Le domeniche si scioglievano in una danza di tovaglie parlanti, che sussurravano segreti alle sedie prima che venissero brutalmente schiacciate sotto il peso di tempeste umane. Lui, una torre di carne senza abitanti, si alzava come un monolite, infrangendo il silenzio con calci cosmici e pugni contro porte che urlavano mutile. I mobili? Solo comparse in questa tragedia fatta di polvere e grida.
Le sue mani erano vulcani in eruzione, il corpo un uragano di furia. Quando il ciclone di materia vuota si placava, rimaneva solo l’eco. Io. Piccolo, spettatore della devastazione, ero l'ultima isola tra le rovine.
Non c'era nessun altro. Solo il peso liquido della vergogna, che si insinuava sotto la mia pelle come un serpente in cerca di calore.