venerdì 26 maggio 2023

dialogo in versi


Criceto Ruota

Nonostante la scrittura poetica cerchi di stabilire una destinazione, come memento e fulcro di non intrusione reciproca con la realtà, essa, infine, supplica di essere rapita temporaneamente al proprio inevitabile destino mortale. Dunque, non si può concludere sbrigativamente che la poesia non sia sbilanciata verso l’uno o l’altra realtà: pare appropriato vedervi un’altalena dialogica che superi la parola e si congiunga nella risposta gestuale ai bisogni del dire [quando ancora, questi utii, riescono a sopravvivere].

 

Inizio scrivendo questo poiché qui si torna a cantare quale contestazione tanto impudente quanto filosofica, con la singolare, ostinata presa di posizione nei miei confronti.

 

Si tratta di un’operazione che s’intreccia in campo bianco o nero alternato, talvolta come replicato o differentemente ingigantito. Tutti quanti i soggetti del descrivere questo mio stato d’invisibilità forzata, sono come colti nella loro fisicità quotidiana, non abbrutita ma spogliata di qualunque bellezza tradizionale, lasciando emergere singoli dettagli della loro nudità animale, raccolta, desiata e non esibita.

 

Se ci limitiamo all’indagine scritturale, di questo scrivente, si può leggere il verso come una confessione metapoetica ed esistenziale che riporta a galla temi sprofondati, rispondendo agli interrogativi del poetare, comprendendola [la Poesia] per via delle solitudini gemelle del dire e del fare, come se vi si ritrovasse un tema  ricorrente lungo questo tempo senza fine, l’interminato viaggio più volte presentato in tono misticheggiante, con sanguinamento per avere il proprio pane quotidiano, la parola scritta che più non viene, la liberazione dal male di non essere letti, più, la chiusura col ricorrente appello al cuore allo strazio, l’assoluta regitrazione con la furia dei limiti da superare, lo sconvolgimento delle antinomiche dentro/fuori, su/in/oltre.

 

Dalla riconsiderazione del proprio passato, del continuo non ritornare a quella stessa condizione, riemerge la coesistenza di amore-odio per la scrittura. Ammessa la costante insoddisfazione, qui si avanza una richiesta di ricomposizione di un corpus poetico più intenso che in passato, nell’assoluta dimenticanza obliosa di chiunque abbia saputo. Che qualcuno lo facesse, sarebbe ora.

 

Sarebbe questa l’occasione per ricordare, almeno momentaneamente, il poeta, minore, sì, condividendo i versi che hanno suggellato l’amore osceno e sacro per la dimenticanza, sempre sospeso in tra l’ansia di ricomparire fisicamente. Con violenza.

 

Le domande e le risposte sul perché non si esiste più sono soltanto mie “fantasie uditive”, non si riappare dal vortice della memoria [da cui si risorge, soltanto per un attimo, con stremanti autocitazioni], si intuiscono dal contesto, dalle reazioni degli altri, da chi ha conosciuto, visto, letto quei versi, in quei tempi ma che non ha abbastanza forza per uscire dall’implicito affiatamento amicale e dire che sì quel poeta è davvero esistito.

 

Subentra, per chi scrive, ora, il ricordo della costrizione del godimento, qui esplicitata nel suo fingere di non avere voglia di scrivere, perché una tale finzione, a forza, gli facesse tornare la voglia, fisicamente e mentalmente, fino a zittire la mente.

 

Stremato non dalla passione ma dal suo ricordo ormai irreplicabile, l’io-lirico, questo mio, avanza una richiesta di conforto, in previsione della morte incombente, rappresentata dalle emblematiche pagine nere in chiusura.

 

 

(29 luglio 2016)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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giovedì 25 maggio 2023

“Da qui si vede la terra”


Terra 01

“da qui si vede la terra”,

batte le ciglia “è la vita

umana, il tempo

passato sulla strada

nel deserto ne distrugge

la fede, anche se essa,

necessità delle migrazioni,

durasse lunghissimi anni,

non sarebbe che un istante

rispetto alla possibilità

di raggiungerla: la durata

della vita non conta” e

vivere per narrare la propria

gloria ma ha raggiunta

la terra? l’ha veduta?

 

non raggiunge, non vede, non perché

il tempo non basta, non perché

l’angelo della morte glielo sottrae:

perché la sua vita è umana,

senza meta, senza termine fisso:

le sue correnti non assumono flussi

[30.08.1985]

 

 

 

.. è impossibile, credo, ottenere risposta sulla giusta via ma l’inganno che la nostra condizione impone, ci dice che è possibile chiede, poiché il chedere stesso presume che la distanza (deserto) sia percorribile, che possa esserci meta.

Ma forse la domanda non è una domanda (ma ha raggiunta / la terra? l’ha veduta?) poiché risponde a se stessa sul nascere (da qui si vede la terra) o non potrà mai trovare risposta (la sua vita è umana.  Senza meta).

Non ci sono distanze tra chi domanda e chi riponde.. non ci sono distanze da superare nel tempo. Come domandare e aspettare se la vita non ci permette nemmeno di camminare verso (non raggiunge.. / perché la sua vita è umana)?

Eppure si domanda. La necessità della domanda è pari all’impossibilità della risposta. Il domandare e il rispondere non appaiono più come elementi di una stessa dimensione. La quotidiana abitudine di assumerli come unico contesto, l’inerzia che si spinge a collocarli in logica successione, si spezza. C’è uno spazio bianco, un baratro invalcabile, temibile, che può essere superato a fatica, gettando un esile ponte  verbale ma altre quel mancamento, tutto si svuota nuovamente.

Insomma, il domandare e il rispondere diventano due termini incommensurabili. Non si chiede perché sia possible una risposta e neppure si chiede perché si conferisca un senso, uno scopo, un potere al chiedere. Si domanda soltanto. La verità del deserto è quella del domandare assoluto. La maestria delle migrazioni si trasforma in sconcertante maestria del domandare, dell’infinita articolazione, della minima variazione, del microscopico spostamento del problema come tale, in quanto solo problema..

[16.09.1985]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(6 maggio 2016)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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e per contro


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… e, per contro, Eros non eccede, il posto di Thanatos è ancora nel canto, in una mutazione d’apocalissi che rassegna importanza, che non conduce – più!, dico, più! – al carpito giorno erotico dello scrivere. Solo così si può rendere legittima la gelosia, unita a un voyeurismo impotente, da piccolo poeta, con elementi vicini al rito, quale mangiare questo mondo sfatto, questo putridio in memoria di se stessi; o la scrittura ti violenta non violenta e tu non vuoi violentare?

Eccolo! Il senso del possesso della parola, l’illudersi che ti asserva che e ti smangia e ti divora e ti brandella: sì!, tto, dico, tutto è ormai totale alla fine della notte, dello sbrodolamento del seme, come quando lo scrivengte definisce il propio io stitico “ho scritto”.

La sperequazione del già sentito, del già detto, persiste, fino al concerto dello sbracare in tumulti tra la scrittura e il proprio io delirante. Una forma chiusa, conchiusa nella chiusa. Un sangue autentico, un oggetto di scambio col prossimo – e questo e il male – che si scopre essere apertura alla tomba tomba, al silenzio fecale e si scopre essere prega di non restare prigione dei propri sensi inetti, in vista del brillante annerarsi finale.

È una miscellanea di prove di scrittura non medicametose, non cura, non curatela del proprio dire, un preannunciamento da rotocalco, da tabloid di nera. È la imperfetta predilezione informale per un lessico raro e, dall’altro canto, una ricerca – ora felice ora inappagata – di farmaci veleni per combattere l’anoressia del reale, il non mangiato del poetare e ammaestrare le resistenze tutte alla nuova paroa, al nuovo dire.

Del non amante amato scrivere, da subito, occorre negarne la non necessaria placenta entro la ossessiva replicazione, il dublicato infinito delle proprie forme metriche – anche quando ci divrebbere esssere respirante prosa – lì, ecco, si rintraccia l’oscura necessità di un patrimonio già scritto da torturare e da esibire, dissipato fisicamente e moralmente. Qualora morale mai vi fosse stata.

Un approdo come da capo ai propri temi-chiave, aun’intera produzione, un sentimento del disamore e rancore che strabordano dal negarsi e perseguono il desiderio di non appalesarsi più. Mai più. Essere erratico, eccentrico, incostante, essere, inoltre, oltrepassamento di qualunque soddisfazione possibile. Eternamente nel limbo dell’insoddisfazioen, del non dire. Non si insegue altro nella vicenda dello scrivere: un coatto ego del soddisfacimento del proprio piccolo bisogno, poiché non basta essere soggetto od oggetto di scrittura ma occorre, necessita, occupare il posto di causa di un desiderio che si rinnegaa ciclicamente e che non risulta mai completamente appagato né estinto.

Il desiderio è vanificato e disattivato dalla parola, proprio nel momento preciso in qui si comincia a scrivere, come preannunciato mancamento, un’afasia non sospetta. E se è vero che sa sedurre la carne la parola, è pur vero che essa ne prepara il gesto ma non ne produce il destino. Nessuna, seppur sapiente, costruzione verbale riproduce un mondo, non lo fa, questo anche se si accosta ambiguamente come oggetto o soggetto del raccontare.

Non ci si può permettere più, oggi, di investire la parola del compito gravissimo di trasformare la potenza in atto del solo vivere – ove mai ci si praparasse a farlo – a produrre, allitteranti e paralleli, sottolineature. Non si può sostituire, oggi, più, al mondo, la missione generatrice dell’azione verbale. Solo gli inetti lo fanno, i non presenti, i plauditi.

S’apre, significativamente, una notte dei sensi. Una notte pronuba, aguzzina del vivere, della sopravvivenza del dire, dell’atto di defecar parole, quasi sadica propiziatrice di mostruosi e orgiastici baccanali, una notte odorosa di palta che espone il maledettissimo io-lirico al dissidio interiore tra esperienza quotidiana e affannata fuga da incubi di verbalità. Qui un amante, quale dovrebbe essere lo scrivente, teneramente audace, annuncerebbe l’intuizione di possedere lla soluzione: quindi prima ti scopo e poi, seguito da un empio silenzio, smetto di farlo, non scopandoti più. Tutto questo è ritenuto negativo perché segna una falla nella comunicazione non scopandola più, la scrittura, non la si scrive più. Ma il posto della fine è ancora nel verso, Eros non eccede e Thanatos canto…

 

 

 

 

(14 novembre 2016)

 

 

 

 

 

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photo


fabio-galli-grillo-nessuno

Caro diario, ancora si è verificato l’ennesimo incidente di lavoro:

“Smettila di piangere. Stupida puttana! E rivestiti! Non può essere andato lontano, quel maiale!”

Restai immobile. Senza fiatare. Ormai so riconoscere i momenti nei quali bisogna stare giù.

“Pezzo di maiale! Brutto porco! Vieni fuori che ti taglio le palle!”

Per mia fortuna, si ostinava a trascurare il mio vero rifugio, così, col tempo che passava, la mia tensione si allentò e presi a osservare un grillo di notevoli dimensioni. Il suo primo balzo mi sorprese. Sulla mano. Il secondo mi lusingò. Entrò diretto nel taschino della mia camicia.

Un botto. Un colpo in testa. Ricordo bene. Un dolore fitto e cupo.

“Eccolo il maiale! Quello che ci scattava le photo!”

Un bizzaro stato confusionale contraddistinse i minuti immediatamente successivi. A sollecitare il mio risveglio furono le imprecazioni. Si trattava di un ragazzo manesco.

“Dove abiti?”

Lasciò lei là. Ad imprecare.

Arrivati a casa mia, provai vergogna per tutte quelle crepe, quell’odore acre di muffa stantia. Chissà cosa avrebbe potuto pensare di me.

“Puoi sviluppare il rullino, non è vero, porco?!”

“Certo”

“Bene!, datti da fare!, alla svelta, maiale!”

Lo lasciai in cucina a scolare il whisky distillato da mio padre. L’aria era satura di odori imprevisti e luci che non riconoscevo. Più. Un forte senso di dimenticanza in tutta quella presenza del mio quotidiano. Poi, improvvisi, sentii dei rumori, dei mugugnii, dei sordi tonfi come di libri spostati, osservati. Cercava fra i miei volumi di photo.

[Campeggio 1980, volume primo.. ?????.. ecco dove sarei finito!, brutto porco!.. però, il maiale!, messa a fuoco perfetta, dettagli, grande sensibilità per i particolari. Foto rubate ma si vede tutto]

Intanto, mentre sviluppavo il rullino nella camera oscura:

“Ehii”

“Chi è?”

“Sono io, il tuo spirito guida. Ascolta le mie parole: da questa notte i cavalli avranno biada in abbondanza”

Improvvisamente mi ricordai del grillo nella mia tasca. Ma cosa ci faceva lì. Così grande.

“Per ora, basta così”

Scomparve, come era apparso.

Si spalancò improvvisa la porta della camera oscura. Una luce da fuori entrò.

“Hey! Maiale!, ti devo parlare!”

Non fece in tempo a dire altro. Si limitò a crollare pesantemente sul pavimento. Completamente ubriaco.

[“Il whisky di mio padre.. lo dicevano che era forte”]

Questa mattina decido di fargli una sorpresa preparandogli un caffè ma è lui a sorprendermi. Infatti per prima cosa mi stacca un assegno, poi mi svela di essere il direttore di una rivista per soli uomini, mi prega di cedergli il mio materiale e di continuare a lavorare per lui.

Lo spirito del grillo aveva ragione “biada in abbondanza”. Chiusa la salma del mio piccolo grande amico in una scatola, l’ho poi sistemata nel luogo più tenebroso che io conosca.

Ora ho un lavoro che mi esprime appieno, un amico fedele nella camera oscura, prodigo di vaticini, fosche illuminazioni, enigmatiche confessioni.

[“In vita non ero nessuno”]

 

 

 

(6 dicembre 2016)

 

 

 

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ingordo



ho iniziato da bambino mescolando
Proust a trattati di chimica organica
botanica e dottrine occulte
sociologia e libri libri libri

e poi pittura e danza e teatro
e musica e recitazione
e cinema e video

quando tutta la curiosità
m’attanagliava lo stomaco
era come se tutto il mio corpo
magro fosse un enorme
bocca affamata perennemente

appena ho potuto ho preso la patente
per auto per camion per motoscafo
per elicottero per aereoplano

e ho fatto il paracadutista e il pugilatore
e il somozzatore e il lottatore
e il giocatore di football americano

ho combattuto a Roma Bologna Beirut
in Nicaragua e nel Salvador anche

e mi son fatto tatuare un’enorme
bocca di squalo sulla bocca
dello stomaco che intanto cresceva

e poi viaggiando ancora macumba
e voodoo e tarantolate e barracuda
e kung fu e ogni genere d’arte marziale

e poi tonnellate di ero e di coca e di anfe
e bamba e erba e funghi allucinogeni
e acidi e chimica e alcool nel corpo

e ancora marchette a Tokyo e cruising
nei parki la notte e bordelli infiniti
di corpi e spermi vaganti a caso

ingravidando d’orrori futuri chiunque
mi si avvicinasse ignaramente
come un perfetto assassino a migliaia

e ho preso poi l’epatite e la malaria
l’ameba e la sifilide e il colera
e l’anoressia e la peste e la lebbra
e gli orecchioni e la varicella e il raffreddore

e poi ero sieropositivo e allora son diventato
cattolico e zen e analista e protestante
e islamico e indù e santone del nulla

e poi ho ucciso ancora senza movente
o con movente o con arte o senza gusto
tutta gente che non sapeva niente di me

e finalmente ho imparato a mangiare

ora che ero diventato l’ombra di me stesso
questa scoperta sconvolse il mio metabolismo
mi misi calmo e iniziai a mangiare
frutta dolci pasta pizza cous-cous

e poi carni

vitelli agnelli pesci polli maiali cinghiali
capretti volpi lupi topi gatti cani vermi
parassiti farfalle tigri serpenti scarafaggi
lucertole rospi rane e carni umane

carne di amici e carne di nemici
e carne viva e carne morta
e carne pregiata e carne malata
e carne trita e carne ritrita

ora sono felice come un grasso
grassissimo coglione flaccido
a sorseggiare la mia birra
e a guardare la televisione

come eravamo teneri così
rozzi barbari malsani

 

 

 

 

(9 dicembre 2016)

 

 

 

 

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mercoledì 24 maggio 2023

è la musica



è la musica, è la musica
“la tua faccia raggelata
la tua pelle permeata
il tuo stile non vocale
mi sussurra il nostro amore
glit te ra to
glit te ra to”
è la musica, è la musica

“Cristo blisterato! Ma che razza di gente è questa! E come fanno a ballare su una musica del genere! Mi disgustano! Sbattono dietro al mixer un dj glitterato a ripetere nastri pre-registrati mentre preme a caso qualche tasto del suo moog! E questi ragazzini insieme con uomini di mezza età e vecchi che danzano nella piena perversione! Di questi suoni ne vanno pazzi saltellando in ogni dove come se avessero uno spillone da balia conficcato nel culo! Che anime prese all’amo della sventatezza!
Affaracci loro! E che cazzo! Io sono qui per lavorare e questi tizi mi paiono tutti uguali! Una tribù del cazzo! Tutti con le stesse faccette estasiate! Come faccio a trovare il ragazzo?
È già il quinto locale infame che mi passo stasera. Ecco tutto quello che ho fra le mani. Una fotografia fatta al liceo di un ragazzo che va pazzo per questo titpo di musica.”

la becera faccenda era iniziata con una telefonata di una signora che mi raccontava di come suo figlio stesse degenerando ed era scomparso e se per caso le si potesse dare una mano a ritrovarglielo questo scemo che era come scomparso nel nulla inghiottito dal lume del suono e così camminando per casa sua ci si accorse che non dovevano avere problemi di soldi e che la signora era visibilmente nervosa

“Oh signore! Lei mi deve aiutare! Sono così felice che sia venuto fin qui! Siamo fuori di noi dalla disperazione! Abbiamo paura che il nostro piccolo sia stato raggirato da persone senza scrupoli! Forse musicisti! Con tutta quella nuova musica campionata che c’è in giro! C’è da aver paura! I giovani sono così deboli! E plagiabili!”

“Bene signora! Farò il possibile! Credo di avere capito a che genere di persone si riferisce e a quale tipo di musica!”

il padre poi non era di certo meglio e cominciò con una sviolinata sulla buona morale della loro famiglia e così si capì finalmente perché il ragazzo se n’era andato

“E così pensiamo che se ne sia andato con una di quelle band che fanno musica coi computer! Tutta orribilmente campionata! Le sarà capitato di vederle in televisione! Tutte colorate! Cose glitterate e infami!”

“Mi scusi ma se non le spiace vorrei dare un’occhiata nella camera del ragazzo per farvi poi alcune domande!”

la stanza è piccola e deprimente e male illuminata e pare un’estensione della personalità dei due signori ma in un angolo appare una maglietta tutta glitterata che emana un bagliore quasi gioioso e sotto si vede un impianto stereo da pochi soldi e qualche disco di musica che utilizzano nelle serate i dj glitterati ed ecco che quello che mi pareva l’assetto di una stanza da motel mi pare prendere nuova forma e nuova vita ma oltre a questo nessun altro segno se non che l’unico ultimo particolare interessante che colpisce cioè una specie di piani eliografati di una sorta di meccanismo.. per far musica campionata

è la musica, è la musica
“la tua faccia raggelata
la tua pelle permeata
il tuo stile non vocale
mi sussurra il nostro amore
glit te ra to
glit te ra to”
è la musica, è la musica

“Desidera qualcos’altro signore?”

vocetta glitterata da barista glitterato

“Eh!? No no stavo andando via!”

è una sensazione piacevole uscire da quest’ennesimo buco fatiscente e piacevole uscire da una ennesima serata di merd..

“Ehi! Cristo beduino! Stai attento a dove cazzo cammini! O ti risistemo i connotati! Brutto glitterato che non se altro! E poi UUHH..”

è lui non può che essere lui poiché indossa gli stessi vestiti che aveva quando era uscito di casa e allora inizia l’inseguimento di nascosto di soppiatto in silenzio per vedere dove sta andando e quella là parrebbe una casa no una scuola no un luogo dove ci si incontra fra simili ma forse è meglio entrare di soppiatto per verificare

“Bene il progetto per cominciare a suonare la tua musica è perfetto! Tra poco sarai pronto per passare al corso per altri progetti! Sicuramente diventarai un dj”

quindi si tratta di un gruppo di dj insegnanti pronti ad educare una massa di piccoli sprovveduti a una nuova teoria musicale e quindi un club di assetati di musica fatta col computer con un pensiero uniformato per una vita da glitterato di merd.. e SBANG SOB TUMB TUNF.. una botta sorda

“Sveglia ammasso di muscoli! Spia di merda! Svegliati! È un vero peccato che tu abbia voluto ficcare il naso nella nostra piccola scuola! E già! È un vero peccato! Temo che non potremo permetterti di andartene! Ti terremo legato! Già! Temo che..”

“Ho visto quel che fate ai giovani!”

“Oh non preoccuparti! Sono tutti volontari e per una ragione o per l’altra sono tutti stufi di avere a che fare sempre con le stesse emozioni musicali! Sono venuti qui spontaneamente per riavere una cuore nuovo! Campionato e computerizzato! Glitterato! È cominciato tutto con la musica! Gli è piaciuto il messaggio che proponevamo nei nostri locali! Cercavano di emulare la nostra forte emotività! La nostra aggregazione! Capivano di essere come noi! Completamente! Noi gli davamo soltanto il modo di incrontrarsi! Di ritrovarsi! Questo era molto di più di quello che potessero desiderare dalla loro precedente vita grigia! Là si sentivano soli! Bene! È tutto! Per ora!”

non c’è corda fabbricata da cosi glitterati che possa bloccare i muscoli d’acciaio temprato di un uomo vero e quindi sfruttando la sorpresa è meglio uscire da questa topaia subito ed entrare in aula

“Bene! Alunni glitterati di merda! C’è un piccolo cambio di programma nella vostra lezioncina di oggi! Il vostro insegnante dj glitterato ed io vi daremo una dimostrazione di chi è il più forte!”

d.i.m.o.s.t.r.a.z.i.o.n.e.
c.o.l.l.u.t.a.z.i.o.n.e.

“Ecco chi è il può forte! Inutili cosi glitterati che non siete altro! Piccoli alunni inconsapevoli del vostro destino! Guarda ragazzo! Non badare ora al collo ritorto del tuo ex insegnante dj! Se vuoi conservare sane le tue braccine esili è meglio che tu venga con me! Sali in macchina! Piccolo sciocco! Questa è la realtà! Non il glitter illusivo di quegli stronzi! Lo faccio per il tuo bene! Rilassati! Resta seduto lì dietro! I tuoi genitori sono in pena per te e ora ne comprendo i motivi! Che diavolo ci trovi nell’andare in giro con quei tipi!”

“Ti odio!”

“Mi odi? Ma certo! Sono stato giovane anch’io e so quel che provi! Ma mi ringrazierai quando capirai quanto poco conti un coso glitterato come quelli! Eccoci! So che sarà dura ma temo che dovrò dire tutto ai tuoi genitori!”

“Figlio!”

“Sarà difficile da capire per voi ma il vostro piccolo ha tentato di trasformarsi in un coso glitterato! Voleva diventare un glitterato!”

“Sono un glitterato! Non volevo diventare un glitterato! Non mi fermerete!”

UUHH UUHH

è la musica, è la musica
“la tua faccia raggelata
la tua pelle permeata
il tuo stile non vocale
mi sussurra il nostro amore
glit te ra to
glit te ra to”
è la musica, è la musica
glitterata

 

 

 

(4 gennaio 2017)

 

 

 

 

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martedì 23 maggio 2023

atti di devozione


Ho sospeso questa mia rubrica per un po’ di tempo. Chi mi segue, lo sa. Troppe pressioni mi provocano diffidenza. E ce ne sono state. Ho sempre svolto questo lavoro con una sorta di prevenzione per tutti i viventi che pubblicano libri. Specialmente quando ti chiedono “la recensione”. Specialmente ai libri di poesia.

Pubblicare poesia, oggi, è al di fuori di ogni controllo, di ogni macinazione vicina all’atto consumistico. Poesia non è vendibiltà, mai lo e stata, a maggior ragione nel nostro contemporaneo. Pubblicare poesia è, oggi, più che allora, atto di identificazione con il nulla del dire. Se non al proprio parlarsi, a volte addosso.

È da anni che in Italia la poesia corre lungo vie sotterranee di autodefinizione. Vie sotterranee che, a mio avviso, certificano un essere in disparte, un non centralizzarsi, nemmeno col pensiero. Neppure con la presenza fisica dell’autore. E non solo si tratta di una grande metafora di quanto avviene nella superficie delebile del reale.

Le vie del fare poetico sono spesso invisibili, o, meglio, sfuggono a criteri di visibilità. Ciascuno tenta le carte che può, che possiede, per raggiungere affannosamente un momento che si avvicini, almeno lontanamente, alla realtà del tangibile. Come se il poetare non dovesse essere il più lontano possibile da ciò che altre espressioni dell’umano artefare propongono. Poetare è assenza, mai centralità o assoluto dire.

“Atti di devozione” di Luigi Balocchi (ed puntoacapo, pp 94, euro 12.00) è desiderio, libido, innamoramento raccontati nel secolo della pornografia a portata di tutti (anche dei minori, basta lo vogliano) di un qualunque sex tube online. Forse la differenza, vera, sta nell’amore maturo che si disegna in “Tristi coppie estive | mano nella mano | l’un l’altro a rimettersi il peccato | di stare ancora insieme. | La morte li sorregge. | Fan finta che sia vita.”

Il desiderio. Dov’è la sorgente? In quale recesso? Chi può ormai stanarlo? Queste le domande, come sangue nelle reni, afflusso improvviso come un tarlo che a poco a poco obnubila la mente. Non vale, allora, stimolarlo solo con la memoria, come se la poesia potesse essere pura sessualità (o artefizio di quella, come nell’amato Sandro Penna, o nel letto madido di sudore di morte dell’amico Dario Bellezza) non ritorna niente dal sesso scritto, niente.

Il sesso è pura alterità, non sta nemmeno più nei pornoshop ma nel deep web. Figuriamo se può stare nella poesia. Nel suo lucente fingere. Finzione è poetare, al massimo è erotismo dello scrivere, altro da sé e così leggo, in questa raccolta di versi – eros, non thanatos poiché: “Tu sei nel desiderio, | Ne rosso della rosa, | nell’occhio che s’infiamma. | sei il gesto che rapisce, la bellezza che non sa de putridume..” – ma non la maldicenza, il male dire, la profusione del proprio corpo, dei propri corpi e del corpo dello scrivere e dei corpi delle scritture. La devozione del dire, leggo, in queste pagine, oggetto onesto del poetare, quasi elevato senso del dicibile (dell’indicibile non v’è ombra), una lettura che parrebbe semplice. Parrebbe.

Va riletto più volte, e più volte l’ho riletto, anche di notte, quando il sonno non viene più. E, nonostante ciò che dice l’autore, questo fare poetico non ha bisogno di orpelli visivi, di mattane teatrali poiché è già bruciore di vene, un piccolo fuoco – come così occorre che la poesia rimanga – una brace già nella completezza della pagina, del suo farsi verso (avvicinarsi a) ed è come se ancora, in questa nostra età sfinita, si potesse stare sulle barricate a dar voce alla vita.

 

 

 

 

(15 maggio 2017)

 




 

 

 

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