sabato 30 novembre 2024

lentezza

Il piacere della lentezza, quel dolce languore che accarezzava l’anima e donava al tempo un respiro quasi sacro, è ormai svanito come una nube dissolta dal vento. Non resta che il ricordo sbiadito di un mondo in cui gli uomini sapevano ascoltare il silenzio, accarezzare l’immobilità e affidarsi al fluire naturale della vita, senza fretta né costrizioni. I vagabondi, antichi eroi delle ballate popolari, sono scomparsi insieme ai sentieri che un tempo serpeggiavano tra i campi, alle radure segrete dove il sole filtrava tra le foglie, ai prati che si offrivano come letti verdi sotto il manto stellato della notte. Erano uomini liberi, poeti senza penna, pellegrini senza meta, che percorrevano la terra non per arrivare da qualche parte, ma per il puro piacere di esserci, in armonia con il mondo. Vivevano come figli della natura, accolti dal cielo e dalla terra, e alzavano lo sguardo verso le finestre degli dèi, quelle aperture misteriose sull’infinito che illuminavano il loro vagabondare.

In quel tempo, l’ozio non era una colpa, ma un dono. Era un’arte sottile, una celebrazione dell’attimo presente, una comunione con il ritmo lento e profondo dell’universo. Non si cercava di colmare il silenzio o di riempire il vuoto, poiché entrambi erano carichi di vita, di suoni sommessi e di presenze invisibili. Ogni pausa era un invito alla contemplazione, un’apertura verso l’eterno. Il fruscio dell’erba sotto i piedi, il canto sommesso di un ruscello, il sospiro del vento tra i rami erano abbastanza per riempire l’anima di chi sapeva ascoltare. L’ozio era un atto di fede nella bellezza del mondo, un ritorno al grembo degli dèi, un abbandono fiducioso all’ordine naturale delle cose.

Ma tutto questo è finito. La lentezza, con la sua grazia e il suo mistero, è stata spazzata via da un nuovo ritmo, frenetico e implacabile, che ha trasformato l’ozio in un’inattività sterile e vuota. L’uomo moderno non sa più cosa significhi fermarsi e ascoltare; non conosce più la pace di un cuore che batte in sintonia con la terra. L’inattività non è contemplazione, ma assenza di vita, un vuoto che non si riempie di silenzio ma di inquietudine. Non c’è più armonia tra l’uomo e il tempo: il tempo è diventato un nemico, una corsa contro un orologio che non si ferma mai.

L’uomo di oggi non guarda più verso le finestre degli dèi. Non alza lo sguardo verso il cielo, ma lo tiene basso, fisso sulla polvere della terra o perso in un vortice di pensieri che non portano da nessuna parte. Non sa più camminare con leggerezza; corre, sempre di fretta, sempre in fuga, spinto da un’ansia che lo consuma dall’interno. Ogni momento di immobilità è per lui un peso insostenibile, un vuoto che lo opprime e che cerca disperatamente di colmare con attività inutili, con un movimento perpetuo che non lo conduce a nulla. Corre, ma la sua corsa non ha meta; lotta, ma la sua lotta è vana. Si dibatte come un prigioniero che tenta di liberarsi da catene invisibili, senza accorgersi che è lui stesso a stringerle intorno a sé.

E così si consuma, giorno dopo giorno, svuotato dal ritmo implacabile di un’esistenza che lo spinge sempre avanti, sempre più lontano da ciò che conta davvero. La natura, che un tempo era il suo rifugio e la sua maestra, è ora distante, dimenticata, quasi irraggiungibile. I sentieri che attraversavano i campi sono stati cancellati; i prati dove un tempo si poteva sostare in pace sono scomparsi, inghiottiti dal cemento e dall’oblio. Le stelle, che un tempo brillavano come occhi degli dèi, sono ora fredde e lontane, nascoste dietro un velo di indifferenza. L’uomo moderno è rimasto solo, separato dal mondo e da se stesso, incapace di fermarsi, incapace di trovare pace.

La lentezza, quel respiro profondo che dava significato alla vita, è morta. Con essa se ne sono andati i vagabondi, i viandanti, i poeti erranti che sapevano ascoltare il silenzio e dialogare con gli dèi. Sono svaniti i sentieri, i boschi, le radure; è scomparso un intero universo fatto di quiete e meraviglia. Al suo posto è sorto un mondo di frenesia e vuoto, un mondo in cui l’uomo è schiavo del tempo e del movimento, incapace di fermarsi, incapace di essere. L’uomo moderno ha perso il contatto con le finestre degli dèi, con quel respiro eterno che dava senso alla sua esistenza. Ora non gli resta che correre, sempre più veloce, verso un orizzonte che non raggiungerà mai, fuggendo da se stesso e dalla verità del mondo. La lentezza non tornerà più; e con essa è svanito il canto dell’anima, il sussurro degli dèi, il segreto della vita stessa.

"Aut-Aut" di Søren Kierkegaard

"Aut-Aut" (Enten-Eller in danese), pubblicato nel 1843, è una delle opere più celebri e complesse di Søren Kierkegaard, il padre dell’esistenzialismo. Si tratta di un libro monumentale che esplora il significato dell’esistenza attraverso una contrapposizione fra due modi di vivere: l’estetico e l’etico. Il titolo stesso, che significa “O-O” in latino, richiama il tema della scelta irriducibile, elemento centrale del pensiero kierkegaardiano.

Il libro si presenta come una raccolta di scritti di due autori immaginari: A, rappresentante della vita estetica, e B, o il Giudice Wilhelm, che difende la vita etica. Le loro visioni sono inserite in una cornice epistolare che amplifica l'effetto dialogico e polemico.

La parte estetica è curata da A, un esteta che cerca la bellezza e il piacere come fini ultimi della vita. I suoi scritti includono:

Il diario di un seduttore, un racconto raffinato e perverso che descrive l’arte di conquistare e manipolare senza mai compromettersi emotivamente. È un inno all’individualismo edonista, ma velato da una malinconia profonda.

Altri saggi che riflettono sull’arte, sulla musica e sulla bellezza, visti come antidoti alla noia e al vuoto esistenziale.

A è affascinante, ma intrappolato in una disperazione silenziosa. Kierkegaard, attraverso di lui, mostra come la ricerca di piacere e significati effimeri conduca inevitabilmente al vuoto.

B, il Giudice Wilhelm, risponde con una visione opposta. Nei suoi scritti esorta A a scegliere la responsabilità e l’impegno. La vita etica, secondo lui, consiste nell’assumersi le conseguenze delle proprie scelte, accettando il peso della libertà e il dovere verso gli altri.

Il matrimonio viene preso come simbolo di un’esistenza autentica e responsabile, contrapposta alla frivolezza dell’esteta.

B esplora anche il concetto di pentimento, inteso come passaggio necessario per accedere a una vita pienamente consapevole.

La scelta: Non esiste una via di mezzo tra estetico ed etico; bisogna scegliere. La scelta è irriducibile e definisce l’individuo.

Disperazione: Sia la vita estetica che quella etica non sono definitive. Kierkegaard suggerisce che oltre a queste due dimensioni esiste un livello superiore: la vita religiosa, basata su un rapporto diretto con Dio.

Libertà e responsabilità: La libertà non è mero arbitrio, ma capacità di agire in modo significativo all’interno di vincoli morali ed esistenziali.

"Aut-Aut" non è un’opera facile. La sua struttura frammentaria e i diversi registri stilistici (dal lirico al filosofico) lo rendono impegnativo. Tuttavia, questa varietà riflette l’intenzione di Kierkegaard di coinvolgere il lettore in un processo attivo di riflessione.

È un libro profondamente moderno, che anticipa le questioni dell’esistenzialismo e mette a nudo la condizione umana in tutta la sua angoscia e grandezza.

Immagina di trovarti di fronte a un bivio esistenziale, senza alcuna indicazione su quale strada percorrere. È qui che ti conduce "Aut-Aut" di Søren Kierkegaard, un'opera che non si limita a interrogarti ma ti costringe a fare una scelta: vivere per il piacere effimero o per una responsabilità più profonda e autentica. Pubblicato nel 1843, il libro non è solo un trattato filosofico, ma una vera e propria sfida intellettuale, una battaglia tra due visioni della vita: quella estetica e quella etica.

Kierkegaard costruisce la sua opera come un dialogo epistolare tra due personaggi immaginari, A e B, i portavoce di due modi opposti di affrontare l’esistenza. A, l’esteta, incarna il culto della bellezza, del piacere, dell’arte come rifugio dal vuoto della vita. B, il Giudice Wilhelm, risponde con fermezza, difendendo il valore della scelta morale e della responsabilità.

La prima parte del libro è dominata dalla voce seducente di A, che ti invita in un mondo dove il piacere è l’unico dio. È lui a scrivere il celebre "Diario di un seduttore", un racconto che scivola tra le righe con una grazia inquietante. Qui, un giovane uomo descrive con cinica eleganza l’arte di conquistare una donna solo per abbandonarla al momento giusto, prima che l’intimità diventi un peso. È una visione della vita affascinante e pericolosa: un’estasi momentanea che nasconde, appena sotto la superficie, un vuoto esistenziale soffocante.

Ma A non è solo un seduttore. È anche un amante dell’arte, della musica, della bellezza in tutte le sue forme. Per lui, vivere significa evitare il dolore a ogni costo, immergersi in un’estetica che anestetizza l’angoscia. Eppure, anche lui sa che questa fuga non può durare per sempre.

A questo fascino decadente risponde il Giudice Wilhelm, il portavoce della vita etica. Le sue lettere sono un appello accorato a prendere sul serio la propria esistenza. Secondo lui, vivere davvero significa abbandonare il culto del sé e accettare il peso delle scelte. E la scelta più nobile, simbolo della vita etica, è il matrimonio: un impegno che unisce bellezza e dovere, piacere e sacrificio.

Wilhelm non si ferma qui. Parla del pentimento come passaggio necessario per abbracciare la propria umanità, e mostra come la disperazione estetica sia solo il primo passo verso una vita più piena. Ma attenzione: anche la vita etica non è la meta finale. Kierkegaard lascia intravedere un livello ancora più alto, la vita religiosa, in cui l’individuo si arrende al mistero e si affida a Dio.

La vera protagonista di Aut-Aut è la scelta. Kierkegaard ti mette di fronte all’idea che non puoi vivere in bilico tra le due strade: devi decidere. Non esiste neutralità, e questa responsabilità è ciò che definisce l’essere umano. Ma scegliere non è mai facile, perché ogni scelta comporta una rinuncia e, in fondo, una perdita.

Questo non è un libro da leggere distrattamente. Aut-Aut ti costringe a guardarti dentro, a chiederti chi sei e cosa vuoi diventare. È un testo ricco di contrasti, scritto con uno stile che alterna lirismo e precisione filosofica, capace di incantare e destabilizzare.

Alla fine della lettura, non troverai risposte. Kierkegaard non ti offre soluzioni pronte, ma solo la consapevolezza che la tua vita è nelle tue mani. Forse è proprio questo il suo dono più grande: ricordarti che, come dice il titolo, o vivi una vita superficiale e disperata, o scegli di affrontare l’angoscia della responsabilità. La scelta, come sempre, spetta solo a te.

"Aut-Aut" di Søren Kierkegaard è un libro che non ti lascia scampo: o lo accetti come un invito a riflettere sulla tua esistenza, o lo rifiuti, ma in ogni caso ti costringe a confrontarti con la scelta. Pubblicato nel 1843, è una delle opere più potenti e disturbanti della filosofia moderna, un dialogo travestito da raccolta epistolare, in cui due visioni opposte della vita si fronteggiano con intensità. Da un lato c’è la vita estetica, dedita al piacere, alla bellezza, al godimento immediato. Dall’altro, la vita etica, fondata sulla responsabilità, sull’impegno, sulla consapevolezza che ogni azione ha un peso morale.

Il libro si muove su due registri. Il primo è affidato ad A, un esteta che vive di piaceri fugaci e rifiuta ogni vincolo. La sua voce è ironica, brillante, ma anche profondamente malinconica. Il suo manifesto si trova nel celebre "Diario di un seduttore", un racconto di manipolazione emotiva in cui un giovane affascina una donna solo per il gusto di abbandonarla al momento giusto, evitando di legarsi in modo autentico. Qui, la seduzione non è solo un gioco, ma una metafora di un’esistenza che rifugge qualsiasi impegno per paura del fallimento. L’arte, la musica e l’estetica diventano per A una via di fuga dal vuoto dell’esistenza, ma questa bellezza effimera si rivela incapace di colmare la disperazione che lo perseguita.

Dall’altra parte si erge la figura del Giudice Wilhelm, portavoce della vita etica. La sua voce è ferma, paterna, e invita il lettore a confrontarsi con la responsabilità delle proprie scelte. Per Wilhelm, vivere significa prendere posizione, accettare i propri limiti e costruire un’esistenza autentica attraverso il sacrificio e l’impegno. Il matrimonio, per lui, è l’espressione più alta di questa visione: un’unione che non si basa solo sul sentimento, ma sulla volontà di condividere un destino comune. Wilhelm non nasconde le difficoltà di questo percorso, ma sostiene che solo affrontandole si può trovare un senso più profondo nella vita.

Dietro queste due voci, tuttavia, si nasconde la vera ambizione di Kierkegaard: portarti oltre. La scelta tra estetico ed etico non è l’ultima parola, perché entrambe le vie conducono, prima o poi, alla disperazione. Esiste una terza possibilità, la vita religiosa, in cui l’individuo abbandona ogni illusione di autosufficienza e si affida completamente a Dio. Kierkegaard non la esplora direttamente in Aut-Aut, ma ne lascia intravedere l’orizzonte come una promessa lontana.

Questo libro non è una lettura facile. Il suo stile è vario e complesso, oscillando tra il lirismo del seduttore e l’argomentazione rigorosa del Giudice. Ma è proprio questa varietà a renderlo unico, perché riflette la complessità dell’esperienza umana e ti costringe a interrogarti continuamente. Kierkegaard non ti offre risposte definitive, né cerca di convincerti. Vuole che tu scelga, che affronti l’angoscia della libertà e la responsabilità che ne deriva.

Aut-Aut non è solo un libro, ma una sfida. Ti costringe a guardarti dentro e a chiederti: vuoi vivere per te stesso, inseguendo un piacere che svanisce, o sei disposto ad affrontare il rischio e il dolore di una vita autentica? La risposta non può dartela nessuno, perché, come dice Kierkegaard, "la scelta spetta solo a te".

Ci sono ancora alcuni aspetti di Aut-Aut che meritano di essere evidenziati per cogliere appieno la profondità del testo.

Una delle chiavi per comprendere il libro è il modo in cui Kierkegaard affronta il tema della disperazione. A prima vista, potrebbe sembrare che il personaggio di A, con la sua vita fatta di piaceri e arte, sia libero dal peso delle responsabilità morali. Ma la disperazione, ci dice Kierkegaard, non è sempre evidente: può nascondersi dietro il cinismo, dietro la bellezza, dietro il rifiuto di guardare in faccia il vuoto. A vive una vita estetica non tanto per scelta consapevole, ma per paura. È una fuga costante dall'angoscia di confrontarsi con la propria libertà, che culmina in una solitudine incolmabile. Questo fa sì che la sua figura sia, paradossalmente, tanto affascinante quanto tragica.

Wilhelm, d’altro canto, rappresenta una forma più matura di umanità, ma anche la sua posizione non è priva di contraddizioni. Sebbene difenda la vita etica come superiore rispetto a quella estetica, Kierkegaard non la presenta mai come un traguardo definitivo. Wilhelm è un uomo che ha trovato un senso nel vivere per gli altri, ma è comunque limitato dalla finitezza della condizione umana. Questa consapevolezza rende la vita etica, per quanto nobile, insufficiente. È solo accettando la propria disperazione e affidandosi al paradosso della fede che si può sperare di superarla.

Un altro elemento cruciale è il ruolo della scelta non solo come tema filosofico, ma come esperienza vissuta. Kierkegaard scrive per il singolo individuo, non per una massa anonima. Quando leggi Aut-Aut, non puoi fare a meno di sentire che le domande non sono rivolte ad A o a Wilhelm, ma direttamente a te. Non si tratta solo di una scelta tra estetico ed etico: la scelta più profonda è quella di accettare il fatto stesso di scegliere, di abbracciare la tua libertà e di vivere in modo autentico, anche a costo di confrontarti con l'angoscia e la finitezza.

Vale la pena soffermarsi sulla scrittura di Kierkegaard. Il suo stile è un intreccio straordinario di ironia, lirismo, profondità filosofica e introspezione psicologica. Leggere Aut-Aut non è solo un esercizio intellettuale: è un’esperienza emotiva che ti accompagna a lungo. Kierkegaard si muove con una libertà impressionante tra narrazione, dialogo e riflessione filosofica, e riesce a creare un'opera che è insieme un'opera d'arte e un viaggio nell'anima umana.

Aut-Aut non è un semplice libro da "capire": è un libro da vivere. Le sue domande restano aperte, perché non esiste una verità universale che possa valere per tutti. La risposta, come Kierkegaard insiste, è personale e inalienabile. La forza di questo libro sta nel suo rifiuto di offrirti soluzioni facili, spingendoti invece a cercare la tua strada, anche a costo di perderti lungo il cammino.

Un aspetto che merita di essere approfondito riguarda il contesto storico e personale in cui Kierkegaard scrive Aut-Aut. L'opera non è soltanto il frutto di un pensiero filosofico astratto, ma nasce da una profonda crisi esistenziale vissuta dall’autore stesso. Nel 1841, appena due anni prima della pubblicazione, Kierkegaard aveva rotto il fidanzamento con Regine Olsen, un evento che lo segnò profondamente e che influenzò molte delle sue riflessioni sulla scelta e sul sacrificio.

La frattura con Regine può essere letta come l’origine della tensione tra vita estetica ed etica che permea l’intero libro. Kierkegaard, innamorato ma incapace di conciliare il matrimonio con la sua vocazione religiosa e filosofica, si trovò costretto a scegliere. Questa esperienza personale conferisce al testo un’urgenza e una sincerità che lo distinguono dalle opere puramente speculative di altri filosofi dell’epoca. Kierkegaard non parla per teoria: ogni parola è il risultato di un dramma vissuto.

Un altro punto interessante è l’approccio antimoderno di Kierkegaard. In un’epoca dominata dall’ottimismo hegeliano, che vedeva la storia e la ragione come strumenti di progresso inevitabile, Kierkegaard si oppone con forza. In Aut-Aut non c’è alcun trionfo della ragione universale o della società. Il suo interesse è tutto per l’individuo, la singola persona che, davanti al peso della propria libertà, si trova isolata, lontana da ogni consolazione collettiva. È una posizione radicale, che anticipa temi centrali del pensiero esistenzialista del Novecento, da Sartre a Heidegger.

Un ulteriore elemento di riflessione riguarda il gioco ironico e il paradosso che permeano l’opera. Kierkegaard non è mai completamente diretto: sia A che B sono maschere, personaggi letterari attraverso cui esplora le diverse possibilità dell’esistenza. Questo uso della pseudonimia, tipico del suo stile, serve a creare una distanza tra autore e testo, lasciando il lettore libero di interpretare e, soprattutto, di scegliere. Non si tratta di insegnare una dottrina, ma di coinvolgere chi legge in un processo attivo di introspezione.

Vale la pena soffermarsi sul messaggio religioso sottostante. Anche se Aut-Aut si concentra principalmente sulle dimensioni estetica ed etica, Kierkegaard prepara il terreno per quella che considera la vera risposta al dramma umano: il rapporto con Dio. La fede, per lui, è un atto paradossale, che supera la razionalità e le categorie morali. Questo non significa rinunciare alla scelta, ma portarla a un livello superiore, accettando l’assurdità e il mistero dell’esistenza.

Aut-Aut è molto più di un libro sulla scelta tra piacere e dovere: è un’opera che abbraccia la complessità della condizione umana, dal desiderio di bellezza alla paura della solitudine, dalla responsabilità morale all’angoscia metafisica. Resta un testo di straordinaria modernità, che non smette di interrogare chiunque abbia il coraggio di confrontarsi con le grandi domande dell’esistenza.

C’è ancora molto da scavare in Aut-Aut, un’opera che, come la vita stessa, sembra non esaurirsi mai. Un elemento che spesso passa in secondo piano, ma che merita attenzione, è il modo in cui Kierkegaard esplora il tempo e la temporalità nella vita estetica ed etica.

Per A, il tempo è nemico. L’esteta vive nel presente, o meglio, in un presente frammentato fatto di momenti di piacere che si consumano e svaniscono rapidamente. Questo rapporto col tempo è intrinsecamente tragico: ogni gioia è destinata a finire, e più A cerca di ignorare il passato e il futuro, più ne resta intrappolato. Il suo è un tentativo continuo di fermare il flusso del tempo attraverso l’arte, la bellezza e il godimento, ma tutto ciò non fa che accentuare l’angoscia del vuoto.

Al contrario, Wilhelm, il Giudice, vede il tempo come il contesto in cui l’essere umano costruisce se stesso. Per lui, la vita non si misura nei singoli momenti, ma nella continuità delle scelte e degli impegni. La vita etica è una narrazione che si sviluppa nel tempo, una storia in cui ogni decisione contribuisce a dare senso all’intero percorso. In questo, Kierkegaard anticipa idee che saranno centrali nel pensiero di Heidegger, per il quale l’essere autentico si realizza solo nel tempo, attraverso la consapevolezza della propria finitezza.

Un altro aspetto da sottolineare è il linguaggio della seduzione presente nel "Diario di un seduttore". Non è solo una narrazione di manipolazione psicologica, ma una riflessione sul potere della parola e sull’arte come inganno. Johannes, il seduttore protagonista, usa il linguaggio per costruire un mondo fittizio, un teatro in cui può controllare ogni elemento. Questo sottolinea un tema centrale in Kierkegaard: la differenza tra l’apparenza e la realtà, tra ciò che mostriamo al mondo e ciò che siamo davvero. La vita estetica, in definitiva, è una vita costruita sull’inganno, non solo verso gli altri, ma anche verso se stessi.

Inoltre, c’è una tensione nascosta tra i due protagonisti. Wilhelm critica A con una severità che, a tratti, sembra tradire una certa invidia o rimpianto. L’immediatezza della vita estetica, per quanto effimera e disperata, ha una leggerezza che la vita etica, con il suo peso di responsabilità, non può offrire. Kierkegaard non risolve mai del tutto questa tensione, lasciandola aperta per il lettore, come a ricordarci che entrambe le scelte, in modi diversi, conducono all’angoscia e alla possibilità di una redenzione che solo la fede può offrire.

Si può parlare dell’eredità di Aut-Aut. Quest’opera non è solo un caposaldo del pensiero esistenzialista, ma ha influenzato anche la letteratura e l’arte, da Kafka a Camus, da Sartre a Beckett. Tutti hanno trovato in Kierkegaard una voce che esprime il dramma dell’essere umano moderno, intrappolato tra il desiderio di libertà e il peso della responsabilità, tra la seduzione dell’effimero e il richiamo dell’eterno.

Aut-Aut è un testo che non può essere "esaurito". Ogni lettura, ogni ritorno, rivela nuovi strati di significato. Kierkegaard stesso, forse, avrebbe sorriso all’idea che qualcuno cercasse di dirne "tutto", perché l’essenza del libro sta proprio nel suo invito a continuare a cercare, a interrogarsi, a scegliere. Una scelta che, come il titolo suggerisce, non possiamo mai evitare.

Un aspetto che merita di essere menzionato è il tema della libertà, che attraversa Aut-Aut come un filo rosso e costituisce uno dei nuclei fondamentali del pensiero di Kierkegaard. La libertà, per l'autore, non è un dono leggero o naturale: è un peso, un’angoscia, perché implica la necessità di scegliere senza alcuna certezza assoluta. Ogni scelta comporta una rinuncia, e questa perdita lascia inevitabilmente un segno.

Nella vita estetica, la libertà si esprime come un rifiuto di vincoli e responsabilità. È una libertà superficiale, priva di profondità, che si riduce alla molteplicità di opzioni per il piacere e alla fuga dall’impegno. Tuttavia, Kierkegaard mostra che questa "libertà" è un’illusione: l’esteta è in realtà schiavo delle proprie paure e della propria incapacità di affrontare il significato più profondo dell’esistenza.

Nella vita etica, invece, la libertà diventa un atto di volontà. Wilhelm invita il lettore a riconoscere che ogni scelta autentica richiede sacrificio e consapevolezza. La libertà etica non è una fuga, ma un confronto con la realtà e con le proprie responsabilità. È una libertà più matura, che però, come già detto, non può garantire una vera salvezza: anche qui, l’individuo deve fare i conti con i limiti dell’umano e con l’inevitabilità della sofferenza.

Kierkegaard lega la libertà alla dimensione dell’angoscia, un concetto che svilupperà più pienamente in Il concetto dell’angoscia. L’angoscia non è semplicemente paura, ma il senso vertiginoso di fronte alla possibilità infinita che la libertà offre. È il prezzo dell’essere umano, che non è determinato da istinti o leggi universali, ma si trova sempre a scegliere, a decidere chi essere. Questa idea anticipa in modo sorprendente il pensiero esistenzialista e getta le basi per autori come Sartre, che vedrà nella libertà assoluta la condanna e la gloria dell’essere umano.

Non si può ignorare la dialettica tra individuo e società che permea Aut-Aut. Kierkegaard scrive per "il singolo", un termine che usa con insistenza per sottolineare l’unicità e l’isolamento dell’esperienza umana. Mentre la filosofia dominante del suo tempo, soprattutto quella hegeliana, cercava di integrare l’individuo nella totalità della Storia o dello Spirito, Kierkegaard ribalta questa prospettiva: l’individuo è sempre separato, sempre solo di fronte alle proprie scelte. Non c’è sistema che possa risolvere il dramma esistenziale, né collettività che possa offrire rifugio. Questa insistenza sull’individuo come luogo centrale della riflessione è una delle ragioni per cui Aut-Aut risuona ancora oggi, in un mondo dove il confronto tra autonomia e conformismo è più vivo che mai.

In conclusione, Aut-Aut non è solo un’opera filosofica, ma un testo che parla direttamente alla condizione umana, mettendo in luce dilemmi che non smettono mai di essere attuali. È un libro che non solo si legge, ma che si vive, e che ti accompagna ben oltre l’ultima pagina. Kierkegaard, con la sua capacità di mettere a nudo le questioni fondamentali della vita, resta uno dei pensatori più rivoluzionari e inquietanti della modernità.

Leggere Aut-Aut significa confrontarsi con dilemmi senza tempo: inseguire il piacere o accettare il sacrificio? Vivere per sé o per gli altri? È un libro che non offre risposte definitive ma invita il lettore a trovare la propria verità. Un classico che parla tanto alla filosofia quanto alla psicologia, e che continua a interrogare chiunque abbia il coraggio di affrontarlo.

Omaggio a Oscar Wilde, (una riscrittura de "Il ritratto di Dorian Gray"

Nell'opulenza di uno studio trasformato in un tempio di sensazioni e di languore, ogni dettaglio sembrava pensato per evocare il piacere di una vita vissuta interamente nel culto dell'estetica, e l'aria stessa, satura del profumo sontuoso delle rose, esalava un’armonia che si mescolava, quasi in una sinfonia invisibile, all’aroma più discreto dei lillà e al respiro appena percettibile delle rose canine, che, trasportati dalla brezza estiva, penetravano attraverso la porta aperta come una carezza delicata, insinuandosi tra i mobili intagliati e le stoffe pregiate, e là, adagiato con un’indolenza quasi teatrale sull’angolo di un divano orientale rivestito di cuoio brunito, Lord Henry Wotton, circondato da un alone di fumo azzurrognolo prodotto dalle sue innumerevoli sigarette, lasciava che il suo sguardo, semisocchiuso e brillante di un'ironia languida, si posasse distrattamente sui maggiociondoli che si piegavano sotto il peso dei loro fiori dorati, il cui colore e dolcezza ricordavano il miele distillato, e parevano vibrare nell'aria come se la loro stessa bellezza fosse un carico insopportabile, mentre ombre leggere, proiezioni fuggevoli di uccelli in volo, attraversavano le tende di seta che ondeggiavano davanti alla finestra spalancata, creando un effetto tanto sfuggente quanto poetico, che sembrava evocare le immagini fluttuanti e stilizzate di quei pittori di Tokyo, le cui mani sapienti e i cui volti di pallida giada sono consacrati all’arte immobile di catturare l’inafferrabile, e intanto, nel giardino ormai invaso dall’erba alta e da ciuffi disordinati di caprifogli, le api ronfavano con una monotonia ipnotica, il loro ronzio scandiva un ritmo che, anziché spezzare l'immobilità, ne accentuava il carattere ossessivo e implacabile, quasi fosse un canto funebre per un mondo senza tempo, e tutto ciò si univa, come una nota grave che completava la sinfonia, al rombo profondo e distante di Londra, che giungeva attutito e remoto, simile alla vibrazione di un organo nascosto nella nebbia di una cattedrale, mentre al centro della stanza, solenne e immobile come un idolo, si ergeva su un cavalletto di legno scuro il ritratto di un giovane di straordinaria bellezza, il cui volto, modellato da linee tanto perfette da sembrare quasi irreali, era un trionfo della maestria e della passione dell’artista, e Basil Hallward, seduto poco distante, lo contemplava con uno sguardo in cui si mescolavano estasi e tormento, come se la visione che aveva evocato sulla tela fosse divenuta un riflesso inquietante della sua anima, e mentre il suo volto si increspava in un sorriso che sapeva insieme di trionfo e di rimpianto, si levò improvvisamente con un gesto convulso, come scosso da un pensiero troppo intenso per essere contenuto, e chiuse gli occhi con forza, premendo le dita contro le palpebre, nel disperato tentativo di imprigionare dentro di sé quella visione troppo perfetta, troppo fragile, temendo che, al primo contatto con la realtà, potesse dissolversi come il miraggio di un sogno troppo audace per sopravvivere alla luce del giorno.

30 novembre 1900, Parigi, Francia