmico (Maat) e difensore del regno.

I geroglifici incisi lungo il busto e la base della statua raccontano episodi delle campagne militari di Ramses II, la più celebre delle quali fu la battaglia di Qadesh, durante la quale il faraone affrontò l’impero ittita in una delle più grandi battaglie dell’antichità. Le iscrizioni celebrano Ramses non solo come un guerriero invincibile, ma anche come un sovrano magnanimo e devoto, capace di stringere alleanze e di dedicare templi e offerte agli dèi. Ogni iscrizione scolpita sulla statua ha lo scopo di perpetuare la memoria del sovrano e di garantirgli l’accesso all’eternità.

Oggi, la statua di Ramses II a Memphis è una delle attrazioni più visitate del sito archeologico, attirando migliaia di turisti e studiosi ogni anno. La sua imponenza, sebbene in parte mutilata, continua a ispirare rispetto e meraviglia, fungendo da ponte tra il passato e il presente. Ramses II, attraverso quest’opera monumentale, continua a esercitare la sua influenza, incarnando il sogno dell’uomo di lasciare un segno indelebile nel corso della storia.

Guardare la statua di Ramses II è come intraprendere un viaggio nel tempo, un ritorno a quell’epoca in cui la pietra si faceva parola, testimone silenziosa di un’umanità che cercava di toccare l’eternità. La statua di Memphis è più di una reliquia: è il riflesso di una civiltà che, sebbene lontana, continua a vivere attraverso l’arte e la memoria che essa custodisce.