Un omaggio a Pier Paolo Pasolini
A 50 anni dalla sua scomparsa e a 70 dalla prima edizione di Ragazzi di vita, proviamo a immaginare cosa potrebbe raccontarci oggi il poeta, il regista, il cronista dei margini.
Intervista impossibile a Pier Paolo Pasolini
7 domande, 7 risposte impossibili
1. Come giudicherebbe il mondo di oggi?
«Il mondo di oggi è un girone di specchi deformanti, un carnevale di luci al neon e di silenzi digitali, dove ogni volto è un profilo su uno schermo e ogni parola una moneta da spendere. La gente crede di comunicare, ma parla al vuoto; crede di vedere, ma osserva solo riflessi deformi. La povertà non è scomparsa, ha solo cambiato volto: ora si chiama invisibilità, anonimato, solitudine iperconnessa. La città è una mappa di egoismi e desideri compressi, i ragazzi camminano tra automi e schermi luminosi, ignari del fiume di vita che scorre sotto i loro piedi. Eppure, in mezzo a questo teatro di specchi e finzioni, ci sono crepe: un vecchio che legge poesie in un parco deserto, un bambino che ride mentre tutto crolla intorno. In queste crepe pulsa il mondo autentico, che nessuna rivoluzione digitale potrà mai cancellare.»
2. La poesia ha ancora senso nel caos contemporaneo?
«La poesia non ha mai avuto senso nel senso utilitaristico della parola. La poesia è l’urlo delle cose che non si lasciano misurare: il dolore, la gioia, l’invisibile che vive tra le crepe delle città e dei cuori. Nel caos contemporaneo, la poesia è un atto di resistenza: resiste al rumore, all’omologazione, al linguaggio mercificato. Chi scrive poesie oggi deve fare i conti con la disperazione, con la banalità, con la frenesia di una società che misura tutto in clic e in like. La poesia non serve a confortare: serve a ricordarci che esiste un linguaggio più profondo, che esiste una verità che non si può vendere, che non si può comprare, che non si può schedare. Serve a farci sentire vivi quando tutto sembra ridotto a numeri, statistiche, immagini filtrate.»
3. Dove si annida oggi la speranza?
«La speranza si annida dove non ti aspetti, tra i margini, tra le crepe delle strade, nei luoghi abbandonati e nei bar dimenticati. Là dove il cemento si screpola e la polvere diventa poesia, dove i ragazzi senza nulla ridono senza motivo, dove la vita resiste e rinasce. La speranza non è nei palazzi scintillanti né nei social network, ma negli occhi di chi guarda senza giudicare, nelle mani che costruiscono senza misurare, nei sogni che nessuno osa confessare. È un germe fragile, ma ostinato, che cresce tra il fango e il cemento, tra la solitudine e l’incomprensione, tra il disinteresse generale e l’urgenza della vita che non si arrende.»
4. La tecnologia ci avvicina o ci allontana?
«La tecnologia ci avvicina solo all’illusione. È un dio muto, che promette comunità e dà solitudine, che promette conoscenza e genera distrazione. Guardate i giovani: parlano tra loro senza guardarsi, condividono immagini senza conoscere il volto reale di chi è dall’altra parte dello schermo. Ci siamo abituati a vivere mediati, mediati da device, mediati da algoritmi, mediati da pubblicità e notizie sensazionali. La tecnologia non è neutra: riflette i nostri desideri più bassi, amplifica la superficialità e nasconde la profondità. Eppure, proprio lì, tra il rumore digitale, c’è ancora spazio per la poesia, per l’atto creativo che nessun algoritmo può replicare. La vera rivoluzione sarebbe riscoprire il corpo, il silenzio, la parola detta, lo sguardo condiviso.»
5. Che cosa resta di autentico nella vita moderna?
«Resta tutto ciò che non si può catalogare, misurare, monetizzare: il pianto di un bambino, il gesto improvviso di generosità, il vento che scuote i lampioni di una città addormentata, l’odore della pioggia su asfalto caldo, la risata che rompe il silenzio di una stanza. Restano gli amori nascosti, i sogni infranti che continuano a vivere, le amicizie che sopravvivono al tempo e alla distanza. Resta l’atto di guardare veramente, di sentire senza giudicare, di camminare tra la polvere e la luce e riconoscere che tutto ciò che conta sfugge ai registri ufficiali, alle statistiche, alla logica del profitto. È lì che si nasconde la verità della vita, nel piccolo, nel fragile, nel non previsto.»
6. Qual è il ruolo dell’artista oggi?
«L’artista è un sopravvissuto in trincea, un testimone ostinato del reale, un cronista della memoria che gli altri ignorano. Deve raccontare ciò che il potere, la moda, l’industria e il consumo cercano di cancellare: il dolore, la marginalità, l’ingiustizia, la bellezza nascosta. L’artista oggi non può più accontentarsi di essere solo intrattenitore: deve essere un cantore del tempo, un osservatore radicale, un traduttore del silenzio. Deve scrivere e filmare ciò che gli altri non vedono, parlare di ciò che non si osa dire, anche se nessuno lo leggerà, anche se nessuno applaudirà, anche se sarà frainteso o ignorato. L’artista è colui che resiste, colui che testimonia, colui che non tace di fronte all’ipocrisia e alla menzogna.»
7. E sulla vita?
«La vita è l’unico miracolo quotidiano che ignoriamo, la musica di fondo che accompagna il nostro passo distratto. Non ha bisogno di spiegazioni, giustificazioni o applausi: esiste e basta, anche quando noi la calpestiamo, la neghiamo, la riduciamo a routine e abitudine. La vita è cadere e rialzarsi, è dolore e piacere intrecciati, è la luce e l’ombra che si inseguono tra le vie di una città dimenticata, è il sorriso che appare dove meno te lo aspetti. La vita è ciò che resiste, ciò che pulsa tra le macerie dell’indifferenza, ciò che continua a fiorire dove nessuno lo vede, e dove solo chi ha il coraggio di osservare può riconoscerla e amarla.»