venerdì 3 gennaio 2025

𝗠𝗮𝗿𝗰𝗼 𝗧𝘂𝗹𝗹𝗶𝗼 𝗖𝗶𝗰𝗲𝗿𝗼𝗻𝗲

Il 3 gennaio del 106 a.C., mentre le ombre dell’alba sfumavano lentamente sulle colline innevate del Lazio, ad Arpino – una cittadina modesta ma di antica fondazione – veniva alla luce un bambino che, senza saperlo, avrebbe scolpito il proprio nome nelle colonne di marmo della storia. 𝗠𝗮𝗿𝗰𝗼 𝗧𝘂𝗹𝗹𝗶𝗼 𝗖𝗶𝗰𝗲𝗿𝗼𝗻𝗲, destinato a diventare uno dei più grandi oratori e pensatori dell’antichità, non discendeva da una nobile stirpe patrizia, né poteva contare sull’eredità militare di una famiglia di generali. Era figlio di un equestre, Marco Tullio Cicerone senior, un proprietario terriero benestante che, sebbene privo di un’alta carica politica, sognava per il figlio una vita tra i senatori e i consoli di Roma.

Ad Arpino, l’aria era carica di racconti di guerra e gloria. Il nome della città era già legato a un altro grande personaggio della storia romana: Gaio Mario, lo straordinario generale e sette volte console che aveva difeso Roma dalle minacce barbariche. La nascita di Cicerone parve quasi il segno di una nuova promessa: che Arpino avrebbe ancora una volta dato i natali a un uomo capace di scrivere la storia.

La famiglia Tullia, pur non appartenendo alle alte sfere del patriziato romano, viveva con un certo agio, possedendo terre e impegnandosi in attività agricole. Marco e il fratello minore Quinto crebbero in un ambiente sereno e culturalmente stimolante, dove l’istruzione era considerata una delle vie maestre per elevarsi socialmente. Il padre, consapevole delle difficoltà che il giovane Marco avrebbe affrontato nella scalata sociale, decise di investire tutto nella sua formazione.

Un giovane assetato di sapere: l’incontro con la filosofia
Roma, nel II secolo a.C., era una città in tumulto, crocevia di culture, lingue e filosofie provenienti da ogni angolo del Mediterraneo. Il giovane Cicerone, trasferitosi nella capitale per proseguire gli studi, entrò subito in contatto con i più celebri maestri di retorica, filosofia e diritto. Frequentò i corsi di Lucio Crasso, uno dei più grandi oratori dell’epoca, e di Quinto Muzio Scevola, eminente giurista, dal quale apprese i fondamenti della giurisprudenza romana.

Ma la vera passione di Cicerone era la filosofia. La scoperta delle opere di Platone, Aristotele e dei filosofi stoici accese in lui un fervore intellettuale che non si sarebbe mai spento. Le idee greche sull’etica, la politica e il dovere civico divennero le fondamenta su cui avrebbe costruito la sua visione del mondo.

Determinato a perfezionarsi ulteriormente, Cicerone decise di intraprendere un viaggio di studio che lo avrebbe portato in Grecia e in Asia Minore, le culle del sapere ellenistico. Atene, la città di Pericle e Socrate, lo accolse tra le colonne dell’Accademia platonica, dove studiò con il filosofo Antioco di Ascalona. Qui, immerso tra i resti gloriosi dell’antichità, Cicerone affinò la sua visione del legame tra teoria e pratica, tra pensiero e azione.

L’incontro con Apollonio Molone a Rodi fu un altro momento decisivo. Apollonio, celebre retore, trasmise a Cicerone i segreti dell’arte oratoria, insegnandogli a bilanciare eleganza e incisività nel discorso. Apollonio lo esortava a non imitare pedissequamente gli oratori greci, ma a forgiare uno stile tutto romano, vigoroso e pratico, che parlasse al cuore e alla mente del popolo.

L’avvocato delle cause impossibili
Al ritorno a Roma, Cicerone fece il suo ingresso nelle aule di tribunale come avvocato difensore. Lì, nel foro gremito di spettatori, dimostrò una straordinaria abilità retorica, guadagnandosi la fama di brillante oratore. Le sue arringhe erano capaci di smuovere emozioni e convincere anche i giudici più inflessibili.

Uno dei processi che lo consacrò fu quello contro Gaio Verre, ex governatore della Sicilia accusato di corruzione e saccheggio. Verre, protetto da potenti alleati, sembrava intoccabile, ma Cicerone accettò comunque di rappresentare i siciliani oppressi. Le sue orazioni Verrine non furono semplici atti giuridici: furono veri e propri capolavori letterari, in cui Cicerone smascherava con feroce ironia e precisione chirurgica le malefatte di Verre. L’esito del processo fu inevitabile: Verre fuggì in esilio ancor prima che il verdetto venisse pronunciato.

L’ascesa politica: dal foro al Senato
Grazie a questa vittoria, Cicerone si guadagnò l’attenzione dei circoli politici. Seguendo il cursus honorum, venne eletto questore in Sicilia nel 75 a.C., dove si distinse per l’onestà e l’efficienza amministrativa. Da quel momento, la sua carriera politica fu inarrestabile: fu eletto edile, pretore e infine console nel 63 a.C.

Il consolato di Cicerone fu segnato da una delle crisi più gravi che la Repubblica avesse mai affrontato: la congiura di Catilina. Catilina, spinto dall’ambizione e dal rancore, aveva ordito un complotto per rovesciare il governo. Le orazioni di Cicerone in Senato, note come le Catilinarie, furono decisive nel neutralizzare il pericolo:

"Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?"

Con questa celebre frase, Cicerone accusò pubblicamente Catilina, obbligandolo a fuggire. Il complotto fu sventato e Cicerone fu acclamato come pater patriae, difensore della Repubblica.

Il declino e l’eredità immortale
Nonostante il successo, la carriera di Cicerone conobbe anche momenti bui. L’ascesa di Giulio Cesare e il declino della Repubblica lo misero in una posizione difficile. Dopo l’assassinio di Cesare, Cicerone si oppose strenuamente a Marco Antonio, ma il suo coraggio gli costò caro.

Nel 43 a.C., venne inserito nelle liste di proscrizione e ucciso dai sicari di Antonio. La sua testa e le sue mani furono esposte sui rostri del Foro, ma il suo pensiero sopravvisse.

Le sue opere, riscoprite nel Rinascimento, divennero pilastri della cultura occidentale, testimoniando che la forza delle idee e della parola può superare i confini del tempo e delle generazioni.