Mi domando spesso a chi gioverà mai, quindi, vedere dedicarmi a isolare tutti i miei temi fondamentali, tralasciando volutamente di soffermarmi troppo ossessivamente sul tema dell’omosessualità, ché un buon pasto sarebbe quello per troppe pruderìes, fonte troppo spesso di incomprensioni feroci, d’abbandoni di scrittori d’accatto, che pronunziano il nome del loro Editore come fosse l’Amante, di tanto debole e becero maschilismo o di dolciastre adesioni, puramente fanatiche ma spesso altrettanto incomprensibili. E quindi s’evita. Si rilascia l’abbandono alle troppo facili lusinghe, certezze amicali e non.
Anche se questo scrittore che vorrei essere tale non fosse, dai temi del sensuale e isolato immoralista che sono, certamente promanerebbe comunque, quasi ferita, l’insopportabile istintività dell’amore.
Ciò non ostante, non mi posso esimere dal rilevare [anche per il rispetto dovuto a un mio pessimo sperimentalismo ormai in fin di vita] che il vocabolo-chiave è “scrivente” nelle diverse accezioni, spesso in quella dispregiativa ma non priva di segreta gratitudine, di “scrittorucolo”.
La scrittura è la forma, il corpo presente dell’amoramento stesso ed è, di volta in volta, nascita, rinascita, compenso, ricompensa, gioventù, non morte, spavento, calma, caldo animale…
Ho come puntata la bramosia in ogni posto, sperduto il mio seme acre e adesso me lo ritrovo che si gonfia come un fiume e in me straripa di desiderio nuovo e ancora scrivere è l’unico tema dominante, come calda e animale fisicità, come sensualità non ritrovata, ma data a priori, formale allo scrivere per scrivere, è il centro stesso della vita di ognuno, poiché ognuno scrivere può, connessa terribilmente al gioco di luoghi torpidi e di inquieti aneliti, dei giorni in cui anche la malattia tremenda che mi pervade si rinfresca in ricordi mai rimossi:
Eccomi come malato nel solfeggio di scarpe che battono il selciato, in un sentimento che è quello del battere, come solo questo letto quale unico approdo di tutte le mitizzazioni e dei miei prodi ardori, appassiti.
E questo amore, proprio perché non solare, non può essere che giovane, non può essere che centro della centralità dell’essere, non può essere che centro dell’uomo centrico, ma al porco mondo non può non proporsi come problema.
Ed è un problema che prende tutta la mia vita intera e se sarà un bene o se sarà un male me lo chiedo ogni volta che esco da me stesso a combattere la scrittura, un totale abbandono alla vita, la constatazione dell’indomabilità dei sensi, che rende il problema improponibile anche agli sparuti, eventuali lettori che posso avere, così come non ci si può chiedere se la vita stessa, che è sensualità, sia male o bene: vita e sensualità, scrittura e lettura sono una sola cosa e il dolore è inevitabile conseguenza della necessità di “osare”, osare la scrittura, a qualsiasi costo.
E la conclusione, quindi, non può che essere sentenziosamente positiva, la scrittura è assolta, non so lo scrivente, la vita riprende se qualcuno lo consente, leggendoti. E può bastare.
(15 aprile 2015)
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