Jolanda Insana è stata una delle voci più originali e potenti della poesia italiana del Novecento. La sua scrittura è caratterizzata da una forte fisicità e un linguaggio crudo, quasi brutale, che si muove fra temi come la corporeità, la morte e la violenza, trattati senza riserve e con un'intensità che spesso sfiora l'invettiva. Lontana dalle convenzioni della poesia lirica tradizionale, Insana ha sviluppato un linguaggio poetico che rifiuta il formalismo e il sentimentalismo, preferendo un’espressione spoglia, diretta, e ricca di termini del dialetto siciliano.
La sua poesia è visceralmente ironica, a volte sarcastica, e carica di una sensibilità dissacrante. Non a caso, spesso Insana rifiuta l’idea di una poesia “bella” o “decorativa,” abbracciando, al contrario, una verità disturbante e oscura. Influenzata da autori come Antonin Artaud e Emil Cioran, la sua opera può risultare complessa ma profondamente onesta, una sorta di viaggio brutale attraverso le zone più oscure e scomode dell'animo umano.
Insomma, Jolanda Insana riesce a ribaltare ogni aspettativa convenzionale e a tirare fuori da ogni verso una visione “sanguigna” della vita, trasformando ogni immagine in un vero e proprio pugno nello stomaco.
La poesia di Jolanda Insana non è solo cruda e viscerale, è una sorta di contro-canto al modo in cui la letteratura italiana spesso esprime il dolore, la sofferenza e la corporeità. Prendiamo in considerazione la sua raccolta Sciarra amara del 1977, dove già emerge il suo linguaggio volutamente “sanguinante” e senza abbellimenti, che mira a destabilizzare il lettore e a farlo confrontare con la brutalità dell'esistenza.
Insana non tratta il corpo in modo idealizzato: è un luogo di putrefazione, di trasformazioni, e di una sofferenza che lei descrive senza misericordia. Nei suoi versi troviamo espressioni come “carne marcia” e immagini di decomposizione, quasi come se volesse spogliarci, costringendoci a guardare ciò che di solito evitiamo. È una poesia di contrasti forti, dove le immagini di morte e decomposizione si mescolano con l'ironia e un senso di umorismo nero, che in qualche modo sottolineano la sua visione disincantata dell’esistenza.
Il suo stile, poi, è stratificato, e a tratti richiama la tradizione orale siciliana, ma lo fa in modo dissacrante. Usa dialettismi, inserti prosastici, suoni forti e sgradevoli, che, se presi insieme, creano una musicalità aspra e disturbante. In questo modo, Insana riesce a fondere il lirismo con la satira, il tragico con il grottesco, e a far emergere una voce che resta sempre tra il sacro e il profano.
Inoltre, uno degli elementi centrali della sua poetica è la materialità del linguaggio. Non cerca parole raffinate o metafore eteree, ma sceglie un linguaggio “sporco”, concreto, quasi tangibile. Insana, infatti, sembra volerci dire che l’unico modo autentico di fare poesia è quello di smantellare ogni filtro estetico, rendendo la parola “carne”, qualcosa che si sente addosso.
Alla fine, leggendo Insana, si percepisce un’esperienza brutale e catartica: è un incontro con la parte più oscura e ribelle della nostra umanità.
C'è molto di più nella scrittura di Jolanda Insana, perché la sua poetica affonda anche nelle radici della mitologia, della filosofia e persino della teologia. Nei suoi testi, Insana si lascia ispirare dal mito greco, dalla Bibbia e da testi apocrifi, reinterpretandoli in chiave moderna e completamente irriverente. È come se si ponesse in dialogo – o piuttosto in scontro – con questi temi “sacri”, per rivelare il lato umano più abissale e primordiale, quasi un'eresia che rivendica un’autenticità fisica e crudele.
Prendiamo il suo rapporto con la lingua, che per lei è sia strumento che bersaglio. Non è raro trovare nei suoi versi una struttura lessicale che richiama lo smembramento: seziona la parola, ne esplora le radici, la frammenta fino a renderla scheggia, quasi pericolosa, come se volesse spaccare ogni convenzione linguistica per arrivare a un nocciolo di verità. Le sue scelte linguistiche non sono mai casuali; usa parole crude e dialettali per avvicinare il lettore a una realtà che la lingua letteraria tende a edulcorare. Insana intende il linguaggio come materia viva, qualcosa che si può manipolare come carne.
Un altro tema complesso in Insana è la morte, che appare come una presenza quasi fisica, costante, sempre lì a ricordarci la natura deperibile del corpo. Ma per Insana, la morte non è solo una fine: è un processo di metamorfosi, e qui il richiamo a poeti come i surrealisti, o a figure come Artaud, è chiaro. L’idea di trasformazione, di passaggio attraverso il degrado, è per lei anche un atto di ribellione contro la staticità. Insana esplora questa soglia senza timore, vedendo la putrefazione non come orrore ma come qualcosa di intrinsecamente umano e naturale.
Infine, il suo approccio dissacrante è anche un atto politico, un modo di resistere al conformismo culturale. In un contesto letterario che tendeva a celebrare la bellezza, Insana ha avuto il coraggio di portare in primo piano l’orrore e la decadenza, usando la poesia non per sublimare, ma per esplorare le parti più oscure della nostra identità. La sua è una poesia di resistenza, una sfida aperta al buon gusto, e rappresenta un’urgenza di verità che, pur nella sua crudezza, diventa profondamente liberatoria.
In sintesi, Iolanda Insana non solo provoca, ma costringe a guardare, in un’epifania brutale che è insieme condanna e catarsi.