martedì 26 agosto 2025

Chris & Don: A Love Story




Christopher Isherwood nacque in Inghilterra nel 1904, in una famiglia che custodiva con fierezza il proprio retaggio militare e aristocratico. Suo padre cadde durante la Prima guerra mondiale, e quell’assenza si trasformò presto in un’ombra che segnò il giovane Christopher: gli eroi che morivano in trincea, osannati come martiri dell’impero, apparivano ai suoi occhi meno come esempi di coraggio e più come vittime di una catastrofe insensata. Cresciuto in un ambiente di disciplina, di aspettative e di obblighi, cominciò a intuire che la sua strada sarebbe stata quella della fuga, della ribellione, del racconto di sé come alternativa a una vita preconfezionata. Cambridge lo accolse solo per un tempo breve e distratto: non sopportava la rigidità accademica e preferì abbandonare l’università, primo segnale di una insofferenza che lo avrebbe accompagnato sempre. La scrittura e l’esperienza vissuta sarebbero state i suoi veri maestri.

Il destino volle che nel 1925 si riallacciasse a un compagno intravisto anni prima, Wystan Hugh Auden. Allora entrambi erano giovani, ma Auden portava già in sé la forza del poeta che sarebbe diventato. Fra loro nacque un rapporto ambiguo e fertile: amici, amanti occasionali, ma soprattutto complici in una stagione di esplorazione letteraria e umana. Auden gli affidava le proprie poesie in cerca di giudizio e di guida, mentre Isherwood ricambiava offrendo uno sguardo critico e un incoraggiamento costante. L’incontro con Auden fu decisivo perché lo introdusse a un mondo di giovani scrittori come Stephen Spender, animati dal desiderio di rompere con il passato, di sperimentare, di dare voce a un tempo nuovo. Erano gli anni in cui l’Inghilterra, pur scossa dalla guerra appena finita, restava aggrappata alle proprie convenzioni: quel piccolo circolo di poeti e narratori rappresentava una scintilla di irrequietezza.

Nel 1928 Isherwood pubblicò il suo primo romanzo, "All the Conspirators", storia antieroica di un giovane sconfitto dalla madre. Era un racconto che affondava direttamente nella sua esperienza, specchio del conflitto mai risolto con la figura materna. Lo stile, ancora vicino al pastiche modernista, mescolava influenze di Joyce e Virginia Woolf, ma lasciava intravedere una chiarezza narrativa che lo avrebbe distinto dai suoi contemporanei. La scrittura era già per lui uno strumento di liberazione: raccontare significava spezzare catene. In quello stesso anno, tuttavia, tentò un percorso diverso, iscrivendosi a medicina a Londra. Durò poco. L’esperimento fu interrotto quasi subito, e il richiamo di Auden, che lo invitava a Berlino, risultò irresistibile. Con quel viaggio cominciò una nuova vita.

Berlino alla fine degli anni Venti era un caleidoscopio. La Repubblica di Weimar viveva un periodo fragile e febbrile: l’inflazione, le tensioni politiche, i fermenti culturali, le avanguardie artistiche, i cabaret. Per Isherwood la città apparve come un paradiso di libertà sessuale. Egli stesso non ne fece mistero: era arrivato in cerca di ragazzi, e li trovò. Fra loro Heinz, che divenne il suo primo grande amore, un ragazzo fragile, bellissimo, la cui storia personale si sarebbe intrecciata tragicamente con la violenza crescente del nazismo. Berlino era, per lui, non solo un luogo di piaceri ma una scuola di vita. Frequentò ambienti clandestini, osservò il sottobosco della prostituzione maschile, partecipò a feste, relazioni, avventure. Ma non si limitò a vivere: scrisse, testimoniò, annotò. Nei suoi libri successivi, e nei commenti che lasciò agli editori, riconobbe in opere come "Der Puppenjunge" la verità di quel mondo che egli stesso aveva attraversato.

In quegli anni incontrò persone destinate a diventare icone letterarie attraverso la sua penna. Jean Ross, giovane aspirante cantante inglese, fu il modello da cui nacque la figura di Sally Bowles, con il suo trucco marcato e la sua sfrontata leggerezza. Gerald Hamilton, avventuriero ambiguo, divenne Mr. Norris, protagonista di un romanzo in cui la Berlino degli anni Trenta emergeva in tutta la sua ambivalenza. Le pagine di Isherwood, a partire da "Mr. Norris Changes Trains" (1935) fino a "Goodbye to Berlin" (1939), fissarono un’epoca che stava per svanire. Il crepuscolo della Repubblica di Weimar, con i suoi cabaret scintillanti e le sue ombre minacciose, sopravvive oggi soprattutto attraverso lo sguardo di Isherwood. Da quelle pagine nasceranno adattamenti teatrali e cinematografici: il dramma "I Am a Camera", poi il musical "Cabaret" e il film di Bob Fosse. Pochi scrittori videro la propria esperienza personale diventare, decenni dopo, un mito culturale di portata mondiale.

Nel 1931, durante un ritorno a Londra, avvenne un incontro decisivo: quello con E. M. Forster. Già autore di romanzi celebri, Forster riconobbe in Isherwood un talento da sostenere. Fra i due nacque un legame profondo, fatto di confidenze e di incoraggiamento. Forster, che aveva scritto "Maurice" ma lo teneva nel cassetto per paura dello scandalo, vedeva nel giovane Christopher la possibilità di una libertà che lui stesso non aveva osato vivere. Il secondo romanzo di Isherwood, "The Memorial" (1932), con il suo tema del conflitto fra madre e figlio, fu scritto proprio in quel periodo, con il sostegno morale del suo nuovo mentore.

Gli anni berlinesi furono anche segnati da un primo incontro con il cinema. Tornato a Londra, Isherwood collaborò con il regista Berthold Viertel, esperienza che divenne la base del romanzo "Prater Violet" (1945). Fu allora che cominciò a intuire come la scrittura potesse nutrirsi di più mondi: narrativa, cinema, teatro, diario. Intanto la situazione politica in Germania si faceva sempre più minacciosa. Con l’ascesa di Hitler, Berlino non era più la città della libertà, ma un luogo che si preparava alla persecuzione e alla guerra.

Nel 1939 Isherwood lasciò l’Europa e si trasferì negli Stati Uniti, stabilendosi a Hollywood. Qui cominciò una nuova stagione. A Los Angeles entrò in contatto con Gerald Heard, carismatico intellettuale che lo introdusse a un circolo di pensatori e artisti: Aldous Huxley, Bertrand Russell, Jiddu Krishnamurti. Grazie a loro si avvicinò al Vedanta, alla spiritualità indiana e all’insegnamento di Swami Prabhavananda. Per Isherwood, che aveva vissuto la vita come immersione radicale nella realtà, la spiritualità fu una nuova forma di ricerca, non un rifugio evasivo. Continuò a scrivere con la stessa limpidezza, ma arricchito da uno sguardo più ampio. La sua vita californiana lo mise in contatto con figure come Igor Stravinsky e Ray Bradbury. Con quest’ultimo l’incontro fu del tutto casuale, in una libreria di Los Angeles: un gesto di incoraggiamento da parte di Isherwood contribuì ad avviare la carriera dello scrittore di fantascienza, che gli restò grato.

Il 14 febbraio 1953, giorno di San Valentino, Isherwood incontrò sulla spiaggia di Santa Monica Don Bachardy, diciottenne, lui già quarantanovenne. La loro relazione, per molti scandalosa, si trasformò in un legame che durò fino alla fine della vita di Isherwood. All’inizio Bachardy fu giudicato con malizia, considerato da alcuni una sorta di “prostituta bambina”. Ma gli anni dimostrarono il contrario: la loro fu una storia d’amore autentica, che resistette al tempo e agli sguardi malevoli. Bachardy divenne un artista autonomo, un ritrattista di grande talento, autore di opere che raffigurarono celebrità e personalità pubbliche, fra cui il governatore Jerry Brown. I suoi ritratti più celebri restano forse quelli di Isherwood negli ultimi anni: volti scavati, intensi, che non nascondono nulla della malattia e del tempo che passa. Erano un atto di amore e di verità.

Negli stessi anni Isherwood insegnò scrittura creativa al Los Angeles State College. Non era un docente accademico nel senso classico: incoraggiava i giovani a scrivere di sé, a non aver paura di trasformare la vita in letteratura. Continuava a credere che l’esperienza fosse la vera materia dello scrittore. "The World in the Evening" (1954) nacque in quel periodo, scritto con la collaborazione pratica di Bachardy, che ne batté a macchina il manoscritto.

Isherwood morì nel 1986, a Santa Monica. Aveva attraversato gran parte del Novecento, trasformando la sua esistenza in un racconto che univa l’Europa e l’America, la vita privata e la grande storia, la sessualità e la spiritualità, la ribellione e la ricerca di armonia. La sua memoria sopravvive in una targa a Berlino, nella casa di Schöneberg dove aveva vissuto, ma soprattutto nei libri che hanno ispirato intere generazioni. E sopravvive anche nell’immagine di lui e di Bachardy, due uomini che, nonostante i pregiudizi, seppero vivere insieme tutta una vita, documentata con tenerezza nel film "Chris and Don".

Christopher Isherwood resta una figura luminosa e complessa: scrittore capace di guardare il mondo con occhi limpidi, cronista di epoche che stavano crollando, ma soprattutto uomo che trasformò la propria vita in un laboratorio di verità. Nei suoi romanzi, nei suoi diari, nelle sue confessioni, si percepisce sempre una tensione fra il desiderio e il tempo, fra l’individuo e la società. Non cercò mai di travestire la realtà, ma di dirla, anche quando sembrava scandalosa. Così ha lasciato un’eredità che non appartiene solo alla letteratura, ma alla storia della libertà.