lunedì 31 luglio 2023

che rovesciato s'ascoltasse

Che rovesciato s’ascoltasse il di fuori! Come se fosse fatto viso, violento. Ma poiché c’è, questa tua faccia, su cui venire, fino in fondo, così, in duplice enunciata orgasmica quasi a rivivere in un’ondulazione di spasmi. Tu dici. La fine dei tre giorni insieme. Diverso. Meno presente. Col membro che si solleva da solo.

È un gesto, ormai, leggere i tuoi occhi. Noi eravamo, e si vede che è così, qui, alle stoffe, per colmare ciò che non è stato. E dell’aria sussiste.

Qualcosa, i frammenti di sbieco, discosti da un riflesso.

È difficile, adesso, risalire. Quasi agitata, la mente. Era senza questo presente, lo scorrere del tempo che torna da uno scambio, s’interrompe. S’era interrotto. Ma ripiegava ogni volta e ogni volta una registrazione, non proprio ogni volta, c’era.

Non più precisi di così, ero io, restavo. Perché vengono. Questo è accumularsi, dilatarsi, mentre l’insieme di tutte le cose non vien detto qui. Lo trovo, oggi, sull’orlo coricato.

Voi, in piedi, di fianco, dentro l’operazione. E non io in quel numero. La torsione era dunque l’eco.

Istantaneamente profondità o meglio: la carne, quel salto che risponde quale era scritto. Come se il muro, là, non altro colore potesse ricevere, per cui: il sudore.

Così, il punto e gli occhi, una forma che copre e allora sorge la testa. Questo richiamo, la bocca di qualcuno al seme, l’episodio che non avrebbe reso il rosso, il cielo riflesso, strappato nel quadro, terroso, dalla parte giusta che è poi la stessa che indicano tutti.

Al momento, in questo recesso, che è un momento di noi, gridando alla gola, venivamo.

S’apriva, così, a darci, in rilievo remoto.

[Minime Anime: Qualcuno mi ha chiesto di poterlo leggere, quel testo. Pochi, invero, ma si sa che a me basta così.

La stesura originale apparve, per diretto interessamento di Ubaldo Giacomucci, nella rivista "Tracce, trimestrale di scrittura multimediale", anno V, Luglio/Agosto 1986. Qui se ne presenta una versione con non poche variazioni perché il tempo è passato ed è giusto così.]

Intervista a Bo Summer’s Fabio Galli, autore del libro che pubblichiamo a puntate, “El Horno” (10 Febbraio 2013)


Fabio Galli03di Maximiliano Calvo

El Horno, il libro di Bo Summer’s curato da Fabio Galli che pubblichiamo a puntate, è solo il primo di un progetto culturale che noi di Gaiaitalia. com abbiamo ben chiaro e che vogliamo portare avanti, insieme ad altre iniziative che saranno rese pubbliche quando sarà il momento. L’intervista all’autore non è un obbligo, è una necessità. Per conoscerlo, prima di tutto, e per parlare di letteratura e scrittura, e di cultura, ché non se ne parla più, quando non è quella becera istituzionalizzata da anno di burlesconismo & soci. Di seguito domande e risposte. Con conseguenti ringraziamenti.

L’intervista:

La genesi de El Horno (che tra parentesi è un locale gay che esiste sul serio)… ?

El Horno è un locale che esiste davvero, in Spagna, ma la descrizione dell’ambiente assembla vari locali che si possono identificare facilmente. Tutto nasce da una di immagine che io trovavo divertente: un uomo, durante un fist subito, ha la visione angelica di Nina Hagen nel suo periodo ultraterreno: completamente ambientato negli Anni ’80, El Horno ha una struttura cut-up ma la follia è stata di scriverlo in ordine alfabetico. Le prime stesure, iniziate intorno al 1995, risentivano di una scrittura vicina a Il pasto nudo o I ragazzi selvaggi di William Borroughs, poi col tempo, trasformai la forma e l’avvicinai a Jean Genet senza timore. Dieci anni di lavoro sul testo e le successive stesure, mi hanno permesso di raggiungere un risultato che è, forse, al di fuori dei nostri tempi, fuori certamente da un mercato editoriale che non ha nessuna intenzione di rischiare.

Come nasce il binomio Fabio Galli Bo Summer’s?

Fabio Galli nasce come poeta alla metà degli Anni ’80, pubblicando un testo molto vicino alle impressioni del Surrealismo per una piccola casa editrice di Pescara, si trattava di Impura e Tracce. Poi un lungo apprendistato come redattore alla rivista “Poesia”, un libro per Crocetti editore, Caròla, e una versione stralunata di un testo giovanile di Verlaine, Melancholia, ed. L’Obliquo di Brescia. Per quindici anni Fabio Galli fece il poeta lavorando nell’ambiente che amava e pubblicando varie plaquette sempre per piccoli editori e proseguendo con alcune collaborazioni con un grosso gruppo editoriale in qualità di editor. Poi accadde qualcosa… uno stallo, come se si fosse rotto l’incantesimo. Se ne andò, Fabio Galli, dall’ambiente editoriale, qualcosa non funzionava più, non era esattamente quello che aveva immaginato. L’ambiente della Poesia, che doveva essere puro, non si rivelò tale. Brutte storie. Arrivismi. Fabio Galli sparì, e intanto scriveva. Agli inizi di questo meraviglioso nuovo secolo cercò di rientrare nell’ambiente ma le porte si erano ormai sbarrate. Cercò di pubblicare, ma niente. L’oblio. Improvvisamente, scoprii internet, in assoluto ritardo sul mondo intero, cominciai a pubblicare blog e cose varie, per mio conto, prendendo come nome quello di un vecchio attore porno Anni’80, nemmeno così tanto famoso, Bo Summer. Bo Summer’s per vezzo.

Perché sceglie di ambientare la Sua storia in un sottoambiente del sottoambiente riservato alla comunità gay?Fabio Galli 01

Sarebbe stato facile scrivere una storia d’amore alla Pier Vittorio Tondelli o scrivere come Matteo B. Bianchi, Andrea Mancinelli, Marco Mancassola, ma era mia intenzione rappresentare una realtà, la parte più oscura, la vera verità. Non ero intenzionato ad avere compromessi con nessuno ,a costo di essere stomachevole. Volevo raccontare la sessualità di molta gente gay che vive il proprio corpo come una macchina da combattimento, gente che ho incontrato in molti locali, in molte chat e in molti luoghi all’aperto. Per molti anni ho frequentato gruppi del “sottoambiente” della comunità gay. Una realtà poco narrata e c he io intendevo raccontare. Ho voluto scrivere, sì, una storia d’amore, ma volevo che fosse ambientata in una realtà che non è poi così troppo inventata, direi.

Ci parli del Suo passato e presente di poeta…

Il mio passato di poeta è roba del secolo scorso, forse nemmeno nessuno si ricorda di me, o finge di non ricordarmi che è peggio. Il mio presente di poeta sta rinascendo, ringrazio qui, pubblicamente, Elio Grasso, perché, nonostante io sia una orso, crede ancora in me e nella mia scrittura.

Senza remore, con assoluta libertà, cosa pensa del panorama cultural-editoriale italiano?

Ci sono buone cose in giro, ma l’editoria non mi pare abbia molta intenzione di sperimentare o rischiare. Non ho mai avuto risposte negative su El Horno, mai nessuno ha detto che il testo non avesse valore ma che il momento non era quello giusto. Cosa volessero dirmi lo lascio pensare a voi.

Ha subito censure?

Due editori soltanto mi hanno chiesto di ripulire un po’ El Horno, beh ho detto “no grazie” ed è finita lì.

Nel Suo romanzo El Horno, che stiamo pubblicando a puntate, Lei dice piuttosto chiaramente cosa pensa dell’associazionismo lgtb di questo paese, vuole rinfrescarci la memoria?

Forse mi state chiedendo cosa penso di Arcigay? Credo che Arcigay non sappia guardare la base dei suoi tesserati. È come se fossero su di un piedistallo. Mi sembrano fermi. Forse sbaglio? Ci sono invece piccole associazioni, piccoli gruppi che sono nati spontaneamente in questi anni, che solo a livello di aggregazione fanno molto di più e senza i proventi di Arcigay. Tenendo conto che la maggior parte dei tesserati Arcigay è data dai locali, i quali vengono frequentati non certo per discutere problematiche, e che gli stessi ultimamente, non avendo voce alle riunioni Arcigay, hanno istituito circuiti di tessere da club privato… e via, e via, mi domando quanti tesserati e sostenitori avrà Arcigay.

Non hanno ereditato i gay italiani, un po’ dell’idea dell’amore francese alla Proust che una volta frustrato li fa finire ne “El Horno”?Bo Summer's

El Horno parla di sesso allo stato puro. C’è molta pornografia, lì dentro. I gay italiani forse finiscono a El Horno perché il sesso è parte integrante della loro vita, Proust o non Proust. E poi sono convinti che troppi gay non sappiano nemmeno chi sia Proust ma sanno benissimo cosa è un fist.

Fabio Galli scrittore, chi è stato e cosa sarà?

Cosa farò da grande? Forse diventerò un caso letterario.

Che cosa prova nello scrivere?

Scrivere mi produce la sensazione di poter fare, di poter dire, e che nessuna possa fermarmi.

Possiamo dire che pubblicherà El Horno, nella nuova collana di ebooks di Gaiaitalia.com?

Con Gaiaitalia.com sono già fidanzato da un po’, cioè da quando mi hanno chiesto: “Scusi, ma Lei scrive?”, li ho amati subito. Mi è parsa una dichiarazione di intenti che non leggevo più da anni. Se questo fidanzamento diventerà un matrimonio, scusate, ma non può che farmi piacere.

 

Fabio Galli, classe 1961
è stato redattore della rivista “Poesia” (Crocetti editore)

Pubblicazioni:

Prima, nella storia, ancora, Bandecchi e Vivaldi editori, 1995
Balli e Canti, edizioni Pulcinoelefante, 1993
Caròla, Crocetti editore, 1992 
Impura, edizioni Tracce, collana I campi magnetici, 1986 
Melancholia, versione da Paul Verlaine, edizioni l’Obliquo, 1992

Blog:
recensenda,recensioni varie ed eventuali 
el horno 
scrivere come dio, epistolario 
Eliot. Aprile è il mese più crudele,saggio su The Waste Land 
misteriousXways, è il 30 ottobre 1938
per dario bellezza, in ricordo

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domenica 30 luglio 2023

riesumanda


Riesumanda rievoca alcuni testi che sono parte integrante di una raccolta, 'Cani d’amore', che vennero inseriti in una rubrica a cura di Milo De Angelis pubblicata dalla rivista Poesia, n° 58, Anno VI, Gennaio 1993, Crocetti Editore

https://cultura-gaiaitalia-com.cdn.ampproject.org/v/s/cultura.gaiaitalia.com/2016/01/la-pagina-dello-zio-bo-riesumanda-bo-summers-da-cani-damore/amp/?amp_js_v=a6&amp_gsa=1&usqp=mq331AQKKAFQArABIIACAw%3D%3D#aoh=16270167699745&referrer=https%3A%2F%2Fwww.google.com&amp_tf=Da%20%251%24s&ampshare=https%3A%2F%2Fcultura.gaiaitalia.com%2F2016%2F01%2Fla-pagina-dello-zio-bo-riesumanda-bo-summers-da-cani-damore%2F

sabato 29 luglio 2023

Melancholia di Paul Verlaine, le traduzioni invecchiano


Paul Verlaine 01

Una breve introduzione: le traduzioni “invecchiano” quanto i traduttori; parrebbe che, con il continuo mutare degli orizzonti culturali, la ritraduzione dei classici sia non solo auspicabile ma necessaria: per rimettere in circolo ciò che sembrava un possesso acclarato, consegnato all’illusoria e spesso ingessata permanenza di versioni canoniche.
E così tanto più problematico fu, per me, ritradurre un autore già classico da sempre come Paul Verlaine, al contempo supremo azzardo, prototipo ed esito altissimo della poesia francese ottocentesca.
La traduzione, attività incessante di decodifica mentale da parte del lettore, è, secondo me, la molla stessa di quel procedere a strappi, a balzi, a scoppi e sbandamenti che incarna esattamente il movimento del pensiero, della rielaborazione adattata di un pensamento già avvenuto. Una infedeltà bene acquisita. E in cui ogni eco, o barlume di similitudine, si fa immediatamente testo, suono, disegnando in progressione sulle pagine una mappa della coscienza, idolo e demonico primattore di ogni secolo passato che diviene futuro.
La coscienza in cammino divenuta linguaggio.

Una versione – così allora la chiamai, non mi sentivo traduttore – che mi sono, dunque “autorizzata” e che uscì nel 1992 presso i tipi delle edizioni L’Obliquo di Brescia, per le premurose cure di Giorgio Bertelli, editore raffinatissimo che la pubblicò in forma di plaquette. Un testo giovanile del poeta amato da Rimbaud che ritenevo superlativo per qualità di resa e creatività ma forse troppo inascoltato e poco conosciuto per il nostro orecchio. Veniva ad affiancarsi a quelle, poche invero, di altri che mi avevano preceduto, con l’unico merito di recuperarla e renderla nuovamente disponibile per la mia vocazione al popolare e al collettivo che già allora mi pareva fosse necessità assoluta, nell’ottica di una cognizione dello scrivere che, proprio riflettendosi nei flussi più impalpabili di pensiero, potesse farmi apprendere, anche da quel testo giovanile di Verlaine, le sue regole di scrittura – metrica, rima – ma, pure, un sentire di un poter vivere democratico e tollerante. E un po’ comunardo. La condivisione di un sapere.
Temo lo si trovi a fatica, quel testo, mi va di renderlo nuovamente visibile, per una sorta di rivendicazione. Di diritto alla visibilità. Mio e suo.

Dato per certo che tradurre la parola di Verlaine era, per me, un gioco impossibile, decisi che, proprio per questo esatto motivo, l’impresa andava tentata.
Capivo che ogni versione non poteva che essere un gesto calato nella propria storia personale, e che era, inoltre, nel mio caso, un atto implicito di commento nato da una visione dell’autore con cui ingaggiavo un corpo a corpo così come se, innanzitutto, provenisse da un’idea di lettore. Non volevo, nemmeno lontanamente, pensare che le varie traduzioni di uno stesso libro fossero un febbrile, e inutile, agonismo tra loro per soppiantarsi a vicenda. Per me fu solo una prova di stile.
A parità di competenza e impegno, quell’impresa, piuttosto, si completò e venne in qualche modo considerata un piccolo evento. Piccolo.

Era un dato momento storico, quello, e contesto vivissimo di ricettività, qualcuno si accorse che il tentativo fu di rieseguire le armoniche forti del testo rivivendole nella nuova, nell’altra lingua. Cioè la mia.
E in ogni caso, se a porvi mano era stato un poeta giovane, fu fatale che balzò sulla scena come una presenza di quel primum e unicum che mi piaceva definire quasi fisico.

Ora, quel lavoro, dopo anni di sottaciuto oblio, mi piace di riproporlo, con qualche lieve aggiustamento, e si mostra subito per ciò che non è né vuole essere, a partire dalla nettezza di certe scelte lessicali, esibite quasi come petizione di principio.
Nelle prime battute, la macchina verbale è un fiume parlato cui mi sono abbandonato sull’onda di un’immaginazione sonora, tra mosse impreviste di voce, pause non lontane ed estatiche, ritorni e trapassi, incagliamenti, apparizioni e sdrucciolii, senza la pretesa di «capire e far capire tutto» come se tutto potesse avere la stessa dignità, come se tutto ciò che è umano e mobile potesse essere carico della grazia casuale di ciò che vive.
Tutto questo rieseguendo la partitura e dotandola di un ventaglio lessicale a volte inventato e non paragonabile ad alcun’altra traduzione di questo stesso testo, cercando di orientarmi verso una personale extralingua, una foga ispirata a una gioia deformante e volendo tentare, anche sul piano del ritmo, il riordino personale delle parole, creando una ricontinua mutazione del testo e consegnandone, così, una peculiare estraneità all’originale stesso.

Perché è davvero suscitando nel lettore, anch’egli a suo modo traduttore e farneticante immaginatore, l’esperienza di quello sfrontato potere liberatorio impresso prima di tutto dal suono, cantilenato nella testa, che si agisce.

Durato un intero Inverno, il lungo ascolto di Melancholia intese, perciò, sfociare in una forza di reinvenzione che potesse attecchire, anche solo sporadicamente, in un mondo unico e si potesse esprimere in un passo mentale solo mio, facendosi voce volutamente eccentrica, fuori ordinanza, rispetto alla prassi della traduzione di mercato.

A sollecitarmene la traduzione fu il mio pensiero sul corpo fisico della parola, niente altro, la ricerca di un suo teatrale sapore di furto, nei versi dove si affondano le mani nelle cadenze dei gerghi o di un italiano latente.
Una polveriera inusuale, un armamentario allo stesso tempo ricercato e popolare, sferzante e reticente, con un gusto di irrisione che emerge nei momenti in cui insiste nella parodia del sublime e dell’amorevole.
Un nodo in cui addensavo le allusioni più subdole, annunciando e intrecciando le mie prime prove acustiche, il senso del suono.

Di questo testo inseguii insomma anche la qualità incantatoria della parola, la possibile musicalità, essenziale per il suo stesso suono, prima e molto al di là del senso stesso, che sfrondava tutto il diaframma tra materia e simbolo per impadronirsi del lettore precipitandolo in uno spaesamento, in una deriva fantasticante a fronte della stessa lingua nella sua interezza storica.
Così una forma tipica, per me, di quest’esperienza di rilettura, fu la tentazione del caos e quella dell’ordine, l’abbandono alla corrente e la sveglia delle impensate connessioni tra realtà, generando un nuovo abito percettivo.

La celebrazione della meraviglia di un Inverno come tanti, dell’eroismo normale dell’essere umani, di astuzie e crolli di un’umanità bonariamente sbilenca, non restò che confinato nella mia idea di letteratura.
Reti di ricorsi e rimandi che quasi danno l’impressione di autogenerazione, nel continuo fluire fra mondo individuale e condiviso, dentro e fuori, mente e realtà.
Allusione indirettamente nel solo testo: un’elaborazione non sofferta, ma soggetta anch’essa a sbandamenti e ritorni, emergenze e giunture, dove suggestioni individuali possono prender piede sul dato acquisito.

Una virtù trasformativa e, forse, felicemente operante e un modo per riscrivere i libri, fedeltà di pensamento ma non di parola, energia, colori, tonalità, contentezza di condivisione, senza dover rendere conto alla dittatura della maggioranza. Divenne una posizione, la mia, insensatamente parziale e personale, come accade per ogni vera posizione, che porto avanti ancora oggi.

 

 

 

©Bo Summer’s 2014
tutti i diritti riservati
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per gentile concessione
riproduzione vietata


sabato 15 luglio 2023

Melancholia di Paul Verlaine, il testo


Paul Verlaine

 

 

 

 

 

 

I Saggi d’altritempi, che valgon quanto questi,
credettero, ed è un punto ancor dei più contesti,
leggere in cielo di fortune come di disastri
e che ogni anima legata fosse ad uno degli astri.
(S’è molto riso, non pensando che sovente
il ridere è ridicolo quanto il ridente,
di questo spiego sul mistero notturno.)
Ora coloro che son nati sotto il segno di Saturno,
selvaggio pianeta, caro ai negromanti,
hanno, fra tutti, secondo scrittura d’anni avanti,
buona parte di sfortuna e buna parte di bile.
L’immaginazione, inquieta e vulnerabile,
viene a render nullo, in loro, lo sforzo di Ragione.
Nelle loro vene, il sangue, sottile come velena pozione,
simile a lava brucia, e raro, scorre e scolla,
anticando il loro triste Ideale che si crolla.
Così da soffrire hanno i Saturniani e in modi tali
morire, ammettendo che siano mortali,
il loro piano di vita, in ogni linea si designa
per la logica d’una Influenza maligna.

Rassegnazione

Da piccolo, andavo sognando Ko-Hinnor,
sontuosià persiana e papaple,
presenze eliogabale e sardanepale!

Il mio desìo creava sotto i tetti d’or,
tra i profumi, al suono di musiche,
harem senza fine, paradisèe fisiche!

Oggi, più calmo e non meno ardente,
ma sapendo la vita che ci fa piegare,
ho dovuto la mia bella follia refrenare,
rassegnandomi un bel niente.

Sia! Il grandioso scappa al mio dente,
ma, vergogna dell’amabile e vergogna del vile!
Odio per sempre la graziosa donna-monile,
la rima assonante e l’amico prudente.

Nevermore

Ricordo, ricordo, che vuoi da me? L’autunno
faceva volare il tordo attraverso l’aeraggio a-tono
e il sole dardava un raggio mono-tono
nel bosco ingiallendo ove il gelo  de-tono.

Noi eravamo da solo a sola e camminavamo sognando,
lei ed io, i capelli e i pensieri al vento lasciando.
A me, improvviso, il suo sguardo voltando:
“quale fu il tuo più bel dì?” con voce dorata parlando,

la sua voce dolce e sonora, timbro angelico e fresco.
Discretamente risposi con un sorriso di pesco,
e le sue mani bianche baciai devotamente.

Ah! i primi fiori quanto sono profumati
e come risuona d’echi dolcemente
il primo sì che esce dai labbri amati!

Dopo tre anni

Avendo spinta la porta stretta che barcolla,
ho passeggiato nel piccolo giardino
schiarito dolcemente dal sole del mattino,
paiettante d’un’umida scintilla ogni corolla.

Niente è cambiato. Ho tutto riveduto: l’umile riparamento
di selvatico viticcio con le sedie di giunco…
Il getto d’acqua fa sempre il suo argentino mormorio
e il vecchio pioppo il suo sempreterno lamento.

Le rose come sempre palpitano; sempre ripetenti,
i grandi gigli orgogliosi si muovono ai venti.
Ogni allodola che va e viene m’è già sembrata.

Egualmente ho ritrovato in piedi la Valléda
ove il gesso si scaglia alla via cominciata
gracile, fra l’odore insipido di reseda.

Voto

Ah! intimi colloqui! Le prime amate!
L’oro dei capelli, l’azzurro d’occhi, di carni il fiore
e poi, fra l’odore dei corpi giovani e d’amore,
la spontaneità di carezze timorate!

Sono assai lontane tutte queste allegrezze
e tutti questi candori! ahimè! tutto verso
la primavera di rammarico si fugge il nero inverno riverso
della mia noia, dei miei disgusti, delle mie tristezze!

Ora eccomi solo, taciturno e solo,
mesto e disperato, più freddo d’un avolo,
e simile ad un povero senza sorella nella sua orfanezza.

Oh la danna dall’amore caliente e carezzante,
dolce, pensierosa e bruna, e mai in mentale arretratezza,
e che talvolta vi bacia in fronte, come un infante!

Stanchezza

A batallas de amor campo de pluma.
Gongora

Dolcezza, dolcezza, dolcezza!
Placa un po’ questi febbrili trasporti, mia fascinante.
Pure al colmo del piacimento, vedi, l’amante,
della sorella deve avere la pacifica rilassatezza.

Sii languida, rendi la tua carezza sonnale,
ben eguali i tuoi sospiri e il tuo tranquillo guardare.
Già, la stretta gelosa e l’ossessivo spasmare
non valgono un lungo bacio, pur mentale!

Mi dici, mia bimba, nel tuo caro cuore d’oro,
la selvaggia passione dà dell’olifante il sonoro!…
lasciala suonare a suo piacere, l’affamata!

Poni la tua fronte sulla mia e nelle mie le tue mani
e promettimi che scorderai domani,
e piangiamo fino a che sarà giorno, o piccola infuocata!

Il mio sogno familiare

Sovente faccio questo sogno strano e penetrante
d’una donna sconosciuta, e che amo ricambiato,
e che non è mai la stessa ad ogni reincontrato
sogno ma neppure altra, e mi comprende e m’è amante.

Poiché ella mi capisce, il mio cuore, trasparente
soltanto per lei, eh già!, cessa d’essere tremore
per lei, della mia allibita fronte il sudore
lei sola sa rinfrescare, piangente.

È bruna, bionda o rossa? Io l’ignoro.
Il suo nome? Mi ricordo che è dolce e sonoro
come quello degli amati che la vita scaccia.

Pari a quello delle statue è il suo sguardo,
e, lontana e calma, grave, la sua voce abbraccia
morte voci nel pieno del riguardo.

A una donna

A voi questi versi per la grazia consolante
dei vostri grandi occhi dove ride e piange un grande sogno,
per l’anima vostra pura e buona, a voi – senza bisogno –,
questi versi dalla mia disperazione affondante.

Ahimè, l’incubo schifoso che mi bazzica braccante
non ha tregua e va furioso, folle, geloso,
si moltiplica quale coorte di lupi – manto peloso –
e si lega alla mia sorte sanguinante!

Oh! soffro, soffro orribilmente affronto
e il primo gemere del primo uomo cacciato dal Paradiso,
non è che un’egloga al mio in confronto!

E le premure che voi avete fanno buon viso
a rondini su di un cielo nel mezzogiorno passato
cara! – da un bel giorno di settembre dolciato.

L’angoscia

Natura, niente di te mi commuove, né gli spanti
campi, né l’eco vermiglia dei pastorali
siciliani, né le magne aurorali,
né la solennità dolente dei calanti.

Io rido dell’Arte, rido pure dell’Uomo, dei cantabili,
dei versi, dei templi greci e delle torri a spirali
che slanciano nel cielo vuoto le cattedrali,
e vedo con lo stesso occhio buono e non amabili.

Non credo in Dio, abiuro e rinnego,
ogni pensamento, e in quanto al vecchio diniego,
l’Amore, vorrei che non più se n’andasse a dire.

Tedio di vivere, avente paura di morire, eguale
al vascello perduto nel gioco del fluire e rifluire
l’anima mia salpa per naufragi nel male.

Di Paul Verlaine (Metz, 1844, – Parigi, 1896) uno dei massimi poeti della letteratura francese, ci piace di ricordare Poèmes saturniens (1886), Fétes galantes (1869), La  bonne chanson (1870), Romances sans parole (1874) e Sagesse (1881). In questa versione, a fatica, s’è tentato di ricostruire, non senza cedimenti, un certo linguaggio.

 

 

 

 

©Bo Summer’s 2014
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che rovesciato s'ascoltasse


Che rovesciato s’ascoltasse il di fuori! Come se fosse fatto viso, violento. Ma poiché c’è, questa tua faccia, su cui venire, fino in fondo, così, in duplice enunciata orgasmica quasi a rivivere in un’ondulazione di spasmi. Tu dici. La fine dei tre giorni insieme. Diverso. Meno presente. Col membro che si solleva da solo.

È un gesto, ormai, leggere i tuoi occhi. Noi eravamo, e si vede che è così, qui, alle stoffe, per colmare ciò che non è stato. E dell’aria sussiste.

Qualcosa, i frammenti di sbieco, discosti da un riflesso.

È difficile, adesso, risalire. Quasi agitata, la mente. Era senza questo presente, lo scorrere del tempo che torna da uno scambio, s’interrompe. S’era interrotto. Ma ripiegava ogni volta e ogni volta una registrazione, non proprio ogni volta, c’era.

Non più precisi di così, ero io, restavo. Perché vengono. Questo è accumularsi, dilatarsi, mentre l’insieme di tutte le cose non vien detto qui. Lo trovo, oggi, sull’orlo coricato.

Voi, in piedi, di fianco, dentro l’operazione. E non io in quel numero. La torsione era dunque l’eco.

Istantaneamente profondità o meglio: la carne, quel salto che risponde quale era scritto. Come se il muro, là, non altro colore potesse ricevere, per cui: il sudore.

Così, il punto e gli occhi, una forma che copre e allora sorge la testa. Questo richiamo, la bocca di qualcuno al seme, l’episodio che non avrebbe reso il rosso, il cielo riflesso, strappato nel quadro, terroso, dalla parte giusta che è poi la stessa che indicano tutti.

Al momento, in questo recesso, che è un momento di noi, gridando alla gola, venivamo.

S’apriva, così, a darci, in rilievo remoto.

[Minime Anime: Qualcuno mi ha chiesto di poterlo leggere, quel testo. Pochi, invero, ma si sa che a me basta così.

La stesura originale apparve, per diretto interessamento di Ubaldo Giacomucci, nella rivista "Tracce, trimestrale di scrittura multimediale", anno V, Luglio/Agosto 1986. Qui se ne presenta una versione con non poche variazioni perché il tempo è passato ed è giusto così.]

mercoledì 12 luglio 2023

Yukio Mishima o dell’estrema santificazione della sessualità


Yukio Mishima 06

Quando pensiamo all’altrui felicità, affidiamo agli altri, e sogniamo a nostra insaputa, una nuova forma di realizzazione dei nostri desideri e ciò può renderci più egoisti di quando pensiamo alla nostra felicità personale. (da Colori proibiti)

 

Scrittoredrammaturgosaggistapoetapatriota e paramilitare giapponese. Ma, anche, aggiungerei, intellettuale a tutto tondo, scrittore, poeta, sceneggiatore, attore, regista e politico. E poi, ancora, sportivo e dandy. Praticava  kendo e  iaido ed aveva uno spiccato e narcisistico culto del corpo.

Non so se ho citato tutto ma l’idea del personaggio parrebbe abbastanza completata.

La nonna, appena dimessa dal più grande ospedale psichiatrico di Tokyo, lo sottrae sin da subito alle cure della madre, una geisha sposata dal figlio a Las Vegas.

E così, nonna e madre, creano un giro di prostituzione, con la copertura di spettacoli teatrali Kabuki.

Cresce fra maschere, trucco pesante, prostitute e prostituti, fra cerimonie religiose shinto e bestemmie pronunciate in improbabile francese.

Ancora mi chiedo se sia giusto ridurre la vita di un essere umano ad una sterile etichetta e se questa distanza che si pone, per poca conoscenza, ci può permettere davvero di metterci in gioco e di imparare.Yukio Mishima 03

Ci si avvicina al bersaglio passando ben oltre il personaggio e trovando l’uomo.

Conosciamo la sua morte avvenuta in diretta televisiva nel 1970 all’età di quarantacinque anni, data studiata e ponderata accuratamente, con il suicidiorituale (seppuku) durante l’occupazione simbolica del Ministero della difesa.

Suggellò la conclusione insieme della sua vita e della sua vicenda letteraria.

Dagli ambienti religiosi dov’era situato originariamente, l’amore nei confronti d’un compagno dello stesso sesso si trasferì in ambito militare, nella classe guerriera dunque, era consuetudine per un giovane samurai essere apprendista di vita d’un uomo più anziano ed esperto: il giovane sarebbe stato anche l’amante dell’uomo più grande per molti anni, fino alla conclusione del suo apprendistato.

Shudo, una tradizione tenuta in gran considerazione dalla casta guerriera.

E poi, insomma, non tutti sanno che i giovani attori maschi, i kabuki, molto spesso lavoravano anche come prostituti quando non erano impegnati in teatro, sempre protetti da persone influenti e benestanti che arrivavano anche a competere ferocemente tra loro per poterne comprare i favori.

Yukio Mishima 05Prostituzione maschile che serviva una clientela a sua volta esclusivamente maschile, in bordelli o case da tè specializzate in tali servizi, chiamata kagema.

Di solito, il prostituto, veniva pagato di più di una prostituta donna, pur mantenendo uno status del tutto equivalente.

Molti di loro erano stati venduti da bambini, in qualità di servitori, ai bordelli o ai teatri, e generalmente rimanevano sotto contratto decennale.

Il kagema poteva a sua volta suddividersi in yaro (giovane uomo), wakashū (adolescente) e onnagata (imitatori del sesso femminile, di cuiKazuo Onho ne fu un mai dimenticato, per me,  rappresentante).

Kagema, un business fiorente fino alla metà dell’800 ma il termine continua ad esser utilizzato oggi nello slang omosessuale giapponese.

Il carisma di Mishima e l’impatto che ha avuto sono così grandi che ancora si sente spesso soltanto etichettarlo, negativamente di solito, come un estremista di destra, tacciato di “fascismo” mentre in realtà interpretava una personale visione del nazionalismo nipponico, in chiave nostalgica, un conservatore decadente come lo definì Alberto Moravia che lo aveva incontrato nella sua casa in stile occidentale in un sobborgo di Tokyo.

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Si autodefiniva apolitico e antipolitico, fu definito un buffone, un folle, un omosessuale e altro ancora.

 

Il contesto: siamo negli anni ’60 e il Giappone sopravvive alla sua era post bellica con i “regali” ricevuti dalla guerra: la costituzione giapponese e l’orrore delle bombe atomiche.

Mishima si muove nel teatro reale di un Giappone costretto a piegarsi all’economia occidentale, adattandosi, così, alle leggi di un Mondo che si muove verso il capitalismo e smarrisce l’origine legata a valori cavallereschi quale l’onore, la tradizione, la ricerca del bello in quanto buono, giusto, piacevole.

Mutamento che vide i suoi albori l’8 luglio 1853 quando un anziano Commodore, Mattew Perry, alla guida delle navi “nere”, ancorò nel porto di Edo-Tokyo e impose alla nazione di aprire le porte ad americani ansiosi di penetrare in una nazione ricca.

L’omosessualità era un modo onorevole di vivere tra i leader militari e/o religiosi del Paese, ed era comune all’interno della cultura dei samurai. E Mishima era una samurai.

Un guerriero antimodernista, un samurai fuori tempo massimo che fondò una sorta di guardia pretoriana/movimento politico detto  Tate no Kai (Società degli scudi).

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La sete di successo lo invoglia a scrivere pregevoli libri come Colori proibitiMusicaIl padiglione d’oro e varie raccolte di racconti, altri composti invece soltanto per potersi procurare i soldi con cui pagare, molto probabilmente, i suoi prostituti come Sete d’amoreStella meravigliosaUna virtù vacillante.

Prima dell’Età Moderna non vi erano delle leggi che regolassero in alcun modo il comportamento sessuale. Né lo Shintoismo né tanto meno l’interpretazione giapponese del Confucianesimo hanno mai contenuto alcun divieto al riguardo. Le relazioni tra adulti consenzienti dello stesso sesso sono perfettamente legali, ma alcune prefetture fissano un’età di consenso maggiore rispetto a quella richiesta per le attività sessuali etero.  Questo. Contrariamente a quanto accade in Occidente, in Giappone la sessualità non viene intesa eminentemente in termini di morale, bensì di status, di responsabilità sociale.

Esiste una legge che proibisce la discriminazione sul lavoro basata sull’identità sessuale, anche se non estende la protezione alla discriminazione basata su un più ampio concetto di orientamento sessuale (protegge in tal modo molto più la persona transessuale piuttosto che quella omosessuale).

Le sue preferenze sessuali non erano un segreto e le sue immagini più erotiche ben le rappresentano.

Vorrei dire che, noi occidentali, dovremmo essere stati ben educati, nel senso che siamo stati tirati su aPlatone e  Simposio e ci dovrebbe essere stato insegnato a capire che tutti gli esseri umani sono un insieme di maschio e femmina.  Dovremmo essere ben istruiti. Dovremmo.

Basta soltanto leggere l’opera di Mishima per saperlo, chi fosse, nessuno stupore.

In modo particolare il suo Confessioni di una maschera e basta soltanto conoscere un po’ della tradizione samurai, essere consapevoli che, come nell’antica Grecia, c’era una lunga e onorabile tradizione di relazioni omosessuali tra uomini anziani e più giovani.

Tutto questo è un interminabile, ma personale mio modo di affrontare l’argomento.

Ma intanto vi dico che, dopo aver tentato per l’ennesima volta di togliersi la vita per esser stato giudicato non idoneo alla visita militare, Mishima entra nel mondo intellettuale di sinistra, fingendo di essere un comunista, logorroico e populista.

Ma, in primo luogo, si può dire che c’è un romanticismo particolarmente ridondante sul tema della Seconda Guerra Mondiale e il Giappone. Qui torna utile il parallelismo con il nostro Gabriele D’Annunzio (altro personaggio, da questo punto di vista).

Non mi risulta che il Giappone abbia mai legiferato in modo esplicitamente anti-omosessuale, ha invece alcune leggi che cercano di tutelare i cittadini che lo sono: inoltre esistono delle tutele legali per le persone transessuali.

Per comprendere meglio il pensiero di Mishima, si potrebbe rileggere Confessioni di una maschera, poiché lì c’è una scena che, secondo me, è fondamentale per rileggere la sua sessualità, in cui il narratore, lo stesso Autore – effettivamente è parte della sua autobiografia – osserva da lontano come la città di Tokyo va in fiamme, dopo essere stata bombardata dai B-29 dell’aeronautica statunitense.

La descrizione della sua reazione a questo “spettacolo” – e cioè l’uccisione di decine di migliaia di cittadini di Tokyo, uomini, donne e bambini – è, per lui come se si trattasse della meraviglia di giganti fuochi d’artificio e non di un feroce attacco dall’alto, come fosse un qualcosa di epico e maestosamente colorato.

Ci sarebbe molto, molto di più da dire su questo argomento, su questi immaginifici fuochi pirotecnici anche a livello erotico, proprio.

Mishima tocca un tema tabù, secondo me, la morte nel sesso, cui pochissime persone hanno mai scelto di fare allusione.

Ha, così, come strappato via la tenda, il velo d’oscuramento. Ma non se ne parla volentieri. Mi pare.

Date solo il diritto di possedere tali armi e di usarle sui corpi, qualora lo decidessimo, questo pare dire, ciò che è giusto è giusto.

Poco prima del suo suicidio aveva consegnato all’editore l’ultima parte della tetralogia Il mare della fertilità (completata comunque circa tre mesi prima della consegna, ma sulla quale appare, nell’ultima pagina, la data simbolica “25/11/1970”, quasi come a volere lasciare il suo ultimo testamento).Yukio Mishima San Sebastian 00

Quindi, il Nostro, nella sua adolescenza, era cresciuto in un’atmosfera di magnifico apprezzamento per la morte, quasi per qualsiasi motivo, in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento.

C’è una linea dritta che corre tra la sua adolescenza e il suo militarismo romantico della metà e soprattutto della fine degli anni ’60 e questa linea retta porta alla sessualità mortale.

Un salto avanti: alcuni personaggi politici giapponesi hanno cominciato da pochi anni a parlar pubblicamente della propria omosessualità: nel 2003 Aya Kamikawa è stata la prima candidata transessuale ad una carica pubblica. Nel 2005 Kanako Otsuji fece coming out dichiarando d’essere lesbica.

Un salto indietro: ma come veniva considerata l’omosessualità di Mishima? Un uomo in cui convivevano il desiderio di vivere in eterno e di gridare contro il mondo in cui voleva vivere ma che non poteva accettare con l’idea dell’annullamento fisico? Un uomo che era cresciuto in un bordello teatrale di Tokyo.

Oggi che l’accettazione dell’omosessualità dovrebbe essere aperta, sostanzialmente, le preferenze di uno scrittore come Mishima non dovrebbero risultare scioccanti, né in Giappone né in Occidente.

Pulsioni forti, estreme. Infatti, ciò che risulta essere ancora scioccante sono l’estrema fisicità e il piacere in quello che Mishima chiamava il suo “teatro dell’assassinio” che, appunto, sta anche dentro una certa tanto deprecata sessualità.

Sarebbe utile consultare, per questo argomento, l’immagine di San Sebastiano, come appare nel ritratto di Guido Reni. Mishima doveva avere gusti estremi e molto particolari anche nel sesso se si è fatto rappresentare allo stesso modo.

La sua uscita di scena era stata organizzata con lucidità e freddezza. Uscendo dal suo studio per andare incontro all’epilogo della propria vita lascia un biglietto in cui era scritto “La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre”.

Quando non si è mai conosciuta la felicità non si ha il diritto di disprezzarla. Ma io do un’impressione di esser felice in cui nessuno potrebbe scoprire la benché minima incrinatura, e quindi ho il diritto di disprezzarla né più né meno di chiunque altro. (da Confessioni di una maschera)